Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
1. I ricorrenti impugnano l’ordinanza di demolizione delle opere abusive, "come rilevate dalla P.L. con verbale del 24/3/2010", eseguite presso l’abitazione di loro proprietà già condonata e consistenti in: "porticato a piano terra di mq. 44,00 circa con struttura portante di pilastrini in legno e copertura con struttura intelaiata orizzontale in legno e perline e tegole di finitura della superficie coperta di mq. 34,00 circa in ampliamento; manufatto a primo piano con struttura in legno e copertura in tegole da adibire a civile abitazione della superficie di mq. 45,00 circa e volume di mc. 119 circa".
2. A sostegno del gravame deducono i seguenti motivi:
a) violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 22, 27, 31, comma 2 e 3, e 32 del d.P.R. n. 380/01, dell’art. 83 delle N.T.A. del P.R.G. di Nardò, dei principi in materia urbanistica, edilizia e di procedimento sanzionatorio nonché dell’art. 3 della l. n. 241/1990;
b) eccesso di potere per erroneità dei presupposti di fatto e di diritto, difetto di istruttoria e di motivazione, violazione del principio di affidamento.
3. Si è costituita l’Amministrazione comunale intimata, eccependo l’inammissibilità e concludendo, in via gradata, per il rigetto del ricorso.
4. Con ordinanza n. 676/2010 del 9 settembre 2010, questa sezione ha temporaneamente sospeso gli effetti dell’ordinanza impugnata, ritenendo, a un primo esame, che la stessa dovesse considerarsi illegittima per mancata esatta indicazione dei beni da acquisire al patrimonio comunale in caso di sua inottemperanza.
5. Alla Camera di Consiglio del 13 gennaio 2011 fissata per la trattazione la causa è stata trattenuta per la decisione.
Motivi della decisione
Il ricorso è infondato.
I. Con il primo motivo si deduce che nell’ordinanza di demolizione non è indicata l’area di sedime del porticato al piano terra nonché quella necessaria alla realizzazione di opere analoghe allo stesso, da acquisire in caso di inottemperanza all’ordine.
La censura non può essere accolta.
Secondo l’orientamento da ultimo espresso da questa sezione, "re melius perpensa", con ciò uniformandosi alla giurisprudenza prevalente, l’indicazione dell’area di sedime, così come di quella necessaria per opere analoghe a quelle abusive, da acquisire al patrimonio comunale "non deve considerarsi requisito dell’ordinanza di demolizione – e dunque la mancanza non ne inficia la legittimità – giacché siffatta specificazione è elemento essenziale del distinto provvedimento con cui l’Amministrazione accerta la mancata ottemperanza alla demolizione da parte dell’ingiunto" (T.A.R. Puglia Lecce, sez. III, 9 dicembre 2010, n. 2809; nello stesso senso, T.A.R. Piemonte Torino, sez. I, 24 marzo 2010, n. 1577).
Infatti, il contenuto essenziale dell’ingiunzione di demolizione deve essere individuato in relazione alla funzione tipica del provvedimento, che è quella di prescrivere la rimozione delle opere abusive. Pertanto, ai fini della legittimità dell’atto è necessaria e sufficiente l’analitica indicazione delle opere abusivamente realizzate in modo da consentire al destinatario della sanzione di rimuoverle spontaneamente (T.A.R. Lazio Roma, sez. I, 9 febbraio 2010, n. 1785).
II. Con il secondo e terzo motivo di ricorso si sostiene che le opere edilizie realizzate non richiederebbero il previo rilascio del permesso di costruire, come ritenuto dall’Amministrazione intimata, ma sarebbe per esse sufficiente una mera denuncia di inizio attività, ex art. 22 del d.P.R. n. 380/2001, con conseguente impossibilità di irrogare la sanzione demolitoriaripristinatoria di cui all’art. 31 del medesimo decreto.
Anche tali motivi sono infondati.
II.1. Con riferimento al porticato a piano terra, questo costituisce una vera e propria costruzione e, come tale, è soggetto a concessione edilizia e a ingiunzione di demolizione in caso di abusività (T.A.R. Molise Campobasso, sez. I, 10 dicembre 2010, n. 1549). Infatti, per il suo carattere trasformativo e innovativo esso costituisce un manufatto del tutto nuovo idoneo, per dimensioni, consistenza e con riguardo al tipo di copertura, a svolgervi varie attività della vita quotidiana, in quanto tale comportante nuova volumetria, nuova superficie utile e quindi, per la sua realizzazione, il previo rilascio del permesso di costruire (Consiglio Stato, sez. IV, 13 ottobre 2010, n. 7481; T.A.R. Lombardia Milano, sez. II, 18 giugno 2010, n. 2107).
II.2. Quanto alla sopraelevazione mediante realizzazione di un manufatto sul solaio di copertura del piano terra dell’abitazione, se è vero che l’art. 10, comma 1, lett. c), del t.u. prevede la possibilità di ristrutturazioni che comportino modifiche di volume, sagoma, prospetti o superfici, subordinando interventi di questo tipo, alternativamente, a permesso di costruire ovvero a DIA, ex art. 22, comma 3, lett. a), va preliminarmente puntualizzato che la sanzione pecuniaria di cui all’art. 37, auspicata dai ricorrenti, risulta testualmente limitata alla sola realizzazione di interventi edilizi di cui all’articolo 22, commi 1 e 2, con esclusione, dunque, della c.d. ristrutturazione pesante di cui al comma 3, invocata, per la quale resta salva, in relazione all’intervento abusivo realizzato, l’applicazione delle sanzioni demolitorie di cui agli articoli 31, 33 e 34 del decreto citato.
Fatta tale premessa di principio, ciò non significa che qualsiasi ampliamento abusivo di edifici preesistenti debba essere automaticamente ascritto alla fattispecie della ristrutturazione. Al contrario, un intervento abusivo che sia tale, per dimensioni e consistenza, da snaturare le caratteristiche dell’edificio originario, quale la sopraelevazione, è legittimamente sanzionato a termini dell’art. 31 del testo unico, che qualifica come "interventi eseguiti in totale difformità dal permesso di costruire quelli che comportano la realizzazione di un organismo edilizio integralmente diverso per caratteristiche tipologiche, planovolumetriche o di utilizzazione da quello oggetto del permesso stesso, ovvero l’esecuzione di volumi edilizi oltre i limiti indicati nel progetto e tali da costituire un organismo edilizio o parte di esso con specifica rilevanza ed autonomamente utilizzabile" (comma 1), sanzionando con la rimozione o la demolizione – e, in caso di inottemperanza, con l’acquisizione di diritto del bene alla mano pubblica – "l’esecuzione di interventi in assenza di permesso, in totale difformità dal medesimo, ovvero con variazioni essenziali, determinate ai sensi dell’art. 32"(T.A.R. Lombardia Milano, sez. II, 18 giugno 2010, n. 2107).
Inoltre, ancorché entrambe le opere, a piano terra e al primo piano, siano realizzate con materiali di facile rimozione, prevalentemente in legno, deve escludersene la precarietà, atteso che la destinazione impressa è finalizzata a fornire un’utilità prolungata nel tempo, nello specifico, a fini abitativi, con stabile alterazione dello stato del territorio e conseguente necessità del rilascio di specifica concessione edilizia. Tanto ciò è vero che l’art. 3, lett. e.5) definisce "interventi di nuova costruzione", subordinati, come tali, a permesso di costruire, l’installazione di manufatti leggeri, di prefabbricati e di strutture di qualsiasi genere che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee.
III. Con il quarto motivo di ricorso le parti lamentano il difetto di motivazione del provvedimento impugnato anche alla luce del lungo lasso di tempo intercorso dalla realizzazione dell’abuso.
Il motivo è privo di pregio.
III.1. L’ordinanza di demolizione gravata risulta adeguatamente motivata in ordine ai presupposti di fatto ("opere realizzate abusivamente senza permesso di costruire") e alle ragioni giuridiche con richiamo alle norme violate e alle conseguenze sanzionatorie ivi previste (art. 31, d.P.R. n. 380/2001), che hanno determinato la decisione dell’Amministrazione (sanzione ripristinatoria) in relazione alle risultanze dell’istruttoria (sopralluoghi del tecnico comunale e della Polizia locale).
III.2. Quanto alla presunta violazione dell’affidamento ingeneratosi per il lasso di tempo decorso dagli interventi contestati, secondo orientamento prevalente dal quale il Collegio non vede ragioni per discostarsi, "l’ordine di demolizione, in quanto atto vincolato, è sufficientemente motivato con l’affermazione dell’accertata irregolarità dell’intervento, essendo in re ipsa l’interesse pubblico alla rimozione dell’abuso – anche se risalente nel tempo – senza necessità di una specifica comparazione con gli interessi privati coinvolti o sacrificati" (T.A.R. Veneto Venezia, sez. II, 13 maggio 2009, n. 1454), "non potendo l’abuso giustificare alcuna aspettativa del contravventore a vedere conservata una situazione di fatto che il semplice trascorrere del tempo non può legittimare" (T.A.R. Campania Napoli, sez. VI, 6 settembre 2010, n. 17306; nello stesso senso Consiglio Stato, sez. IV, 31 agosto 2010, n. 3955).
Vero è che quella stessa giurisprudenza fa comunque "salva l’ipotesi in cui, per il protrarsi e il lungo lasso di tempo trascorso dalla commissione dell’abuso e il protrarsi della inerzia dell’amministrazione preposta alla vigilanza, si sia ingenerata una posizione di affidamento nel privato, ipotesi questa sola, in relazione alla quale si ravvisa un onere di congrua motivazione che, avuto riguardo anche alla entità e alla tipologia dell’abuso, indichi il pubblico interesse, evidentemente diverso da quello al ripristino della legalità, idoneo a giustificare il sacrificio del contrapposto interesse privato" (Consiglio Stato, sez. IV, 6 giugno 2008, n. 2705).
Nel caso specifico, tuttavia, il decorso del decennio, tra l’altro, riferito dalle stesse parti alla sola realizzazione del porticato e non anche alla sopraelevazione, più recente, non appare sufficiente a determinare la convinzione, sia pure errata, della intrinseca legittimità delle opere tanto da determinare la necessità di una motivazione più articolata.
IV. Per le ragioni che precedono, il Collegio respinge il ricorso.
V. Peraltro, la fattispecie presenta tratti di peculiarità tali da indurre il Collegio a compensare integralmente fra le parti le spese e competenze del giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Lecce – Sezione Terza, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Compensa tra le parti le spese e competenze di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
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