Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di Appello di Napoli confermava la sentenza del 2 novembre 2007 con la quale il Tribunale di quella stessa città aveva dichiarato A.V. colpevole del reato di cui all’art. 495 c.p. perchè, nell’autocertificazione presentata alla MTTC di Napoli, resa ai sensi della L. n. 15 del 1968, art. 2, destinata ad essere riprodotta in atto pubblico, quale l’ammissione all’espletamento degli esami per il conseguimento della patente nautica, dichiarava di essere in possesso dei requisiti morali previsti dall’art. 6 del regolamento sulle patenti nautiche, circostanza questa non veritiera, essendo lo stesso gravato da varie condanne penali e, con la recidiva contestata, l’aveva condannato alla pena ritenuta di giustizia.
Avverso la sentenza anzidetto il difensore dell’imputato ha proposto ricorso per cassazione, affidato alle ragioni di censura indicate in parte motiva.
Motivi della decisione
1. – Con il primo motivo d’impugnazione parte ricorrente eccepisce nullità della sentenza per erronea applicazione della legge penale, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. b), in riferimento all’art. 495 c.p..
Il secondo motivo deduce identico vizio di legittimità in relazione al D.P.R. 9 ottobre 1997, n. 431, art. 6, n. 1.
Il terzo eccepisce nullità della sentenza per illogicità della motivazione. In particolare, parte ricorrente si duole che sia stata male interpretata la citata norma dell’art. 6 che inibisce il rilascio della patente nautica in favore, tra gli altri, di coloro che abbiano riportato una condanna a pena detentiva non inferiore a tre anni, salvo che non siano intervenuti provvedimenti di riabilitazione. Nel caso di specie, l’Alano aveva riportato diverse condanne, nessuna delle quali, però, superiore al limite anzidetto.
A dire dello stesso ricorrente, la norma faceva riferimento alla sentenza di condanna e non già al cumulo delle pene, che è atto di natura amministrativa e non giurisdizionale. Reputa che sia applicabile alla fattispecie lo stesso principio affermato da questa Corte regolatrice in tema di irrogazione delle pene accessorie in caso di pluralità di reati avvinti con il vincolo della continuazione; in tale ipotesi, occorre, infatti, fare riferimento non alla pena complessivamente irrogata, ma a quella stabilita come pena base.
Con la memoria indicata in epigrafe, il difensore ribadisce le argomentazioni già dedotte, soggiungendo che la norma, ove ha inteso fare riferimento ad una molteplicità di condanne, come parametro di valutazione negativa delle qualità morali del richiedente, ha previsto la categoria del delinquente abituale, rispetto alla quale l’abitualità presuppone, per l’appunto, una pluralità di condanne riportate in un determinato arco temporale.
2. – Il ricorso è fondato e merita, pertanto, accoglimento.
Non è, infatti, revocabile in dubbio che la disposizione in esame debba essere interpretata nel senso sostenuto dal ricorrente, specie alla stregua del suo perspicuo tenore letterale e dell’evidente ratto ispiratrice.
Ed invero, la norma racchiusa nel comma 1 recita: non possono ottenere la patente nautica coloro che sono stati dichiarati delinquenti abituali, professionali o per tendenza, coloro che sono o sono stati sottoposti a misura di sicurezza personali o sottoposti alle misure di prevenzione previste dalla L. 27 dicembre 1956, n. 1423, come sostituita dalla L. 3 agosto 1988, n. 327 e dalla L. 31 maggio 1965, n. 575 nonchè coloro che sono stati condannati ad una pena detentiva non inferiore tre anni, salvo che non sino interventi provvedimenti di riabilitazione.
Tale disposizione intende, in chiara evidenza, precludere l’accesso agli esami per il conseguimento della patente nautica a soggetti che, per qualità morali, non sono ritenuti meritevoli di affidamento e, quindi, di ragionevole aspettativa al conseguimento della richiesta abilitazione. Il livello di non meritevolezza viene astrattamente individuato in riferimento a determinate categorie soggettive (delinquenti abituali, professionali o per tendenza), a quanti risultino sottoposti a misure di sicurezza personali o di prevenzione e da ultimo, a quanti siano stati condannati a pena detentiva non superiore a tre anni. L’accostamento di tale ultima previsione alle altre, nell’elenco anzidetto, vale a rivelarne compiutamente il significato. Non è ritenuto meritevole, al pari degli appartenenti alle categorie soggettive anzidette (rispetto alle quali già la mera appartenenza ne rivela il ritenuto disvalore), il condannato a pena superiore al limite anzidetto, che è assunto come sintomo di particolare gravità del fatto-reato, che rappresenta, in astratto (per discrezionale scelta del legislatore) la soglia minima del ritenuto disvalore.
Tanto vale a spiegare perchè mai non sia accettabile il criterio di lettura proposto dai giudici di merito, che reputano sufficiente ad integrare la negativa condizione di legge il cumulo delle pene riportate per diversi fatti reato. Ancora una volta, il segnalato accostamento, nella struttura della norma, della previsione in esame alle categorie soggettive anzidette vale a costituire definitiva conferma di quell’erronea esegesi. Ed infatti, l’elemento della pluralità delle condanne è stato già considerato dal legislatore nella previsione della categoria del delinquente abituale.
L’abitualità dichiarata dal giudice, di cui all’art. 103 c.p., postula per l’appunto una pluralità di condanne, che, in uno ad altro parametro di giudizio, tra quelli indicati dalla disposizione anzidetta, induca a ritenere che il colpevole sia dedito al delitto.
3. – Alla stregua dell’anzidetta interpretazione della norma, deve ritenersi che l’imputato non abbia attestato false qualità personali nel dichiarare, nell’autocertificazione in esame, il possesso dei requisiti morali prescritti dall’art. 6 della menzionata normativa.
Il che vale ad escludere la sussistenza del reato in contestazione.
L’errore di giudizio nel quale è incorso il giudice a quo è causa di nullità della sentenza impugnata, che va, quindi, dichiarata nei termini di cui in dispositivo.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè il fatto non sussiste.
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