a cura del dott. Domenico CIRASOLE
La questione giuridica in esame vede interessata l’AZIENDA PUBBLICA G&G, e la società VENERE s.p.a. .
In particolare vede interessati i signori CAIO e SEMPRONIO rispettivamente amministratore delegato e socio della predetta società VENERE s.p.a. che avevano corrisposto tangenti ad amministratori dell’AZIENDA PUBBLICA G&G per ottenere l’aggiudicazione di appalti pubblici.
In detto caso sembra evidente la possibilità da parte dell’ AZIENDA PUBBLICA G&G di chiedere il risarcimento dei danni patrimoniali per l’illecita alterazione del prezzo degli appalti e del relativo mercato, e non patrimoniali, per la lesione dell’immagine dell’Ente pubblico.
Ma sembra ulteriormente evidente che vi sia stato concorso dei dipendenti dell’AZIENDA PUBBLICA G&G nella causazione del danno.
La predetta società VENERE s.p.a. chiede inoltre all’ AZIENDA PUBBLICA G&G di pagare i lavori di ristrutturazione per la stessa eseguiti.
Ma dette pretese non possono essere accolte, difatti l’elusìone delle garanzie di sistema a presidio dell’interesse pubblico (nella specie aggiudicazione dell’appalto a licitazione privata) prescritte dalla legge per l’individuazione del contraente privato più affidabile e più tecnicamente organizzato per l’espletamento dei lavori, comporta la nullità del contratto per contrasto con le relative norme inderogabili (L. n. 14 del 1973, L. n. 584 del 1977, L. n. 741 del 1981, L. n. 687 del 1984).
Ulteriormente la conclusione di un contratto le cui reciproche prestazioni sono illecite e la cui condotta è assolutamente vietata alle parti e penalmente sanzionata con la nullità del contratto, onde impedire che dalla commissione del reato derivino ulteriori conseguenze (cass. del 16 febbraio 2010 n. 3672).
Dunque va dichiarato nullo il contratto di appalto in esame e conseguentemente non dovuti, dell’ AZIENDA PUBBLICA G&G, i compensi.
CAIO e SEMPRONIO inseriti nell’organizzazione della società, avevano da molti anni assunto un ruolo determinante nelle trattative per favorire l’aggiudicazione degli appalti alla stessa società VENERE s.p.a, che della loro opera si era perciò avvalsa e alla quale conseguentemente dovevano esser imputate le conseguenze giuridiche, dunque è improponibile la richiesta dei compensi per le prestazioni eseguite.
Dunque ricapitolando nella fattispecie vi è una responsabilità contrattuale, extracontrattuale con danni risarcibili patrimoniali e non patrimoniali.
CAIO e SEMPRONIO nell’arco di dieci anni avevano versato tangenti nell’interesse della società VENERE s.p.a, a funzionari amministratori di enti pubblici per ottenere l’aggiudicazione dei lavori alterando le gare a licitazione privata a favore della predetta società, e perciò sussisteva il reato di corruzione e non di concussione, in mancanza di prova di pressioni degli agenti pubblici sulla società.
Ma al contrario la presenza di dette pressioni degli agenti capovolgono la qualificazione dei fatti come reato di concussione anzichè di corruzione.
Infatti nella fattispecie da tempo i pubblici amministratori abusavano delle loro cariche e poteri avanzando pretese e richieste in danno degli imprenditori.
Non solo CAIO e SEMPRONIO non avevano mai tentato di corrompere i funzionari, ma al contrario erano questi che avanzavano pretese e richieste.
Da ciò si evince la configurabilità del reato di concussione cd. "ambientale" .
E’ sufficiente l’accertamento di una situazione ambientale in cui sia diffuso il mercanteggiamento dei pubblici poteri e la pratica della cd. "tangente" , nonché prove di una situazione caratterizzata dalla volontà prevaricatrice e condizionante in capo al pubblico ufficiale che sì estrinsechi in una condotta di costrizione o di induzione qualificata, ossia prodotta con l’abuso della qualità o dei poteri, causa della dazione indebita, sì da poter configurare il diverso reato di concussione (cass. del 16 febbraio 2010 n. 3672).
Di detti fatti dovrebbe rispondere anche la società VENERE s.p.a ai sensi dell’art. 2049 c.c., così come in relazione all’art. 28 Cost. sussisteva la responsabilità dell’ente pubblico per fatto del proprio dipendente nell’espletamento delle sue mansioni.
In altre parole nella fattispecie in esame vi è un pactum sceleris (art. 318 c.p.) tra funzionari pubblici e privati, tale concorso dei corresponsabili era da ritenere in pari misura sia per il danno patrimoniale che per quello morale.
Ma al contrario di quanto appena affermato la cass. del 16 febbraio 2010 n. 3672 in ambito di responsabilità penale, afferma che la corruzione del pubblico funzionario, comporta la responsabilità dell’amministrazione ai sensi dell’art. 28 Cost. nei confronti dei terzi, e non a favore dei danneggianti corruttori, come diminuente del loro concorso causale.
L’equiparazione tra agenti privati e pubblici è frutto di travisamento perchè la responsabilità della P.A. per fatto dei propri dipendenti è a favore dei terzi, non dei danneggianti.
Le tangenti, afferma la cassazione, hanno violato soltanto il diritto della P.A. al buon andamento dell’amministrazione.
In ambito di responsabilità civile il giudice deve indagare, in ordine all’eventuale cooperazione attiva dello stesso ente danneggiato.
Infatti in ambito civile (responsabilità extracontrattuale) a differenza dell’ambito penale la condotta, anche dolosa, del suo funzionario od impiegato comporta la conseguente riduzione della responsabilità civile del danneggiante ai sensi dell’art. 1227 c.c., comma 1, – richiamato dall’art. 2056 cod. civ. (Cass. 564/2005, 4954/2007) – ove i comportamenti dell’uno e dell’altro abbiano determinato una situazione tale che, senza uno di essi, l’evento non si sarebbe verificato (art. 40 cod. pen.).
Nella fattispecie in esame, in tema di responsabilità della P.A. per fatto lesivo cagionato dall’operato dei suoi dipendenti, al risarcimento dei danni non patrimoniali e tenuto non solo il dipendente ma anche, in solido, il responsabile civile. Pertanto l’ente pubblico committente di un appalto risponde direttamente della condotta dei suoi organi che partecipano alla procedura dell’aggiudicazione ed approvazione del contratto (cass. del 16 febbraio 2010 n. 3672).
La fattispecie in esame ci consente di ribadire inoltre l’esistenza della giurisdizione in materia di contabilità pubblica (comprensiva sia dei giudizi di conto che di quelli sulla responsabilità amministrativa patrimoniale) – sussistente, a norma dell’art. 103 Cost., comma 2, nei confronti di dipendenti di enti che maneggiano pubblico danaro (CASS. S.U. 3375/1989, 3970/1993, 12708/1998, 1945/2002) – è indipendente dalla giurisdizione civile per il risarcimento dei danni derivanti da responsabilità contrattuale ed extracontrattuale anche quando il fatto materiale sia il medesimo (S.U. 5943/1993, 22277/2004, 20476/2005).
Infatti nei confronti dell’amministratore o impiegato pubblico, è rimessa all’iniziativa del P.G. della Corte dei Conti, tutore dell’interesse generale al corretto esercizio da parte dei pubblici dipendenti delle funzioni e del servizio loro affidati (responsabilità amministrativa patrimoniale di natura contrattuale), la volontà di agire a tutela dell’interesse dell’ente danneggiato.
E’ inveitabile per la Corte dei Conti agire quindi per vedere riconosciuto il danno non patrimoniale ravvisato nella lesione dell’immagine degli enti pubblici derivata dal discredito sociale degli stessi nella considerazione collettiva in conseguenza della violazione del bene giuridico, costituzionalmente tutelato, dell’imparzialità e del buon andamento dell’amministrazione, leso da provvedimenti adottati per interessi privati anzichè della collettività, in violazione dei doveri di ufficio e di norme penali (cass. del 16 febbraio 2010 n. 3672).