Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
G.F., titolare dell’omonima ditta di derivati del latte e del burro, ha impugnato l’avviso di accertamento per IRPEF ed IVA, relativo all’anno d’imposta 1996, lamentando l’applicazione acritica dei parametri presuntivi, di cui al D.P.C.M. del 1996. La CTR della Puglia, con sentenza n. 54/08/05, depositata il 28.6.2005, ha rigettato l’impugnazione, rilevando che il contribuente non aveva fornito elementi giustificativi dei pretesi minori ricavi.
Il contribuente ricorre per la cassazione di tale sentenza. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate resistono con controricorso.
Motivi della decisione
In via preliminare, va rilevata l’inammissibilità del controricorso del Ministero dell’Economia e delle Finanze, che non ha partecipato al pregresso grado di giudizio, nè è stato evocato dal ricorrente, rimanendo a suo carico le spese del giudizio. Infatti, a seguito dell’istituzione dell’Agenzia delle Entrate, avvenuta con D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300 e divenuta operativa dal 1 gennaio 2001 ( D.M. 28 dicembre 2000, ex art. 1), si è verificata una successione a titolo particolare della stessa nei poteri e nei rapporti giuridici strumentali all’adempimento dell’obbligazione tributaria, per effetto della quale deve ritenersi che la legittimazione "ad causam" e "ad processum" nei procedimenti introdotti successivamente al 1 gennaio 2001 spetta all’Agenzia, e la proposizione dell’appello da parte o nei confronti della sola Agenzia, senza esplicita menzione dell’ufficio periferico che era parte originaria, si traduce nell’estromissione di quest’ultimo (cfr. S.U. n. 3116 e n. 3118 del 2006, n. 22641 del 2007).
Col proposto ricorso, il contribuente deduce, in via principale, la nullità della sentenza, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione dell’art. 112 c.p.c., affermando che la CTR ha rigettato la sua impugnazione con una motivazione qualificabile come "una asettica formula di stile", senza valutare le censure e le questioni da lui prospettate, e, dunque, il merito della controversia, in cui si dibatteva dell’inidoneità delle voci contabili, computate nei parametri, ad esprimere i maggiori ricavi determinati, specie, tenuto conto dell’ubicazione periferica della sua impresa, e dei dati desumibili dai documenti da lui prodotti (fotocopia del libro cespiti ammortizzabili, visura camerale storica, avviso d’accertamento). Il G. si duole, inoltre, che la CTR non abbia dato seguito alla richiesta di ammissione di una CTU, formulata D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 7, nè si sia pronunciata sugli altri motivi di gravame, e, segnatamente, sulla "violazione dell’art. 17 della L. n. 400/88", sull’illegittimità, insufficienza e contraddittorietà della sentenza di primo grado, "sugli altri motivi di merito", e "sulla illegittimità della sanzioni irrogate".
Subordinatamente, il ricorrente deduce difetto di motivazione e violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, art. 2697 c.c., L. n. 549 del 1995, art. 3, artt. 115 e 116 c.p.c., per non avere la CTR ritenuto che le circostanze provate nel corso del giudizio erano idonee a superare la presunzione dei maggiori ricavi accertati.
Le censure sono, in parte, infondate ed, in parte, inammissibili.
1. La dedotta nullità della sentenza, per l’apparenza della sua motivazione (tale è, nella sostanza, Terrore dedotto nella prima parte del composito motivo, sopra riassunto) è insussistente.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, cui si presta convinta adesione, tale vizio ricorre quando la sentenza manca delle argomentazioni atte a palesare le ragioni della decisione: non essendo il giudice tenuto ad occuparsi espressamente e singolarmente di ogni allegazione e prospettazione di parte, risulta, infatti, sufficiente, in base all’art. 132 c.p.c., n. 4, l’esposizione, concisa, degli elementi di fatto e di diritto posti a fondamento della decisione, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti gli argomenti e le tesi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l’iter argomentativo seguito (Cass. n. 407/2006; n. 4079/2005; n. 12121/2004). Nella specie, l’obbligo di motivazione risulta assolto, avendo la CTR espresso le ragioni della conferma della pronuncia di primo grado, osservando, in adesione alle conclusioni cui era pervenuta la CTP, che il contribuente si era "sottratto alla prova su lui incombente non fornendo i documenti giustificativi dei pretesi minori proventi e ricavi denunziati", e ritenendo che gli elementi da lui dedotti non erano nè concreti nè specifici, e, dunque, erano inidonei a superare la determinazione presuntiva di ricavi, compensi e volume d’affari derivante dall’applicazione dei parametri.
2. La doglianza di omesso esame "sugli altri motivi di gravame", sopra menzionati, difetta di autosufficienza, non avendo il ricorrente in alcun modo, riportato il contenuto delle domande, in tesi, pretermesse, nè precisato se le stesse siano state mantenute ferme, in sede di conclusioni. Questa Corte ha, già, affermato (Cass. SU n. 11730/2010; n. 978/2007; SU n. 15781/2005) che tale onere di allegazione sussiste anche laddove si lamenti un vizio del procedimento ( art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) sia per consentire al giudice di legittimità di verifìcare la ritualità e tempestività di dette domande (o delle corrispondenti censure), sia perchè, pur configurando la violazione dell’art. 112 c.p.c. un "error in procedendo", per il quale la Corte di cassazione è giudice anche del "fatto processuale", non essendo tale vizio rilevabile d’ufficio, il potere-dovere della Corte di esaminare direttamente gli atti processuali non significa che la medesima debba ricercarli autonomamente, spettando, invece, alla parte indicarli.
3. La censura relativa all’omessa valutazione: a) della visura camerale storica – da cui si dovrebbero evincere le date di inizio e fine dell’attività-; b) del libro dei cespiti ammortizzabili – che documenterebbe la scarsa qualità dei beni strumentali utilizzati (tutti di seconda mano)-; c) dell’avviso di accertamento – da cui si accerterebbe l’assenza di dipendenti – difetta, del pari, di autosufficienza, non avendo il ricorrente riprodotto, nel ricorso, il contenuto di detti documenti, nè indicata la sede processuale del giudizio di merito in cui la produzione era avvenuta e la sede in cui essa è rinvenibile -nel fascicolo d’ufficio o in quelli di parte, rispettivamente acquisito e prodotti – nel giudizio di legittimità.
E ciò, in contrasto col principio ripetutamente affermato (Cass. n. 12239/2007; n. 20437/2008; n. 4056/2009), e qui condiviso, che impone tali adempimenti, in funzione del disposto dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 (nel testo antecedente la riforma di cui al D. Lgs. n. 40/2006, qui applicabile) che sanziona (come, del resto, ora il nuovo) con l’improcedibilità la mancata produzione dei documenti fondanti il ricorso, producibili (in quanto prodotti nelle fasi di merito) ai sensi del primo comma dell’art. 372 c.p.c. (cfr., pure, Cass. n. 17915/2010).
4. Il profilo con cui il ricorrente lamenta il mancato accoglimento dell’istanza volta all’ammissione di una consulenza, D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 7, è privo di fondamento. Questa Corte (Cass., n. 4589/2009; n. 366/2006; n. 16161/2003; n. 8439/2004) invero, ha rettamente ribadito che la disposizione invocata dal contribuente costituisce una norma eccezionale che non può essere utilizzata come rimedio ordinario per sopperire alle lacune probatorie delle parti, dal momento che il giudice tributario non è tenuto ad acquisire di ufficio le prove a fronte del mancato assolvimento dell’onere probatorio salvo che sia impossibile o sommamente difficile esercitarlo, perchè, diversamente, risulterebbe violato il principio dispositivo su cui si fonda il processo tributario.
5. La censura relativa alla violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, art. 2697 c.c., L. n. 549 del 1995, art. 3 è, anch’essa, inammissibile: essa non risulta dedotta con riferimento al numero 3 dell’art. 360 c.p.c., comma 1, neanche implicitamente, non avendo il ricorrente affatto illustrato in che modo e sotto quale profilo il disposto di cui alle disposizioni menzionate sarebbe stato male applicato, o travisato, o frainteso dalla CTR. 6. L’omesso esame del "merito della questione controversa", ed, in ispecie, l’asserto avvenuto superamento, tramite i documenti prodotti, della presunzione su cui si fonda la pretesa impositiva, nonchè la censura relativa all’erroneo apprezzamento delle prove, proposta merce il richiamo agli artt. 115 e 116 c.p.c., restano, da una parte7 assorbiti in conseguenza a quanto considerato nel punto sub 3., e sono, dall’altra, inammissibili perchè tendono ad un nuovo esame del merito della causa, precluso in sede di legittimità, potendo la Corte valutare, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica (cfr. Cass. n. 27162/2009; n. 18119/2008; n. 5489/2007) la valutazione espressa dal giudice del merito, cui, solo, compete di valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, e di scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione.
Le spese, secondo il criterio legale della soccombenza, vanno poste a carico del ricorrente ed in favore dell’Agenzia e si liquidano in Euro 2000,00, oltre spese prenotate a debito.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il controricorso del Ministero dell’Economia e delle finanze, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento della spese, in favore dell’Agenzia, liquidate in Euro 2.000,00, oltre spese prenotate a debito.
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