Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Con sentenza in data 30.9.2004, il Tribunale di Roma, fra l’altro, dichiarò B.R., M.B.M. e R. L.G. responsabili dei reati di associazione per delinquere (capo A), falso in atto pubblico con induzione in errore del pubblico ufficiale (capi B i primi due e C tutti e tre), falso in atto pubblico con induzione in errore e truffa (capi D, E, F solo R. e M., G ed H) unificati sotto il vincolo della continuazione e – concesse le attenuanti generiche equivalenti all’aggravante – condannò B. e R. alla pena di anni 4 mesi 6 di reclusione e M. alla pena di anni 4 mesi 5 di reclusione.
Gli imputati furono altresì condannati, in solido con altri, al risarcimento dei danni ed alla rifusione delle spese a favore della parte civile Banca di Roma.
Avverso tale pronunzia gli imputati sopra indicati, insieme ad altri, proposero gravame e la Corte d’appello di Roma, con sentenza in data 20.11.2009, in riforma della decisione di primo grado, fra l’altro, dichiarò non doversi procedere in ordine ai delitti di truffa perchè estinti per prescrizione, assolse B., M. B. e R.L. dai reati loro rispettivamente ascritti ai capi B, C, D, H perchè il fatto non sussiste e determinò le pene residue per i menzionati imputati in anni 3 mesi 3 di reclusione ciascuno.
Ricorrono per cassazione i difensori degli imputati B. e M.B., nonchè R.L. personalmente. Il difensore di B.R. deduce:
1. violazione di legge in relazione al reato associativo ritenuto senza i requisiti minimi indispensabili; nel caso in esame era esiguo il numero di episodi qualificati come reati fine contestati (benchè la finanziaria amministrata da B. svolgesse moltissime operazioni analoghe a quelle contestate) in un arco temporale ridotto; non vi è prova del coinvolgimento degli imputati nei reati fine; non sono dimostrati rapporti se non episodici fra B. e R., mentre è apodittica l’affermazione che B. e M. si conoscessero, in quanto l’unica affermazione in proposito di M. è inutilizzabile in quanto solo resa al P.M. e mai confermata; nessun elemento conferma la comune volontà di commettere una serie indeterminata di delitti; il capo di imputazione fa riferimento ad un mutuo in data 24.5.1995 in realtà mai erogato;
era pertanto al più ipotizzabile un concorso di persone nel reato continuato;
2. violazione della legge processuale in relazione alla genericità del capo di imputazione sub A) relativo al reato associativo;
3. vizio di motivazione in relazione alla ritenuta responsabilità per il reato di cui al capo A) basata solo sulla affermazione che gli imputati erano estremamente collegati tra loro; in relazione ai reati di falso non vi è risposta alle doglianze svolte nei motivi di appello; in particolare per il capo G era stato segnalato che B. si era limitato ad erogare il mutuo, mentre per il capo E non si era occupato dell’istruttoria delle pratiche relative al mutuo, ma nulla di ciò è stato valutato nella sentenza di appello.
Il difensore di M.B.M. deduce:
1. erronea determinazione della pena in quanto, essendo stata affermata la responsabilità solo per il reato associativo, non poteva essere effettuato un aumento di pena per continuazione;
2. vizio di motivazione in relazione all’affermazione di responsabilità dell’imputato in ordine al reato associativo; la partecipazione avrebbe dovuto essere dimostrata con l’esistenza di condotte sintomatiche di divisione di compiti, comunità di mezzi, utilizzazione in comune di strutture; i vari reati erano contestati a soggetti diversi, ad alcuni dei quali non era contestato il reato associativo; difetta la struttura organizzativa e comunque la sentenza non motiva sugli elementi ritenuti indispensabili dalla giurisprudenza di legittimità.
R.L.G. deduce:
1. nullità del giudizio di appello in quanto per l’udienza del 5.10.2009 il difensore di R.L. aveva chiesto rinvio per legittimo impedimento e la Corte territoriale, in accoglimento della richiesta, rinviò all’udienza del 20.11.2009, disponendo la notifica al difensore Avv. Egidio Lanari, ma il verbale di udienza non fu notificato; all’udienza del 20.11.2009, stante l’assenza dell’avv. Egidio Lanari, fu nominato un difensore d’ufficio; ciò determinerebbe nullità assoluta;
2. nullità della notifica, laddove fosse stata effettuata per fax, in quanto tale modalità non fu autorizzata; peraltro mai nessun fax fu ricevuto dall’Avv. Lanari;
3. nullità del dibattimento d’appello in conseguenza delle nullità esposte nel primo e nel secondo motivo di ricorso;
4. nullità della sentenza impugnata in conseguenza delle nullità esposte nei precedenti motivi di ricorso;
5. nullità del giudizio e della sentenza impugnata per violazione dell’art. 420 c.p.p. (già 486) in quanto in data 18.5.2004, nel giudizio di primo grado, fu rigettata la richiesta di rinvio per legittimo impedimento per motivi di salute dell’Avv. Egidio Lanari, supportata da certificato medico, nonostante altra Sezione dello stesso Tribunale avesse ritenuto la sussistenza del legittimo impedimento;
6. nullità del giudizio per indeterminatezza dei capi di imputazione relativi ai delitti di falso, senza indicazione del pubblico ufficiale ingannato e degli atti falsi; la Corte territoriale ha affermato che è stato tratto in inganno il notaio rogante con l’esibizione di documenti falsi ( R.L. presentando un documento a nome di P.), ma nel capo G non vi è riferimento ad un atto pubblico, nè ad un notaio; in tale capo, come nei capi E ed F, si fa solo riferimento all’aver ingannato la banca; non vi è falsità nè materiale nè ideologica compiuta dal pubblico ufficiale, neppure per induzione in errore ai sensi dell’art. 48 c.p.; non è precisata la modalità con la quale il pubblico ufficiale sarebbe stato ingannato; la banca è un soggetto privato, sicchè la presentazione alla banca di atti falsi non potrebbe mai determinare la induzione in errore di un pubblico ufficiale;
l’indeterminatezza del capo di imputazione avrebbe impedito un’adeguata difesa;
7. nullità della sentenza per mancata corrispondenza fra imputazione e sentenze di primo e di secondo grado, dal momento che la contestazione del reato di cui agli artt. 48 – 476 c.p. di cui all’imputazione è stata modificata in quella di cui agli artt. 48 – 479 c.p., peraltro mantenendo l’indeterminatezza già denunziata nel sesto motivo;
8. mancato riconoscimento dello stato di necessità in quanto R. L. sarebbe stato sottoposto a minacce dirette anche alla famiglia da parte di B.R. in ragione della pregressa attività usuraria posta in essere nei confronti del ricorrente e dei suoi familiari da B.; la prova dell’esimente sarebbe fornita da documenti allegati al ricorso;
9. violazione della legge penale in relazione alla ritenuta sussistenza del reato associativo e comunque mancata applicazione della circostanza attenuante di cui all’art. 114 c.p.;
10. riduzione della pena ai minimi edittali stante l’incensuratezza del ricorrente;
11. mancato esame della richiesta di riapertura del dibattimento.
Con motivi nuovi depositati in data 1.12.2010 il difensore di M.B.M. deduce:
1. vizio di motivazione in relazione al reato associativo;
mancherebbero un programma delittuoso indeterminato ed una struttura;
2. intervenuta prescrizione del reato.
Il primo ed il terzo motivo proposto nell’interesse di B. R., il secondo motivo di ricorso proposto nell’interesse di M.B.M. ed il nono motivo di ricorso proposto da R.L.G. sono manifestamente infondati e svolgono censure di merito.
La Corte territoriale ha ritenuto la sussistenza dell’associazione per delinquere in base ai seguenti elementi: esistenza di un gruppo organizzato in modo stabile ed efficiente, partecipazione di almeno tre persone ( B., M.B. e R.L.), predisposizione di mezzi (finanziaria del B., impresa Ripolina servizi di R.L., realizzazione di materiale falso da parte di M.B.), realizzazione di un rilevante numero di delitti fine (fra i quali vanno considerati anche i reati di truffa per i quali è stata pronunziata sentenza di non doversi procedere per prescrizione).
In tale valutazione non vi è alcuna violazione di legge nè alcun vizio di motivazione che la renda sindacabile in questa sede.
Infatti, ai fini della configurabilità di una associazione a delinquere, il cui programma criminoso preveda un numero indeterminato di delitti contro il patrimonio e la conseguente distrazione dei beni dell’impresa nel cui nome gli associati compiano l’attività contrattuale, non si richiede l’apposita creazione di una organizzazione, sia pure rudimentale, ma è sufficiente una struttura che può anche essere preesistente alla ideazione criminosa e già dedita a finalità lecita, nè è necessario che il vincolo associativo assuma carattere di stabilità, essendo sufficiente che esso non sia a priori circoscritto alla consumazione di uno o più reati predeterminati, con la conseguenza che non si richiede un notevole protrarsi del rapporto nel tempo, bastando anche un’attività associativa che si svolga per un breve periodo. (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 31149 del 5.5.2009 dep. 28.7.2009 rv 244486).
Nella valutazione espressa dalla Corte d’appello è implicito il rigetto delle doglianze svolte nei motivi d’appello.
La applicazione della circostanza attenuante di cui all’art. 114 c.p. relativamente a R. non è stata richiesta nei motivi di appello ed è comunque esclusa dalle modalità dei fatti contestati.
Il secondo motivo proposto nell’interesse di B.R. è manifestamente infondato.
Anzitutto l’insufficiente enunciazione dell’imputazione nel decreto che dispone il giudizio determina una nullità relativa, che come tale deve essere eccepita, pena altrimenti la sanatoria, entro il termine previsto dall’art. 491 c.p.p., comma 1, (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 20739 del 25.3.2010 dep. 1.6.2010 rv 247590).
Nel caso in esame, non risulta neppure che tale ipotizzata nullità sia stata dedotta con i motivi d’appello.
In ogni caso la contestazione relativa al reato associativo non è generica posto che attraverso l’indicazione degli associati, dello scopo e delle modalità di realizzazione dei reati fine è individuato il nucleo essenziale dell’accusa, tanto che il ricorrente ha potuto svolgere puntuali deduzioni difensive.
Il primo motivo di ricorso proposto nell’interesse di M. B.M. è manifestamente infondato.
Il predetto imputato è stato ritenuto responsabile non solo del reato associativo, ma anche dei delitti di cui ai capi E, F e G, sicchè correttamente è stato operato l’aumento di pena per continuazione di un mese di reclusione per ciascuno dei predetti capi.
Il primo, secondo, terzo e quarto motivo proposti da R.L. sono manifestamente infondati.
Le Sezioni Unite di questa Corte con sent. n. 8285 del 28.2.2006 dep. 9.3.2006 rv 232906 hanno affermato che "il difensore che abbia ottenuto la sospensione o il rinvio della udienza per legittimo impedimento a comparire ha diritto all’avviso della nuova udienza solo quando non ne sia stabilita la data già nella ordinanza di rinvio, posto che, nel caso contrario, l’avviso è validamente recepito, nella forma orale, dal difensore previamente designato in sostituzione, ai sensi dell’art. 97 c.p.p., comma 4, il quale esercita i diritti ed assume i doveri del difensore sostituito e nessuna comunicazione è dovuta a quest’ultimo".
Il quinto motivo di ricorso proposto da R.L. è generico, dal momento che costituisce mera reiterazione del motivo di appello corrispondente, rigettato dalla Corte territoriale con motivazione circa la non attualità dell’impedimento (v. p. 15 sentenza impugnata). Rispetto a tali argomentazioni della Corte d’appello nessuna considerazione è svolta nel motivo di ricorso che, per tale ragione è aspecifico.
Il sesto motivo proposto da R.L. è manifestamente infondato e svolge censure di merito.
La contestazione relativa ai reati di falso non è generica posto che attraverso l’indicazione delle modalità di induzione in errore del pubblico ufficiale rogante (attraverso l’utilizzo di documenti falsi, attestanti una falsa identità) e l’individuazione dell’immobile di riferimento è individuato il nucleo essenziale dell’accusa, tanto che il ricorrente ha potuto svolgere puntuali deduzioni difensive.
La Corte territoriale ha confermato la responsabilità per i delitti di falso limitatamente alle ipotesi in cui è stato indotto in errore il pubblico ufficiale rogante solo nei casi in cui, attraverso l’utilizzo di documenti falsi, è stata rappresentata una falsa identità (v. p. 17 sentenza impugnata).
In particolare il riferimento ad un pubblico ufficiale (notaio) è implicito quanto al capo G nel richiamo alle spese notarili e quanto ai capi E ed F nel richiamo alla compravendita di immobili.
Il settimo motivo proposto da R.L. è inammissibile perchè l’eventuale nullità andava eccepita con i motivi di appello e non lo è stata.
Secondo l’orientamento di questa Corte, che il Collegio condivide, infatti, "la nullità della sentenza per mancata correlazione tra imputazione e fatto accertato dal giudice non rientra tra quelle assolute e insanabili ma, attenendo all’esercizio del diritto di difesa, configura una nullità a regime intermedio, che non può essere più rilevata dal giudice nè dedotta dall’interessato, essendosi verificata nel giudizio di primo grado, dopo la deliberazione della sentenza nel grado successivo. Ne consegue la indeducibilità di tale vizio per la prima volta in sede di legittimità ove esso non sia stato denunciato nei motivi di appello". (Cass. Sez. 6 sent. 7957 del 14.05.1997 dep. 26.08.1997 rv 209753. V. anche Cass. Sez. 4 sent. 41 del 22.11.1996 dep. 9.1.1997 rv 207407: "la mancanza di correlazione tra l’imputazione contestata e la sentenza integra una nullità di ordine generale qualificabile come nullità a regime intermedio ex art. 180 c.p.p.. Essa, pertanto, deve essere rilevata di ufficio o dedotta dall’interessato nel tennine previsto dal menzionato art. 180". Cass. Sez. 1 sent. 10684 del 19.9.1995 dep. 27.10.1995 rv 202536: "il difetto di correlazione tra fatto contestato e fatto ritenuto in sentenza, non comporta nullità di ordine generale assoluta ed insanabile: ne consegue la sua indeducibilità per la prima volta in sede di legittimità ove il vizio concerna la sentenza di primo grado ed esso non sia stato denunciato in appello").
L’ottavo motivo proposto da R.L. è manifestamente infondato, svolge censure di merito e costituisce una mera reiterazione del corrispondente motivo d’appello, motivatamente rigettato dalla Corte territoriale.
Il giudice di secondo grado ha infatti rilevato che non vi fosse conferma probatoria di quanto allegato riguardo allo stato di necessità e che comunque la situazione rappresentata non era idonea ad integrare l’esimente invocata.
Il decimo motivo d’appello proposto da R.L. è proposto al di fuori dei casi consentiti, investendo valutazioni di merito ed è generico dal momento che neppure precisa se si deduce violazione di legge o vizio di motivazione.
La determinazione in concreto della pena, peraltro, costituisce il risultato di una valutazione complessiva e non di un giudizio analitico sui vari elementi offerti dalla legge, sicchè l’obbligo della motivazione da parte del giudice dell’impugnazione deve ritenersi compiutamente osservato, anche in relazione alle obiezioni mosse con i motivi d’appello, quando egli, accertata l’irrogazione della pena tra il minimo e il massimo edittale, affermi di ritenerla adeguata o non eccessiva. Ciò dimostra, infatti, che egli ha considerato sia pure intuitivamente e globalmente, tutti gli aspetti indicati nell’art. 133 c.p. ed anche quelli specificamente segnalati con i motivi d’appello. (Cass. Sez. 6, sent. n. 10273 del 20.5.1989 dep. 12.7.1989 rv 181825. Conf. mass. N. 155508; n. 148766; n. 117242).
L’undicesimo motivo di ricorso è manifestamente infondato. La rinnovazione del dibattimento avrebbe dovuto essere disposta, ai sensi dell’art. 603 c.p.p., non trattandosi di prove nuove, solo se il giudice di appello avesse ritenuto di non poter decidere allo stato degli atti ed anche tale valutazione è di merito e la motivazione può essere implicita (v. Cass. Sez. 5 sent. n. 6379 del 17.3.1999 dep. 21.5.1999 rv 213403: "In tema di giudizio di appello, poichè il vigente cod. proc. pen., pone una presunzione di completezza della istruttoria dibattimentale svolta in primo grado, la rinnovazione, anche parziale, del dibattimento ha carattere eccezionale e può essere disposta solo qualora il giudice ritenga di non poter decidere allo stato degli atti. Pertanto, mentre la decisione di procedere a rinnovazione deve essere specificamente motivata, occorrendo dar conto dell’uso del potere discrezionale derivante dalla acquisita consapevolezza di non poter decidere allo stato degli atti, nel caso, viceversa, di rigetto, la decisione può essere sorretta anche da motivazione implicita nella stessa struttura argomentativa posta a base della pronuncia di merito, che evidenzi la sussistenza di elementi sufficienti per una valutazione – in senso positivo o negativo – sulla responsabilità, con la conseguente mancanza di necessità di rinnovare il dibattimento".
I ricorsi devono pertanto essere dichiarati inammissibili.
La inammissibilità del ricorso principale comporta la inammissibilità dei motivi nuovi proposti nell’interesse di M.B.M., ai sensi dell’art. 585 c.p.p., comma 4.
Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibili i ricorsi, gli imputati che li hanno proposti devono essere condannati al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – ciascuno al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di mille Euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
La dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi comporta altresì la condanna degli imputati in solido alla rifusione a favore della parte civile Unicredit (conferitaria Banca di Roma), delle spese di questo grado di giudizio liquidate in Euro 3.000,00 per onorari, oltre rimborso spese forfettarie, I.V.A. e C.P.A., come da nota spese ritenuta congrua.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno al versamento della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende.
Condanna altresì gli imputati in solido alla rifusione a favore della parte civile Unicredit (conferitala Banca di Roma) delle spese di questo grado di giudizio liquidate in Euro 3.000,00 per onorari, oltre spese forfettarie, I.V.A. e C.P.A..
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