Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
Con la sentenza impugnata veniva confermata la sentenza del Tribunale di Milano in data 20.10.2008, con la quale C.C.C. I. veniva condannato alla pena di mesi quattro di reclusione per il reato di lesioni personali aggravate commesso in (OMISSIS) in concorso con P.C.J.L. colpendo ripetutamente S.C.A. con una bottiglia rotta dopo che il P. aveva cominciato a percuotere il S. con pugni dopo aver infranto il finestrino della di lui autovettura.
Il ricorrente lamenta:
1. violazione dell’art. 192 cod. proc. pen. e mancanza, illogicità e contraddittorietà della motivazione in ordine all’affermazione della responsabilità dell’imputato ed al mancato riconoscimento della scriminate della legittima difesa;
2. violazione degli artt. 1 e 585 cod. pen. e mancanza, illogicità e contraddittorietà della motivazione in ordine alla sussistenza dell’aggravante dell’uso di arma impropria;
3. carenza, illogicità e contraddittorietà della motivazione in ordine al giudizio di equivalenza delle attenuanti generiche rispetto all’aggravante ed alla determinazione della pena.
Motivi della decisione
1. Il primo motivo di ricorso, relativo all’affermazione di responsabilità dell’imputato ed al mancato riconoscimento della scriminante della legittima difesa, è generico e manifestamente infondato.
Nella sentenza impugnata si riportavano la ricostruzione dell’accaduto effettuata dal giudice di primo grado sulla base delle dichiarazioni della persona offesa e della di lui fidanzata G. B.M.L., per la quale i predetti venivano aggrediti dai C. all’uscita da una discoteca, riuscivano a raggiungere la loro autovettura a seguito dell’intervento di un vigilante ma venivano nuovamente aggrediti sul veicolo fino a che riuscivano ad allontanarsi; la versione del C.C., il quale dichiarava che all’interno della discoteca nasceva una discussione fra il suo cugino P. ed il S. e la sua ragazza, egli li divideva finchè i vigilanti li allontanavano dal locale mentre il S. e la ragazza uscivano, dopo circa dieci minuti egli ed il P., mentre si avviavano a bordo di un ciclomotore, venivano urtati dall’autovettura del S., ed allora egli, infuriato, infrangeva il finestrino dell’autoveicolo con un casco senza colpire il S., dopodichè intervenivano nuovamente i vigilanti; e le conclusioni del Tribunale, per le quali l’asserzione del C.C. di essere intervenuto solo per dividere i contendenti non era attendibile laddove lo stesso ammetteva l’intervento dei vigilanti in ben due occasioni e la propria condotta di danneggiamento del finestrino dell’autovettura del S., parimenti inattendibile era che S. si fosse indotto ad investire il ciclomotore dei C. avendo a bordo della propria autovettura la sua ragazza, le incertezze della G. su chi degli aggressori avesse materialmente infranto il finestrino non erano rilevanti essendo la circostanza ammessa dall’imputato e il dubbio sull’essere state le lesioni del S. cagionate dai frammenti del finestrino o dalla bottiglia non mettevano in discussione l’uso di quest’ultima. Esaminando i motivi di gravame la Corte d’Appello escludeva che vi fossero sostanziali divergenze fra le dichiarazioni della parte offesa e della G., considerato che quest’ultima confermava di essere stata percossa prima di salire sull’autovettura anche se non ricordava chi dei C. fosse autore materiale dell’aggressione, circostanza giustificata dal tempo trascorso, i racconti del S. e della concordavano sulla mancata indicazione di una causa del litigio e l’asserzione della G. per cui dopo l’aggressione il S. sanguinava dalle dita e dal collo, a fronte della dichiarazione del S. di essere stato colpito al collo ed al braccio, trovava spiegazione nella possibilità che la teste non avesse notato che il S. era stato colpito al braccio o non lo ricordasse per il tempo trascorso, essendo peraltro le lesioni comunque riscontrate dal referto; e che di contro le dichiarazioni dell’imputato non erano attendibili, oltre che per le ragioni indicate dal Tribunale, anche per l’illogicità dell’aver il S. e la sua ragazza atteso per dieci minuti all’esterno della discoteca che i C. partissero con il ciclomotore e la precisa indicazione, da parte del S., del P. quale autore della rottura del finestrino dell’autovettura e del C.C. come colui che lo colpiva con la bottiglia.
Il ricorrente rileva che la motivazione della sentenza non teneva conto delle numerose contraddizioni esistenti nei racconti del S. e della G., laddove in particolare il S. dichiarava dapprima che il ciclomotore dei C. gli tagliava la strada e poi che egli ripartiva con l’autovettura quando un semaforo segnava il colore verde, così ammettendo di essersi fermato per il semaforo rosso e non per la manovra del ciclomotore, e la G. non ricordava l’aggressione nella discoteca, l’intervento del personale della stessa, l’uso della bottiglia e l’identità di chi aveva infranto il finestrino dell’autovettura e di chi aveva colpito il S., riferiva dapprima che nessuno era presente all’aggressione e poi che più persone erano intervenute e non appariva attendibile laddove dichiarava che il S. non era in grado di guidare per le lesioni subite, le quali non apparivano idonee a procurare tali effetti; e che la sentenza non teneva neppure conto della diversa ricostruzione, prospettata dall’imputato, per la quale lo stesso interveniva nella lite solo in un secondo momento, configurandosi in tal modo la scriminante della legittima difesa, e del riscontro che detta versione trova nelle incertezze mostrate dalla G., nei dubbi sull’uso della bottiglia e nella ragionevolezza della prospettiva per la quale il litigio insorgeva inizialmente fra il P. e la G. in quanto avente ad oggetto il rapporto sentimentale fra il primo e la sorella della seconda.
L’esposizione che precede evidenzia adeguatamente come su entrambi gli aspetti segnalati dal ricorrente, ossia le contraddizioni nelle dichiarazioni della persona offesa e della teste G. e la ritenuta inattendibilità della prospettazione alternativa, la sentenza impugnata abbia ampiamente e dettagliatamente motivato; e come a fronte di ciò il ricorso si limiti ad una riproposizione delle argomentazioni respinte con dette argomentazioni, senza individuare elementi specifici di illogicità ed incoerenza delle stesse, e in definitiva alla presentazione di una diversa lettura delle risultanze processuali, non valutabile in sede di legittimità.
Per questo aspetto il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.
2. Il secondo motivo di ricorso, relativo alla sussistenza dell’aggravante dell’uso di arma, è manifestamente infondato.
Il ricorrente rileva che una bottiglia non può essere considerata arma impropria, essendo detta qualificazione attribuita mediante rinvio alle norme sul porto, riferite a strumenti da punta e da taglio necessari per l’esercizio di un mestiere o di un’arte.
Contrariamente all’assunto difensivo, la chiara dizione della L. n. 110 del 1975, art. 4, comma 2, estende la qualifica di arma impropria a qualsiasi strumento che, nelle circostanze di luogo e di tempo in cui sia portato, sia potenzialmente utilizzabile per l’offesa alla persona (Sez. 5, n. 27768 del 15.4.2010, imp. Casco, Rv. 247888). Per effetto di detta previsione anche una bottiglia, lì ove utilizzata a fine di minaccia in un contesto aggressivo, assume le caratteristiche di uno strumento atto ad offendere (Sez. 5, n. 5533 del 22.4.1981, imp. Minozzi, Rv. 149198), essendo oggetto che, adoperato come corpo contundente, è in grado di arrecare lesioni più gravi o comunque più agevolmente procurabili rispetto a quanto reso possibile dal mero uso degli arti.
Anche da questo punto di vista il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile.
3. Manifestamente infondato è infine il terzo motivo di ricorso, relativo al giudizio di equivalenza delle circostanze ed alla determinazione della pena.
Con la sentenza impugnata si osservava che non vi erano ragioni per modificare il giudizio di equivalenza formulato in primo grado e che la pena irrogata in quella sede doveva essere ritenuta mite, considerato il precedente penale dell’imputato per il reato di omicidio.
Il ricorrente rileva che la sentenza non motivava sul giudizio di equivalenza, limitandosi a richiamare la decisione di primo grado, e determinava la pena senza tener conto dei parametri di cui all’art. 133 cod. pen..
Va peraltro osservato che fra i motivi dell’atto di appello non compare alcuna contestazione del giudizio di comparazione fra le circostanze; alla Corte d’Appello non competeva pertanto sul punto una propria valutazione, la cui mancanza non può di conseguenza essere addotta quale vizio motivazionale.
Quanto alla determinazione della pena, premesso che una dettagliata motivazione sul punto è necessaria solo laddove la pena sia inflitta in misura non prossima al minimo edittale (Sez. 1, n. 16691 del 22.1.2009, imp. Santaiti, Rv. 243168) e che tale non è il caso in esame, in cui veniva irrogata una pena di mesi quattro di reclusione a fronte di un minimo edittale di mesi tre, la sentenza impugnata faceva comunque specifico riferimento al precedente penale dell’imputato; e tanto soddisfa l’onere motivazionale, che non richiede necessariamente l’esame di tutti i parametri indicati nell’art. 133 cod. proc. pen. laddove taluno di essi sia ritenuto determinate per il giudizio (Sez. 6, n. 35346 del 12.6.2008, imp. Bonarrigo, Rv. 241189).
Il ricorso deve in conclusione essere integralmente dichiarato inammissibile, seguendone la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000 in favore della Cassa delle Ammende.
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