Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
Riferisce la ricorrente di aver dovuto realizzare, per l’impellente necessità di disporre di un deposito provvisorio per lo stoccaggio di materiali e attrezzature, un capannone della superficie coperta di meno di 200 mq, costruito con "struttura amovibile".
La costruzione, realizzata in assenza di concessione edilizia, è stata sanzionata con l’impugnata ordinanza di demolizione.
Successivamente la ricorrente ha presentato domanda di accertamento di conformità che è stata respinta con il provvedimento, parimenti impugnato, del 24.10.2005.
A fondamento della reiezione il Responsabile del settore tecnico del Comune richiama l’articolo 13 delle norme di attuazione del PUC che subordina gli interventi di edilizia "alla preventiva approvazione di un piano attuativo esteso all’intero comparto".
La ricorrente deduce l’illegittimità del provvedimento impugnato sostenendo che per l’edificazione nel complesso di sua proprietà non sarebbe necessario alcun piano attuativo in quanto la zona risulta totalmente urbanizzata, essendo dotata di "tutte le opere ed i servizi volti a soddisfare i bisogni della collettività, quali strade, fognature, linee elettriche ed idriche etc.".
La difesa del Comune sostiene invece che la zona non sia servita da tutte le opere di urbanizzazione precisando, in particolare, che "la viabilità è basata su una strada di penetrazione agraria, dotata di fondo sconnesso e irregolare in terra naturale…non sono presenti condotte di raccolta degli scarichi fognari e si è rilevata la presenza di un canale di scolo a cielo aperto…non è presente alcun impianto di illuminazione pubblica al servizio dell’area".
Di fronte a tale contestazione in fatto, la difesa della ricorrente nella memoria conclusionale ha chiesto l’esperimento di una CTU al fine di stabilire quale sia effettivamente il livello di urbanizzazione dell’area in esame.
La Sezione, in accoglimento della richiesta, con ordinanza n. 42 del 4 giugno 2010 ha disposto una Consulenza tecnica di ufficio al fine dell’accertamento del livello di infrastrutturazione del comparto ove è ubicato il complesso aziendale della società ricorrente, anche in considerazione del fatto che la documentazione depositata dalla difesa del Comune non chiarisce con precisione la situazione complessiva, limitandosi ad evidenziare (con la relazione dell’ufficio tecnico del 16.6.2006) la mancanza di opere di urbanizzazione nella parte attigua al capannone, senza considerare e descrivere l’intera zona dove è ricompreso il complesso aziendale della ricorrente.
In particolare al CTU è stato chiesto, con la citata ordinanza, "di descrivere il comparto ove è ricompresa l’area della ricorrente, precisando quali siano le opere di urbanizzazione presenti, il loro stato di completamento e di manutenzione (e di)… esprimere un giudizio sulla loro adeguatezza in relazione alla destinazione di zona."
La consulenza tecnica è stata depositata dall’incaricato in data 10 settembre 2010, con la risposta alle osservazioni presentate dai consulenti di parte.
All’udienza pubblica del 14 dicembre 2010 le parti hanno insistito nelle loro conclusioni rassegnate con gli scritti difensivi, quindi la causa è stata trattenuta in decisione dal Collegio.
Motivi della decisione
Con il ricorso in esame la società L.M. impugna l’ordinanza, n. 17 del 21.3.2005, con la quale il Responsabile del settore tecnico del Comune di Elmas ha disposto la demolizione di un capannone di circa 180 mq realizzato in assenza di concessione edilizia.
Impugna poi il provvedimento n. 0016339 del 24.10.2005, con il quale lo stesso Responsabile del settore tecnico ha respinto la domanda di accertamento di conformità presentata dalla ricorrente per la regolarizzazione del capannone.
Impugna anche il preavviso di diniego e l’articolo 13 delle norme di attuazione del P.U.C. di Elmas.
La domanda di annullamento dell’ordinanza di demolizione è diventata improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse.
Successivamente all’adozione della impugnata ordinanza di demolizione, parte ricorrente ha presentato, in data 23.05.2005, domanda di accertamento di conformità.
La richiesta di accertamento di conformità ha comportato il venir meno dell’effetto lesivo dell’ordine di demolizione.
Com’è noto con la presentazione della domanda di sanatoria o di accertamento di conformità, viene ad instaurarsi un nuovo procedimento che può culminare con il rilascio della concessione edilizia in sanatoria o con il rigetto della nuova domanda. In ambedue i casi viene meno la precedente situazione litigiosa perché essa verrà superata dal nuovo provvedimento del Comune che conclude il procedimento di sanatoria.
Da esso conseguirà, infatti, o la soddisfazione dell’interesse del ricorrente, qualora venisse rilasciata la concessione in sanatoria, o l’instaurarsi di una nuova situazione litigiosa (con possibili diversi connotati) qualora venisse respinta la domanda di sanatoria (cfr. TAR Sardegna 8.6.1995 n. 1054 e 26.4.1997 n. 535).
L’impugnato provvedimento è venuto, quindi, a perdere la portata lesiva, non potendo più essere eseguito, per inconciliabilità con il nuovo procedimento apertosi a seguito della predetta istanza della società ricorrente.
La res litigiosa è venuta ora da incentrarsi sul diniego di accertamento di conformità della costruzione in precedenza sanzionata con l’ordine di demolizione.
L’impugnato diniego si fonda sulla prescrizione dettata dall’articolo 13 delle norme di attuazione del PUC, che per la zona ove è stato realizzato il capannone richiede la preventiva approvazione di un piano attuativo esteso all’intero comparto.
La società ricorrente, con il primo motivo, deduce la violazione dell’art. 13 sostenendo che non fosse necessario il piano attuativo in quanto la zona è completamente urbanizzata.
La difesa del Comune difende il provvedimento del competente ufficio, rilevando che il comparto ove si trova l’immobile della ricorrente non è servito da tutte le opere di urbanizzazione previste dalla legge.
Per risolvere il contrasto tra le asserzioni riportate, la Sezione, in accoglimento della richiesta della difesa della società ricorrente, con ordinanza n. 42 del 4 giugno 2010, ha disposto una Consulenza tecnica di ufficio al fine dell’accertamento del livello di infrastrutturazione del comparto ove è ubicato il complesso aziendale della società ricorrente.
Dalla puntuale relazione del CTU, depositata il 10 settembre 2010, è emerso che le opere di urbanizzazione esistenti nel comparto sono totalmente insufficienti.
In particolare la rete viaria e gli spazi per parcheggio esistenti sono del tutto inadeguati per dimensioni e non coprono l’intero comparto, mentre manca del tutto la rete di illuminazione pubblica.
Nella relazione si evidenzia che "all’interno del comparto non sono presenti strade di penetrazione e parcheggi ad uso pubblico" e che le poche opere di urbanizzazione presenti (condotta idrica, condotta fognaria, la rete elettrica e la rete telefonica) si trovano soltanto nel tratto di strada di via Maiorana, ma non si estendono all’intero comparto.
Per queste ragioni il CTU conclude la relazione precisando come "il comparto non sia attualmente dotato delle opere di urbanizzazione adeguate alla destinazione di zona".
Il consulente tecnico di parte ricorrente, con le osservazioni dell’8 settembre 2010, sostiene che la conclusione del CTU non sia corretta perché considera le esigenze teoriche del comparto anziché limitarsi a verificare l’adeguatezze delle opere di urbanizzazione con riferimento alle costruzioni ed attività presenti nel comparto.
In particolare sostiene che il fabbisogno infrastrutturale non va calcolato il relazione al teorico utilizzo delle volumetrie realizzabili nel comparto, ma con riferimento alla effettiva volontà dei proprietari di utilizzazione delle aree. Identica tesi argomentativa è stata ripresa dal difensore della ricorrente società con la memoria conclusiva.
Le osservazioni di parte ricorrente non possono essere condivise.
Prima di tutto va evidenziato che le opere di urbanizzazione non sono sufficienti neppure con riferimento alle attività esercitate dalla società ricorrente, stante la totale assenza di illuminazione pubblica e l’inadeguatezza della stessa strada di via Maiorana, a causa delle sue ridotte dimensioni e del suo stato di manutenzione.
Comunque non è condivisibile il principio di fondo su cui poggia la tesi della difesa della ricorrente, ossia che il dimensionamento delle opere di urbanizzazione vada visto in relazione al contingente utilizzo delle aree da parte dei proprietari delle stesse.
E ben vero che i proprietari delle aree del comparto potrebbero, per loro scelta discrezionale, non voler utilizzare tutta la potenzialità edificatoria che il PUC consente con la destinazione di zona, ma ciò non può dipendere da scelte contingenti e non definitive degli stessi proprietari.
Lo strumento per raggiungere simile scopo è proprio quello del piano attuativo, con il quale i proprietari lottizzanti ben potrebbero ridurre, anche di molto, la cubatura realizzabile nel comparto, dimensionando conseguentemente le opere di urbanizzazione all’effettivo utilizzo programmato.
In assenza di piano attuativo, l’utilizzo delle aree non può dipendere dal contingente interesse dei proprietari delle stesse, anche in considerazione del possibile, fisiologico mutamento, nel tempo, della titolarità delle stesse e conseguentemente dei probabili diversi interessi di cui sarebbero portatori i nuovi proprietari. Solo con le regole certe del piano attuativo, lo sfruttamento delle aree del comparto potrebbe essere contenuto nei limiti, ora, ritenuti adeguati dalla ricorrente società.
Che lo sfruttamento edilizio del territorio non possa avvenire senza regole certe, lo dimostra lo stesso operato della società ricorrente che ha realizzato un capannone di grosse dimensioni senza attendere una verifica da parte del Comune sull’adeguatezza delle opere di urbanizzazione e quindi sul previo giudizio di conformità dell’opera da realizzare alle previsioni dello strumento urbanistico, da esprimere in sede di esame della richiesta di concessione edilizia.
E’ fin troppo evidente che la valutazione sul dimensionamento delle opere di urbanizzazione non può consistere in un giudizio soggettivo del proprietario delle aree, orientato esclusivamente a soddisfare interessi privati, ma deve tener conto del programma edilizio che l’ente locale vorrà realizzare su tale area, al fine pubblico di una equilibrata disciplina del territorio, con lo strumento tipico previsto dalla legge: il piano di lottizzazione, regolarmente approvato dal Consiglio comunale.
Con specifico riferimento alle problematiche sull’adeguatezza delle opere di urbanizzazione, la giurisprudenza pacificamente ritiene che la concessione diretta può essere rilasciata solo ove esistano tutte le opere di urbanizzazione previste dalla legge e non sussistano esigenze di completamento o integrazione delle urbanizzazioni esistenti.
In particolare "il principio secondo cui va esclusa la necessità di strumenti attuativi per il rilascio di concessioni in zone già urbanizzate è applicabile solo nei casi nei quali la situazione di fatto, in presenza di una pressoché completa edificazione della zona, sia addirittura incompatibile con un piano attuativo (ad es. il lotto residuale ed intercluso in area completamente urbanizzata), ma non anche all’ipotesi in cui per effetto di una edificazione disomogenea ci si trovi di fronte ad una situazione che esige un intervento idoneo a restituire efficienza all’abitato, riordinando e talora definendo "ex novo" un disegno urbanistico di completamento della zona, ad esempio debba essere completato il sistema della viabilità secondaria nella zona o quando debba essere integrata l’urbanizzazione esistente garantendo il rispetto degli standards minimi per spazi e servizi pubblici e le condizioni per l’armonico collegamento con le zone contigue, già asservite all’edificazione" (cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 15/05/2002, n. 2592).
E ancora, "l’esigenza di un piano di lottizzazione, quale presupposto per il rilascio della concessione edilizia, s’impone anche al fine di un armonico raccordo con il preesistente aggregato abitativo, allo scopo di potenziare le opere di urbanizzazione già esistenti e, quindi, anche alla più limitata funzione di armonizzare aree già compromesse ed urbanizzate, che richiedono una necessaria pianificazione della "maglia", e perciò anche in caso di lotto intercluso o di altri casi analoghi di zona già edificata e urbanizzata" (cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 01/10/2007, n. 5043).
Alla luce di pacifici principi sopra riportati, la censura va respinta atteso che il comparto ove è stato realizzato il capannone abusivo non è dotato delle opere di urbanizzazione previste dalla legge.
Con il secondo motivo viene proposta la censura di eccesso di potere.
Sostiene la ricorrente che l’articolo 13 delle norme di attuazione al PUC, che condiziona il rilascio della concessione edilizia alla previa presentazione di un piano attuativo, sarebbe illegittimo nella parte in cui non prevede che la strumentazione urbanistica di dettaglio sia superflua nel caso in cui la zona interessata sia già completamente urbanizzata.
La censura non può essere condivisa.
La possibilità di costruire con concessione diretta deriva direttamente dai principi in materia edilizia, nelle ipotesi in cui il lotto interessato sia servito da tutte le opere di urbanizzazione e non vi siano esigenze di completamento o integrazione delle stesse, senza che vi sia la necessità di una specifica norma nel regolamento comunale.
Il principio non vale nel caso di specie, non tanto perché non è ripreso da alcuna norma regolamentare del Comune, quanto perché manca il presupposto di applicazione di esso, ossia la completa urbanizzazione del comparto ove è ubicato il lotto.
Per le su esposte considerazioni il ricorso va respinto.
Le spese della Consulenza tecnica di ufficio e le spese del giudizio vanno poste a carico della ricorrente, risultata soccombente, nella misura liquidata nel dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna (Sezione Seconda)
definitivamente pronunciando, respinge il ricorso come in epigrafe proposto.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese per la consulenza tecnica che liquida nella somma di Euro 1500,00, già corrisposta a titolo di acconto e nella ulteriore somma di Euro 3.102,84 (tremilacentodue//84) in essa compresi gli oneri per cassa di previdenza, l’IVA e la ritenuta d’acconto.
Condanna altresì la medesima ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, in favore del Comune di Elmas, che liquida nella complessiva somma di Euro 3.000,00 (tremila).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
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