Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 01-02-2011) 02-03-2011, n. 8370

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di Appello di Genova, pronunciando in sede di rinvio a seguito dell’annullamento per vizi procedurali della sentenza emessa in data 27-2-2008 dalla stessa Corte, in parziale riforma della sentenza del 27-1-2005 del Tribunale di Imperia ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di V.R. in ordine al reato di cui agli artt. 81 cpv. e 646 c.p., art. 62 c.p., n. 11 (per il quale in primo grado erano state concesse le attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante) perchè estinto per prescrizione, confermando la condanna dell’imputato al risarcimento dei danni morali subiti dalla costituita parte civile, liquidati in Euro 2.000,00.

Il fatto contestato all’imputato era di essersi impossessato, al fine di trame profitto, con abuso di relazioni domestiche, della somma complessiva di L. 115.000.000, prelevandole dal conto corrente bancario intestato a lui e alla sorella, con varie operazioni e in esecuzione del medesimo disegno criminoso, in danno degli altri coeredi V.V. (costituitosi parte civile) e G. (fatto commesso in (OMISSIS)).

Ricorre il V., per mezzo del suo difensore, deducendo con un primo motivo che, in relazione al prelievo effettuato dall’imputato il 2-1-2001 sul conto corrente cointestato alla sorella G., quando quest’ultima era ancora in vita, il fratello V. non era legittimato a proporre querela. Sostiene, infatti, che, a norma dell’art. 120 c.p., unico soggetto titolare del diritto di querela era la persona offesa V.G., alla cui morte tale diritto, ai sensi dell’art. 126 c.p., si è estinto. In relazione alla vicenda in questione, pertanto, la Corte di Appello avrebbe dovuto dichiarare l’improcedibilità detrazione penale, anzichè emettere declaratoria di estinzione del reato per prescrizione.

Con un secondo motivo il ricorrente deduce, con riferimento all’ulteriore episodio di fine gennaio 2001 (avente ad oggetto il prelievo, da parte dell’imputato, del residuo attivo del conto corrente già cointestato alla sorella), che i fatti contestati non integrano il reato di appropriazione indebita, in quanto il denaro prelevato è stato utilizzato per il recupero di spese (quali quelle funerarie) sostenute dal prevenuto per conto della defunta, come tali gravanti su tutti i coeredi. In relazione a tale episodio, pertanto, s’imponeva il proscioglimento nel merito dell’imputato, perchè il fatto non sussiste o, comunque, non costituisce reato.
Motivi della decisione

1) Il primo motivo di ricorso propone una questione irrilevante ai fini della decisione ed è, pertanto, inammissibile, in quanto, avendo i giudici di merito ritenuto la sussistenza della contestata circostanza aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 11, ai sensi dell’art. 646 c.p., comma 3 il reato di appropriazione indebita è procedibile d’ufficio.

E’ evidente, d’altro canto, che tale perseguibilità d’ufficio non è venuta meno per effetto della ritenuta equivalenza delle concesse attenuanti generiche con la contestata aggravante. Il giudizio di comparazione tra circostanze, infatti, influisce solo sulla determinazione della pena e non anche sulla connotazione giuridica della condotta delittuosa; di modo che, contrariamente a quanto deve ritenersi nell’ipotesi in cui la sussistenza di circostanze aggravanti originariamente ascritte sia stata esclusa, il reato, contestato come aggravato, resta perseguibile di ufficio ancorchè sia stata ritenuta l’equivalenza o la prevalenza delle circostanze attenuanti generiche (cfr. Cass. Sez. 5, 24-6-2010 n. 37223).

Ne consegue che, a prescindere dalla sussistenza della qualità di persona offesa e della conseguente titolarità del diritto di querela in capo a V.V., i fatti da quest’ultimo denunciati valevano come notizia di un reato perseguibile d’ufficio.

2) Anche il secondo motivo è inammissibile.

Si osserva, al riguardo, che, essendo sotteso alla declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, resa dalla Corte di Appello, l’accertamento della insussistenza di prove evidenti dell’innocenza dell’imputato, tali da imporre la sua assoluzione nel merito ai sensi dell’art. 129 c.p.p., comma 2, il ricorrente avrebbe potuto invocare una pronuncia liberatoria solo adducendo la mancata applicazione della citata disposizione di legge, al cospetto di emergenze comprovanti in modo del tutto incontestabile la sua innocenza.

Dagli atti, al contrario, non emergono affatto elementi dotati di una tale forza dimostrativa da rendere palese, senza necessità di procedere ad alcun approfondimento nella valutazione del materiale probatorio, l’innocenza del prevenuto. Contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso, infatti, l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui l’imputato aveva attinto al conto corrente in questione per provvedere alle spese funerarie e ad altre spese relative alla sorella defunta, non è stata resa in termini di certezza, ma solo in forma dubitativa, per evidenziare che l’ipotesi prospettata dalla difesa era comunque inidonea ad escludere l’illiceità dei prelievi di denaro operati dal V. dopo il decesso della sorella.

3) Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria in favore della Cassa delle Ammende, che si stima equo fissare in Euro 1.000,00.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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