Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
Con sentenza dell’8/10/2003 il Tribunale di Perugia condannava i convenuti sig. S.G., società Baldan Auto di Baldan Arrigo & figli s.a.s., società Assicurazioni. Generali s.p.a., nonchè l’interveniente volontario I.N.A.I.L. e la chiamata società Atala Trasporti s.n.c., al pagamento, in via solidale, di somma in favore dell’attore sig. A.A., a titolo di risarcimento dei danni da quest’ultimo subiti all’esito di sinistro stradale avvenuto il (OMISSIS).
Con sentenza del 27/11/2007, nella contumacia dello S. e della società Atala Trasporti s.n.c., in parziale riforma di tale decisione gravata da appello dall’I.N.A.I.L. e dalla società Assicurazioni Generali s.p.a. nonchè, in via incidentale, dalla società Baldan Auto s.r.l. (già Baldan Auto di Baldan Arrigo & figli s.a.s.), la Corte d’Appello di Perugia successivamente rigettava la domanda dell’ A. nei confronti della società Assicurazioni Generali s.p.a., regolando altresì le spese del doppio grado di giudizio.
Avverso la suindicata sentenza della corte di merito la società Baldan Auto s.r.l. propone ora ricorso per cassazione, affidato ad unico, complesso motivo.
Resiste con controricorso l’ A., che propone altresì ricorso indentale tardivo sulla base di 2 motivi.
Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva.
Motivi della decisione
Con unico complesso motivo la ricorrente in via principale denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 2054, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; nonchè contraddittorietà ed illogicità della motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
Il motivo è inammissibile, in applicazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, art. 366 bis c.p.c., e art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5.
L’art. 366 bis c.p.c., dispone infatti che nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4, l’illustrazione di ciascun motivo deve, a pena di inammissibilità, concludersi con la formulazione di un quesito di diritto (cfr. Cass., 19/12/2006, n. 27130).
Una formulazione del quesito di diritto idonea alla sua funzione richiede allora che con riferimento ad ogni punto della sentenza investito da motivo di ricorso la parte, dopo avere del medesimo riassunto gli aspetti di fatto rilevanti ed avere indicato il modo in cui il giudice li ha decisi, esprima la diversa regola di diritto sulla cui base il punto controverso avrebbe dovuto essere viceversa risolto.
Il quesito di diritto deve essere in particolare specifico e riferibile alla fattispecie (v. Cass., Sez. Un., 5/1/2007, n. 36), risolutivo del punto della controversia – tale non essendo la richiesta di declaratoria di un’astratta affermazione di principio da parte del giudice di legittimità (v. Cass., 3/8/2007, n. 17108)-, e non può con esso invero introdursì un tema nuovo ed estraneo (v.
Cass., 17/7/2007, n. 15949).
Il quesito di diritto di cui all’art. 366 bis c.p.c., deve comprendere l’indicazione sia della regula iuris adottata nel. provvedimento impugnato, sia del diverso principio che il ricorrente assume corretto e che si sarebbe dovuto applicare in sostituzione del primo, sicchè la mancanza anche di una sola delle due suddette indicazioni rende il ricorso inammissibile, non potendo considerarsi in particolare sufficiente ed idonea la mera generica richiesta di accertamento della sussistenza della violazione di una norma di legge (da ultimo v. Cass., 28/5/2009, n. 12649).
Orbene, nel non osservare i requisiti richiesti dallo schema delineato in giurisprudenza di legittimità (cfr. in particolare Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n.. 2658; Cass., Sez. Un., 5/1/2007, n. 36), il quesito recato dal ricorso risulta formulato in termini difformi dal suindicato schema, non recando la riassuntiva indicazione degli aspetti di fatto rilevanti, del modo in cui i giudici del merito li hanno rispettivamente decisi, nonchè della diversa regola di diritto la cui applicazione avrebbe condotto a diversa decisione, palesandosi invero astratto e generico, sostanziandosi nella richiesta di declaratoria di generico principio di diritto e a tale stregua privo di riferibilità al caso concreto in esame e di decisività tale da consentire, in base alla sua sola lettura (v. Cass., Sez. Un., 27/3/2009, n. 7433; Sez. Un., 14/2/2008, n. 3519; Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658; Cass., 7/4/2009, n. 8463), di individuare la soluzione adottata, dalla sentenza impugnata e di precisare i termini della contestazione (cfr. Cass., Sez. Un., 19/5/2008, n. 12645; Cass., Sez. Un., 12/5/2008, n. 11650; Cass., Sez. Un., 28/9/2007, n. 20360), nonchè di circoscrivere la pronunzia nei limiti del relativo accoglimento o rigetto (cfr., Cass., Sez. Un., 26/03/2007, n. 7258), senza che esso debba richiedere, per ottenere risposta, una scomposizione in più parti prive di connessione tra loro (cfr. Cass., 23/6/2008, n. 17064).
L’inidonea formulazione del quesito di diritto equivale invero alla relativa omessa formulazione, in quanto nel dettare una prescrizione di ordine formale la norma incide anche sulla sostanza dell’impugnazione, imponendo al ricorrente di chiarire con il quesito l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta fattispecie (v. Cass., 7/4/2009, n. 8463; Cass. Sez. un., 30/10/2008, n. 26020; Cass. Sez. un., 25/11/2008. n. 28054), (anche) in tal caso rimanendo invero vanificata la finalità di consentire a questa Corte il miglior esercizio della funzione nomofilattica sottesa alla disciplina del quesito introdotta con il D.Lgs. n. 40 del 2006 (cfr., da ultimo, Cass. Sez. un., 10/9/2009, n. 19444).
La norma di cui all’art. 366 bis c.p.c., è d’altro canto insuscettibile di essere interpretata nel senso che il quesito di diritto possa, e a fortiori debba, desumersi implicitamente dalla formulazione del motivo, giacchè una siffatta interpretazione si risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma in questione (v,.
Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658; Cass., Sez. Un., 26/03/2007, n. 7258).
Tanto più che nel caso il motivo risulta formulato in violazione del principio di autosufficienza, atteso che la ricorrente fa richiamo ad atti e documenti del giudizio di merito limitandosi a meramente richiamarli, senza invero debitamente riprodurli nel ricorso (es., al "contratto di vendita", agli "accordi sussistenti tra la concessionaria e le società addette al trasporto e alla consegna dei veicoli", agli "specifici e precisi accordi in merito alle modalità di scarico delle vetture", agli "elementi probatori" acquisiti nel giudizio di merito).
Quanto al pure denunziato vizio di motivazione, a completamento della relativa esposizione esso deve indefettibilmente contenere la sintetica e riassuntiva indicazione: a) del fatto controverso; b) degli elementi di prova la cui valutazione avrebbe dovuto condurre a diversa decisione; c) degli argomenti logici per i quali tale diversa valutazione sarebbe stata necessaria (art. 366 bis c.p.c.).
Al riguardo, si è precisato che l’art. 366 bis c.p.c., rispetto alla mera illustrazione del motivo impone un contenuto specifico autonomamente ed immediatamente individuabile, ai fini dell’assolvimento del relativo onere essendo pertanto necessario che una parte del medesimo venga a tale indicazione "specificamente destinata" (v. Cass., 18/7/2007, n. 16002).
Orbene, nel caso il motivo non reca la "chiara indicazione" – nei termini più sopra indicati – delle relative "ragioni", inammissibilmente rimettendosene l’individuazione all’attività esegetica di questa Corte, con interpretazione che si risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma in questione (cfr. Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658; Cass., Sez. Un., 26/03/2007, n. 7258), e a fortiori non consentita in presenza di formulazione come detto nella specie altresì carente di autosufficienza.
Il motivo si palesa pertanto privo dei requisiti a pena di inammissibilità richiesti dai sopra richiamati articoli, nella specie applicantisi nel testo modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, essendo stata l’impugnata sentenza pubblicata successivamente alla data (2 marzo 2006) di entrata in vigore del medesimo.
All’inammissibilità del motivo consegue l’inammissibilità del ricorso principale, con conseguente inefficacia del ricorso incidentale tardivo proposto dall’ A. (v. Cass., 28/1/2010, n. 1805. V. anche Cass., 11/6/2008, n. 15483; Cass., Sez. Un., 14/4/2008, n. 9741).
Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza in favore del controricorrente A..
Non è viceversa a farsi luogo a provvedimento in ordine alle spese in favore degli altri intimati, non avendo i medesimi svolto attività difensiva.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle; spese del giudizio di cassazione in favore del controricorrente A., che liquida in complessivi Euro 2.700,00, di cui Euro 2.500,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori come per legge.
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