Parere legale motivato di diritto civile – contratto preliminare di vendita, stipulato dal coniuge (marito), in regime di separazione legale dei beni, di un immobile acquistato dai coniugi in comune e pro-indiviso (comunione ordinaria).

a cura del dott. Domenico CIRASOLE

Il caso in esame vede interessati due coniugi che al momento del loro matrimonio (20 aprile 2000) non stipulavano convenzione di separazione legale dei beni. Questa veniva stipulata solo in seguito il 2 gennaio 2007.
In seguito alla separazione legale anzidetta, entrambi i coniugi acquistavano un immobile in comune e pro-indiviso.
Tizio (uno dei coniugi), in data 15 dicembre 2008 stipulava con Sempronio, un preliminare d vendita, avente ad oggetto l’intero immobile acquistato dai coniugi, fissando il 20 dicembre 2009 la data della stipula del contratto definitivo di compravendita. Detto preliminare veniva regolarmente trascritto in data 16 dicembre 2008.
Caia, moglie di Tizio, invitata alla stipula del contratto definitivo, rifiuta la vendita.
Il contratto stipulato tra le parti è un contratto preliminare di cosa altrui.
La fattispecie è perfettamente lecita ed è disciplinata dall’articolo 1478 c.c. in combinato disposto con l’articolo 1351.
L’articolo 1479 c.c. disciplina in modo specifico l’ipotesi della vendita di cosa altrui venduta come propria.

Il compratore, che ignorava la proprietà della cosa, può chiedere la risoluzione del contratto, se nel frattempo il venditore non ha fatto acquistare la proprietà al compratore.

Tale norma però disciplina l’ipotesi del contratto di vendita “definitivo”, non già del contratto preliminare di cosa altrui.

L’acquirente può, chiedere in primo luogo l’annullamento per errore e, in subordine, la risoluzione del contratto.
L’azione di annullamento per errore può essere intentata ai sensi dell’articolo 1428, quando l’errore è essenziale o può essere considerato essenziale, (quando cade sull’identità dell’oggetto della prestazione; quando cade sull’identità del contraente).
La risoluzione per inadempimento ai sensi dell’articolo 1453 c.c., può chiedersi quando l’altro contraente non adempie in tutto o in parte la sua prestazione.
Nella fattispecie trattandosi di un preliminare di cosa altrui, (obbligo di stipulare un successivo contratto definitivo) il venditore non può essere considerato inadempiente fino al momento della stipula del definitivo.
Non essendo possibile risolvere il contratto o annullarlo, non può chiedersi altresì il risarcimento dei danni e la restituzione della somma versata.
L’azione di annullamento per dolo, con richiesta di risarcimento del danno e, restituzione di quanto pagato, può essere applicata qualora si riesca a dimostrare che il venditore era in male fede, (aver venduto un bene altrui ricevendo in anticipo il prezzo)
In teoria poi, potrebbe prospettarsi anche un’azione di nullità per violazione delle norme imperative che prevedono obblighi di correttezza e buona fede (articoli 1175 e 1375 c.c.).
In costanza di matrimonio, salvo diverso accordo tra i coniugi, il regime patrimoniale stabilito dalla legge è quello della comunione legale dei beni.
Tuttavia, il regime della comunione legale, per volontà concorde degli sposi, può essere opportunamente derogato al momento della celebrazione del matrimonio, con conseguente annotazione a margine dello stato civile che i coniugi hanno scelto il regime della separazione patrimoniale.
Una scelta analoga può essere fatta anche successivamente alla celebrazione del matrimonio, con atto avente la forma di atto pubblico (redatto cioè dinanzi ad un notaio).
Fanno parte della comunione tutti quei beni che sono stati acquistati congiuntamente o separatamente dai coniugi dopo il matrimonio. Essi appartengono in parti uguali al marito ed alla moglie.
I coniugi in regime di comunione legale dei beni possono agire con poteri disgiunti per il compimento di atti di ordinaria amministrazione, per quelli di straordinaria amministrazione devono, invece, agire congiuntamente.
Alternativamente al regime di comunione legale dei beni, la legge permette l’applicazione del regime patrimoniale di separazione.
Nel caso di separazione legale dei beni, ciascun coniuge rimane titolare esclusivo, non solo dei beni acquistati antecedentemente al matrimonio, ma anche di quelli conseguiti successivamente.
Al coniuge proprietario dei beni spettano, in via esclusiva, il godimento e l’amministrazione degli stessi, egli ha quindi tutto il diritto di goderli o amministrarli, in via esclusiva. I patrimoni di marito e moglie restano quindi separati durante il matrimonio.
Per ottenere la cointestazione di un bene, una volta optato per il regime di separazione, occorrerà esplicitamente dichiarare all’atto dell’acquisto tale volontà, specificando anche la quota di comproprietà da assegnare.
Nel regime di separazione dei beni vigono particolari regole in materia di "onere della prova". Con ciò si intende che, in caso di contenzioso giudiziale fra i coniugi, questi, ai sensi dell’art. 219 del Codice civile, potranno provare con ogni mezzo, nei loro rispettivi confronti, la proprietà esclusiva del bene mobile acquistato, non applicandosi i limiti di ammissione della prova testimoniale di cui agli artt. 2721 e seguenti codice civile.
Nel caso in cui nessuno dei due coniugi riesca a provare la proprietà esclusiva del bene, questo è attribuito in proprietà di entrambi di coniugi, per pari quota (art. 219 c.c. 2°comma).
Se uno dei coniugi, nonostante l’opposizione dell’altro, amministra i beni di questo o comunque compie atti relativi a detti beni risponde dei danni (art. 217 c.c).
La Corte costituzionale con la sentenza 17.3.88 n. 311, ha evidenziato la netta distinzione tra comunione ordinaria e comunione legale tra coniugi.
La comunione ordinaria detta pro- indiviso, e qualificata anche come proprietà plurima parziaria .
Il diritto di proprietà è unico ed attiene al bene nella sua interezza.
Il diritto dei comproprietari, sarà rivolto al bene unico nella sua pienezza (quota ideale).
La giurisprudenza in tema di preliminare di vendita di bene in comunione ordinaria, con la sentenza delle SS.UU n. 7481/93 ha definito il contrasto esistente affermando che “nella communio pro-indiviso, la promessa di vendita di un bene in comunione è di norma considerata dalle parti attinente al bene inteso come un unicum inscindibile.
Se detto negozio venga redatto in modo tale da farne risultare la volontà di scomposizione in più contratti preliminari, nel quale ognuno dei comproprietari si impegna esclusivamente a vendere la propria quota, l’assenza di una di tali dichiarazioni, non operando la fusione delle singole volizioni dei comproprietari, comporta la assoluta impossibilità, da parte del promissario acquirente di ottenere la pronuncia ex art. 2932 c.c..
La comunione legale è quella particolare situazione dominicale nota come comunione legale tra i coniugi.
Ciascun coniuge è titolare del bene per intero.
Questa fattispecie si riconduce alla classica figura della comunione senza quote, in quanto i coniugi-comunisti vantano un diritto avente per oggetto i beni della comunione stessa (fondamentale la ricostruzione data da C.C. 17.3.88 N.311).
Vi è pertanto da considerare la disciplina codicistica dettata dagli artt. 180 e ss. cc..
Il codice civile, infatti, stabilisce il modello dell’amministrazione disgiuntiva per tutto ciò che concerne gli atti di ordinaria amministrazione.
Viceversa gli atti che eccedono l’ordinaria amministrazione dovranno essere compiuti dai coniugi congiuntamente.
Qualora, si ravvisi la vendita (o la promessa di vendita) di un bene immobile al coniuge pretermesso ed escluso, che non convalidi l’atto, non resterà che proporre l’azione di annullamento entro il ristretto termine di cui all’art. 184 secondo co. c.c., ovvero un anno dalla data in cui ha avuto conoscenza dell’atto ed in ogni caso entro un anno dalla data di trascrizione o, comunque, non oltre l’anno dallo scioglimento della comunione quando l’atto non sia stato trascritto ed il coniuge non ne abbia avuto conoscenza prima dello scioglimento della comunione.

Il potere del coniuge di poter disporre unilateralmente ed autonomamente dei beni coniugali senza il consenso necessario viene ricondotto in un vizio del negozio.
Da tale vizio, consegue che il negozio è quindi annullabile e non inesistente, ovvero nulla, ma solo annullabile.

Di conseguenza come legali potremmo rassicurare Caia sul fatto che il negozio giuridico (preliminare di vendita) se la separazione è pienamente valida ed opponibile ai terzi, non avrà esito positivo, trattandosi quindi di vendita di cosa altrui in comunione ordinaria, affetta da difetto di consenso, per l’appunto di Caia.
Tizio non può vendere, o promettere di vendere ciò che non li appartiene.
Cosa diversa è se la separazione dei beni dei coniugi, non fosse opponibile ai terzi, in tal caso, Caia avrebbe dovuto proporre l’azione di annullamento entro il ristretto termine di cui all’art. 184 secondo co. c.c. ( 1 anno dal preliminare), cosa che non è avvenuta, rendendo il bene aggredibile da Sempronio.

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