LA “VIS MODICA” NON È MAI MEZZO DI CORREZIONE LECITO ED ANCHE UN SOLO SCHIAFFO PUÒ INTEGRARE IL REATO DI ABUSO DEI MEZZI DI CORREZIONE: – Corte di Cassazione, Sez. V penale – sentenza 18 gennaio 2010, n. 2100.

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Fatto e diritto
Propone ricorso per cassazione E. O. avverso la sentenza della Corte di appello di Bologna in data 10 febbraio 2009 con la quale è stata confermata quella del Gup di Ravenna – emessa all’esito di giudizio abbreviato – affermativa della sua responsabilità in ordine ai reati di abuso dei mezzi di correzione nei confronti dei figli T. e J. (così modificata l’originaria imputazione ex art. 572 cp) e di lesioni personali volontarie in danno della moglie separata C. nonché del figlio maschio.
Il giudice di primo grado aveva ritenuto che l’originaria imputazione di maltrattamenti in famiglia non avesse trovato riscontro. Infatti erano emersi due episodi di serie percosse ai danni della figlia J., idonei a sostanziare il reato di lesioni volontarie, improcedibile per mancanza di querela. Era poi residuata la prova di reiterate lievi percosse (calci nel sedere, schiaffi) testimoniati ancora una volta da J. e ritenute idonee a comprovare il reato di cui all’art. 571 cp., consumato fino al omissis. Lo stesso giudice aveva anche ritenuto provato il reato di lesioni personali volontarie in danno della C. e del figlio T., commesso il omissis.
Nei motivi di appello la difesa aveva sostenuto che il reato ex art. 571 cp non potesse ritenersi configurabile, essendo stata esclusa la reiterazione delle condotte rispetto all’uso ordinario dei mezzi di correzione.
La Corte di appello aveva rigettato il gravame osservando che il reato ex art. 571 cp non è abituale né permanente, posto che è sufficiente ad integrarlo anche un solo fatto.
In tale motivazione la difesa ha rilevato una violazione di legge e il vizio di manifesta illogicità.
Sotto il primo profilo evidenzia che per la costante giurisprudenza il reato ex art. 571 cp deve avere carattere abituale e reiterato.
Sotto il secondo profilo la difesa segnala che se fosse vero che il reato in parola non ha carattere abituale, dovrebbe discenderne che il singolo episodio di abuso dovrebbe essere precisamente individuato anche per consentire alla difesa il valido esercizio dei propri diritti.
Il ricorso è infondato.
Non risulta dalla lettera della legge né dalla interpretazione della norma così come operata dalla dottrina e dalla giurisprudenza che il reato di abuso dei mezzi di correzione debba configurarsi ed abbia forma di reato necessariamente abituale, come correttamente osservato dalla Corte di merito.
È vero invece che la reiterazione del gesto punitivo può essere una delle modalità di manifestazione dell’abuso del mezzo di correzione: questo, infatti, come insegna la giurisprudenza di legittimità, può commettersi trasmodando nell’impiego di un mezzo lecito, sotto gli aspetti sia della forza fisica esercitata in un singolo gesto punitivo, che della reiterazione del gesto stesso (Rv. 100622).
Ne consegue che anche un solo schiaffo, quando sia vibrato con tale violenza da cagionare pericolo di malattia, è stato ritenuto dalla stessa giurisprudenza sufficiente a far avverare l’ipotesi criminosa prevista dall’art. 571, comma primo, c.p. Ma, allo stesso modo, nei precedenti di questa Corte si rinvengono decisioni che hanno ritenuto integrato il reato – in ragione dell’eccesso di reiterazione della misura di correzione – in presenza della pratica di lievi percosse e tirate di capelli, essendo rimasto comunque escluso che tali condotte trasmodassero nell’“abitualità” di maltrattamenti, inquadrabile nel distinto reato previsto dall’art. 572 c.p.(Rv. 211942).
Ne consegue che neanche sotto tale profilo si apprezza il vizio logico della motivazione denunciato dal ricorrente essendo del tutto idonea la motivazione che, in linea di principio, escluda che per la configurazione del reato è indispensabile “una reiterazione dei fatti che esuberi dalla normalità”. È vero infatti, come già chiarito, che una simile reiterazione è condizione sufficiente ma non indispensabile per la integrazione del reato il quale può sussistere anche in assenza della detta reiterazione ma in presenza di un unico atto espressivo dell’abuso. Nella specie, poi, la Corte ha ritenuto provato il reato alla luce degli episodi consistiti in schiaffoni inferti con “modalità eccessive, volgari, e trasmodanti per il carattere iroso e incontenibile del soggetto”, ossia in condotte così descritte dalla teste persona offesa e riconosciute dallo stesso imputato il quale “…ha ammesso di avere, in varie occasioni, percosso i figli, e di avere rivolto alla figlia l’epiteto di cui alla rubrica”.
Negare l’abitualità della condotta vessatoria e nel contempo affermare che l’abuso è consistito anche in un ingiustificato eccesso di ripetizione del gesto correttivo non integra, in conclusione, alcuna illogicità di ragionamento. Né, alla stregua del comportamento processuale tenuto dall’imputato, v’è spazio per affermare fondatamente che siano rimasti compressi i suoi diritti difensivi.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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