T.A.R. Lazio Roma Sez. II ter, Sent., 04-02-2011, n. 1074 Esercizi pubblici

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La società ricorrente A.D.S. s.r.l. è proprietaria di un immobile, sito nel Comune di Gaeta, in località Ariana, in via Flacca al km. 26,30, composto da tre piani e destinato ad albergoristorante, denominato H.A..

Con riguardo a detto immobile – realizzato in difformità rispetto alla licenza edilizia (n. 210 del 5.4.1967) in area assoggettata a vincolo paesaggistico – in data 7.11.1985 è stata presentata istanza prot. n. 27482, per la sanatoria dell’intervento abusivo ai sensi della legge 28 febbraio 1985, n. 47.

Tuttavia, la Regione Lazio – competente ad esprimersi, ex art. 32 della medesima legge, sulla compatibilità dell’intervento con il valore tutelato dal vincolo – ha concesso il nullaosta di cui al R.D. 29 giugno 1939, n. 1497, limitatamente a due piani dell’edificio, ossia al piano seminterrato ed al piano terra, rinviando invece il rilascio del nullaosta per il primo piano alla presentazione di un nuovo grafico progettuale.

Conseguentemente il Sindaco del Comune di Gaeta ha rilasciato alla società ricorrente la concessione edilizia in sanatoria in data 5.8.1988, limitatamente ai due piani di cui al favorevole parere regionale.

Nel corso del mese di giugno 1994, la società ricorrente – rientrata nella disponibilità dell’immobile a seguito di alcune vicende giudiziarie intercorse con la società che ne aveva acquisito la gestione in quanto affittuaria dell’intero complesso – ha ripreso in proprio l’attività alberghiera e di ristorazione.

Con l’ordinanza del Sindaco del Comune di Gaeta n. 243/1994 è stata disposta, ai sensi dell’art. 222 del R.D. 27 luglio 1934, n. 1265 (testo unico delle leggi sanitarie, di seguito, T.U.L.S.), la chiusura dell’esercizio commerciale di ristorante sito al primo piano (indicato come terzo piano, in quanto successivo al piano interrato ed al piano terra) del complesso alberghiero poiché esercitato in locale da ritenersi abusivo e, pertanto, sprovvisto del certificato di abitabilità di cui all’art. 221 del R.D. n. 1265 del 1934.

Con il ricorso di cui in epigrafe, notificato e depositato nei termini, la società ricorrente ha impugnato la detta ordinanza, deducendone l’illegittimità per i seguenti motivi di censura:

1- Violazione e falsa applicazione degli artt. 7 e 8 della legge 7 agosto 1990, n. 241.

L’amministrazione comunale avrebbe omesso la previa comunicazione dell’avvio procedimentale.

2- Eccesso di potere per erroneità nei presupposti, sviamento di potere e vizio del procedimento.

La chiusura di un esercizio commerciale non può essere disposta sulla base di motivazioni inerenti esclusivamente il profilo edilizio, ed in particolare l’abusità del locale ove viene esercitata l’attività: l’ordinanza impugnata sarebbe pertanto basata su presupposti non rilevanti.

In sostanza, nella specie l’Amministrazione avrebbe esercitato un potere concernente la materia del commercio per la tutela di interessi di natura prettamente edilizia ed urbanistica, per i quali, invece, l’ordinamento ha predisposto diversi e specifici rimedi giuridici.

3- Violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 221 del R.D. n. 1265 del 1934 e 43, co. 2, del D.P.R. 30 maggio 1989, n. 223 ed eccesso di potere per vizio del procedimento per l’omesso esame dell’istanza di rilascio del certificato di agibilità.

Il presupposto su cui si fonda il provvedimento – la mancanza del certificato di agibilità – non sarebbe idoneo a supportare l’ordine di chiusura atteso che il dirigente sanitario della U.S.L. LT/6, con la nota di cui al prot. n. 230 dell’11.5.1988, aveva dichiarato l’immobile di cui trattasi agibile – nella sua interezza – allo svolgimento dell’attività alberghiera ed atteso che il medesimo dirigente, con la successiva nota di cui al prot. n. 1030 del 3.7.1989, aveva espresso parere favorevole all’idoneità igienico sanitaria dei locali e delle attrezzature per la ristorazione ai fini dell’autorizzazione sanitaria, con il conseguente rilascio di tale titolo, da parte del Sindaco del Comune di Gaeta, n. 223 del 6.7.1989.

Inoltre la società ricorrente aveva, altresì, presentato, in data 26.7.1994, l’istanza per il rilascio del certificato di agibilità del locale di cui trattasi ai fini dell’esercizio dell’attività di ristorazione, con la conseguenza che l’amministrazione comunale, prima di disporre la chiusura dell’esercizio commerciale, avrebbe dovuto pronunciarsi sulla suddetta istanza. Comunque, si aggiunge ancora, ai fini dell’effettivo esercizio della relativa attività sarebbe sufficiente la sola presentazione dell’istanza ai sensi del richiamato art. 43.

Il Comune di Gaeta si è costituito in giudizio in data 2.11.1994 depositando memoria difensiva – con la quale ha argomentatamene dedotto la infondatezza nel merito delle censure e ha chiesto il rigetto il ricorso – con allegata documentazione concernente la vicenda di cui trattasi.

Con l’ordinanza n. 2808/1994 del 4.11.1994 è stata accolta l’istanza di sospensione dell’esecutività del provvedimento impugnato.

Alla pubblica udienza del 7.12.2010 il ricorso è stato trattenuto in decisione alla presenza dei procuratori delle parti come da separato verbale di causa.
Motivi della decisione

Con il ricorso in trattazione la società ricorrente ha impugnato l’ordinanza del Sindaco del Comune di Gaeta n. 243/1994, con la quale è stata disposta la chiusura dell’esercizio commerciale di ristorante, ubicato al primo piano del complesso alberghiero denominato "H.A.", sito nel Comune di Gaeta, in quanto esercitato in locale da ritenersi abusivo e, pertanto, sprovvisto del certificato di abitabilità di cui all’art. 221 del R.D. n. 1265 del 1934.

Il ricorso è infondato nel merito per le considerazioni che seguono.

Dall’esame della documentazione versata in atti dalle parti del giudizio emerge come il locale che interessa, ossia il piano primo dell’immobile, fosse da ritenersi, al momento dell’adozione del provvedimento impugnato, abusivo, in quanto realizzato in difformità alla relativa licenza edilizia e non ammesso a concessione edilizia in sanatoria; tanto è vero che il certificato di agibilità è stato rilasciato da parte del Comune, in data 19.6.1989, limitatamente agli altri due piani dell’immobile, ossia il piano seminterrato ed il piano terra, con riguardo ai quali era stato rilasciato il condono.

E’ circostanza incontestata che il piano primo dell’immobile sia privo del relativo certificato di agibilità: risulta infatti che la società ricorrente ha provveduto a richiederne il rilascio soltanto in data 26.7.1994.

Né si può ritenere rilevante, sul punto, il richiamo alla nota del dirigente sanitario della U.S.L. LT/6 di cui al prot. n. 230 dell’11.5.1988, avente ad oggetto il certificato di cui al D.P.R. n. 1437 del 30.12.1970, con il quale, osserva la società ricorrente, è stata attestata l’agibilità dell’immobile nella sua interezza, con riguardo allo svolgimento dell’attività alberghiera. Altrettanto irrilevante deve ritenersi il riferimento sia alla successiva nota, prot. n. 1030 del 3.7.1989, con cui il medesimo dirigente ha espresso parere favorevole – in ordine all’idoneità igienicosanitaria dei locali e delle attrezzature per la ristorazione – ai fini del rilascio dell’autorizzazione sanitaria (a condizione dell’allaccio del fabbricato alla fognatura dinamica comunale entro sei mesi); sia al conseguente rilascio, da parte del Sindaco del Comune di Gaeta, dell’autorizzazione sanitaria ai fini della ristorazione (n. 223 del 6.7.1989).

Gli atti richiamati non hanno infatti efficacia dirimente nei sensi prospettati da parte della difesa della società ricorrente.

Al riguardo si premette che tanto il certificato di agibilità dei locali, quanto l’ autorizzazione sanitaria sono requisiti necessari allo svolgimento dell’attività di somministrazione di alimenti e bevande; la circostanza che, pertanto, fosse intervenuto, nel caso di specie, il rilascio dell’autorizzazione sanitaria e dell’autorizzazione commerciale – ma non del certificato di abitabilità – non consente di ritenere che la relativa attività potesse essere esercitata nei locali di cui trattasi.

Quanto alla richiamata nota del dirigente sanitario della U.S.L. in data 11.5.1988, essa costituisce soltanto un certificato descrittivo dell’immobile di cui trattasi con valenza eventualmente di mero parere preventivo, essendo di competenza esclusiva del Sindaco il rilascio del certificato di agibilità.

Ciò che invece rileva è la circostanza che l’impugnata ordinanza sia stata adottata da parte del Comune ai sensi del combinato disposto degli artt. 221 e 222 del T.U.L.S.

Il richiamato articolo 221 dispone che: " Gli edifici o parti di essi indicati nell’articolo precedente non possono essere abitati senza autorizzazione del podestà, il quale la concede quando, previa ispezione dell’ufficiale sanitario o di un ingegnere a ciò delegato, risulti che la costruzione sia stata eseguita in conformità del progetto approvato, che i muri siano convenientemente prosciugati e che non sussistano altre cause di insalubrità….".

Il successivo art. 222, dispone a sua volta che: "Il podestà, sentito l’ufficiale sanitario o su richiesta del medico provinciale, può dichiarare inabitabile una casa o parte di essa per ragioni igieniche e ordinarne lo sgombero. ".

Va subito rilevato che l’autorizzazione (o licenza) di agibilità – introdotta dal richiamato articolo 221 in un’epoca in cui le prescrizioni urbanistiche erano pressoché inesistenti – riguarda solo la salubrità "degli ambienti", e quindi l’edificio in se stesso considerato, ossia il solo manufatto edilizio.

Va rilevato ancora che il rilascio del cosiddetto certificato di agibilità sanitaria è prescritto da tale disposizione con riguardo non soltanto agli immobili ad uso strettamente abitativo, ma anche a quelli adibiti (o da adibire) a scopi diversi, purché l’attività che vi si dovrà svolgere preveda comunque un uso che comporti la frequentazione da parte delle persone: la frase "gli edifici o parti di essi non possono essere abitati senza autorizzazione" va infatti interpretata in senso estensivo, attese le finalità che la legge chiaramente si prefigge, che sono quelle di evitare danni alle persone che si trovino ad intrattenersi in locali che, qualora non sottoposti ad adeguato controllo da parte dell’autorità sanitaria, potrebbero non avere determinate caratteristiche di igienicità, salubrità, sufficiente areazione ecc (Cassazione penale, sez. I, 5 aprile 1996, n. 5588).

L’indagine che il sindaco è chiamato a svolgere per il rilascio dell’autorizzazione di cui all’art. 221 è, pertanto, finalizzata al solo accertamento della conformità della costruzione al progetto approvato e della mancanza di cause di insalubrità limitate alla costruzione edilizia in sé considerata.

Va poi aggiunto che, secondo l’orientamento della giurisprudenza, l’atto propulsivo per il rilascio della licenza di abitabilità di un immobile deve muovere dal titolare della relativa concessione edilizia e la data della conseguita abitabilità è sempre quella di rilascio del relativo provvedimento autorizzatorio ex art. 221 T.U.L.S. (Consiglio di Stato, sez. IV, 4 agosto 1986, n. 538).

Tale disposizione, pertanto, legittima il divieto di prosecuzione dell’attività in locali privi di abitabilità (cfr. T.A.R. Sardegna, Cagliari, 6 febbraio 2002, n. 115); e legittimamente l’amministrazione – ai sensi dell’articolo medesimo – dispone l’ordine di sgombero di un’immobile in caso di mancanza della licenza di agibilità, che costituisce appunto presupposto indispensabile perché un locale possa essere frequentato, a prescindere dalla effettiva salubrità, igienicità ed incolumità del locale stesso (T.A.R. Lombardia, Milano, sez. I, 16 novembre 2001, n. 7283).

Per quanto attiene, poi, alla lamentata commistione di profili diversi, quello commerciale e quello urbanisticoedilizio, è senza dubbio vero che solo l’art. 4 del decreto legge 5 ottobre 1993, n. 398, ha testualmente esteso i controlli da effettuare ai fini del rilascio della licenza di abitabilità all’accertamento della conformità urbanisticoedilizia, mentre l’articolo 221, ai medesimi fini, postulava la verifica dell’inesistenza di cause di insalubrità dell’edificio, senza alcun collegamento con finalità di carattere ediliziourbanistico, riservando comunque all’Amministrazione comunale il potere di reprimere gli abusi edilizi, ancorché fosse stato rilasciato il certificato di abitabilità.

E’ però da rilevare come, nel caso di specie, il provvedimento impugnato sia stato adottato dopo l’entrata in vigore della richiamata innovativa disciplina. In ogni caso, oggetto d’impugnazione non è il diniego del rilascio del certificato di agibilità ai sensi dell’art. 221 per motivi inerenti interessi edilizi ed urbanistici, bensì l’ordine di sgombero fondato sulla mancanza da parte della società ricorrente del certificato di agibilità.

E la circostanza che la società ricorrente fosse priva del detto certificato è dimostrato ancora di più dall’intervenuta richiesta formulata da parte della stessa al Comune ai predetti fini (e concernente, pertanto, specificatamente il piano primo dell’immobile di cui trattasi) soltanto alla data del 26.7.1994.

Né si ritiene che la semplice presentazione della detta istanza fosse sufficiente non essendosi ancora concluso il relativo procedimento alla data di adozione del provvedimento impugnato.

In tal senso, infatti, non vale il richiamo all’art. 43, co. 2, del D.P.R. 30 maggio 1989, n. 223, rubricato "Obblighi dei proprietari di fabbricati.", il quale dispone testualmente che:" 1. Gli obblighi di cui all’art. 42 devono essere adempiuti non appena ultimata la costruzione del fabbricato.

2. A costruzione ultimata e comunque prima che il fabbricato possa essere occupato, il proprietario deve presentare al comune apposita domanda per ottenere sia l’indicazione del numero civico, sia il permesso di abitabilità se trattasi di fabbricato ad uso di abitazione, ovvero di agibilità se trattasi di fabbricato destinato ad altro uso….",

E’ infatti da rilevare che, in forza di quanto previsto dal richiamato articolo, l’assegnazione della numerazione civica presuppone, al pari della abitabilità, l’esistenza di un titolo edilizio in base al quale la costruzione è stata realizzata (T.A.R. Lombardia Milano, sez. II, 20 marzo 2009, n. 1954).

Per le considerazioni che precedono, peraltro, si ritiene, altresì, infondato il primo motivo di censura con il quale è stata dedotta la violazione dell’art. 7 della L. n. 241 del 1990 per la mancata previa comunicazione dell’avvio procedimentale, atteso che ai sensi dell’articolo 21 octies, comma 2, seconda parte, della legge n. 241 del 1990, "Il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato".

Nel caso di specie – proprio in considerazione della mancanza del certificato di agibilità, circostanza dimostrata in giudizio – il Comune non poteva se non procedere all’adozione del provvedimento di sgombero del locale ai sensi del richiamato art. 222 del T.U.L.S.

Il ricorso va dunque respinto.

Tenuto conto della particolare situazione in fatto, le spese di lite e le competenze del giudizio possono essere integralmente compensate tra le parti.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sez. II ter, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *