Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
e rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
Con decreto ingiuntivo n. 4379/95 emesso dal Presidente del Tribunale di Salerno, veniva richiesto a M.G., E. S., Mo.Ge., M.V. ed M.E. di pagare, in solido, alla Cassa Rurale ed Artigiana di Battipaglia la somma di L. 408.968.496 oltre interessi legali e spese per le rate insolute di un mutuo concesso a M.G. ed E. S. con la garanzia degli altri ingiunti, per l’importo di L. 334.210.120 da restituire in 28 rate comprensive di capitale ed interessi. L’importo ingiunto era di L. 280.000.000, somma corrispondente a 20 effetti scaduti è non pagati, e di L. 106.454.112. quale debito residuo a scadere, e di L. 41.514.384. quali interessi moratori maturati sulle scadenze insolute, detratti gli acconti versati e pari a L. 19.000.000.
Con citazione del 20 gennaio 1995 gli ingiunti proponevano opposizione al decreto ingiuntivo e convenivano la Cassa davanti al Tribunale di Salerno sostenendo di aver versato somme maggiori di quelle riconosciute dalla banca stessa, e precisamente L. 30.082.500.
Affermavano inoltre che vi era stato un errore nel calcolo degli interessi avendo con il provvedimento opposto la Cassa richiesto il pagamento di interessi anche su effetti non ancora scaduti.
Resisteva la Cassa di Risparmio deducendo di aver ceduto pro solvendo alla Srl Icoplastic (poi divenuta Icofin srl) il credito in questione. La Icoplastic interveniva in giudizio chiedendo l’estromissione della banca ed il rigetto dell’opposizione.
Il Giudice Istruttore rigettava l’istanza di revoca della provvisoria esecuzione. Quindi, all’esito dell’istruzione, il Tribunale di Salerno dichiarava ammissibile l’intervento di Icoplastic, rigettava l’opposizione e confermava il decreto ingiuntivo opposto, condannando gli opponenti al pagamento delle spese del giudizio.
Proponevano appello tutti i soccombenti reiterando la richiesta formulata in primo grado di ammissione di consulenza tecnica d’ufficio per ricostruire l’importo di quanto da essi effettivamente dovuto, con il calcolo degli interessi, in particolare, meglio condotto.
Ribadivano infatti di aver versato una somma maggiore di quella riconosciuta dalla stessa banca ed insistevano nell’affermare che nella somma ingiunta erano stati erroneamente compresi anche gli interessi sugli effetti non ancora scaduti e dunque ancora non dovuti. La corte di merito rigettava integralmente l’appello.
Premesso di non ritenere necessario il ricorso una consulenza tecnica d’ufficio dal momento che la documentazione in atti consentiva di ricostruire pienamente il rapporto, il secondo giudice rilevava che – con la procedura monitoria attivata la Cassa Rurale aveva chiesto il pagamento di 27 cambiali, di cui 20 scadute e non pagate a partire dal 15 dicembre 94, per un totale di L. 280.000.000, ed altresì di 7 cambiali non ancora scadute per un totale di L. 106.450.112, già scorporato quest’ultimo importo, della quota corrispondente agli interessi. Aveva chiesto pure l’importo dovuto per interessi maturati sulle rate già scadute per un totale di L. 41.514.384, detraendo dalla complessiva somma quello versato a titolo di acconto pari a L. 19.000.000.
Quindi riteneva che gli appellanti non avevano fornito la prova dei pagamenti da essi affermati, se non nei limiti di L. 15.000.000, cifra addirittura inferiore a quella riconosciuta dalla Cassa creditrice.
Rilevava l’infondatezza della doglianza degli appellanti secondo i quali gli interessi sulle rate non ancora scaduti erano state calcolati due volte. In particolare la Corte di merito sottolineava l’errore degli appellanti consistito nel non aver considerato che del complessivo importo delle rate non ancora scadute di L. 136.248.549, comprensivo di capitale ed interessi, la banca richiedeva il solo importo di L. 106.454.112, corrispondente alla sorta capitale, escludendo quindi per ciascuna rata l’importo pattuito titolo di interessi come dal piano di ammortamento.
Ricorrono per cassazione contro questa sentenza soccombenti con atto articolato su di una complessa doglianza.
Resiste con controricorso la Cassa Rurale ed Artigiana, Banca di Credito Cooperativo di Battipaglia.
Motivi della decisione
1. Con l’unica articolata censura, i ricorrenti denunciano la motivazione omessa, insufficiente e, ovvero, contraddittoria, su un punto decisivo della causa e quindi l’errore nella impostazione delle operazioni matematiche necessarie per risolvere il problema di cui tratta. La censura stessa, peraltro, pur premettendo che non sembrano ricorrere le ragioni giustificative della formulazione del motivo in quesito di diritto, tuttavia formalizza comunque un quesito così espresso: "dica la Suprema Corte se sentenza civile della corte d’appello di Salerno … sia viziata da errore di giudizio per errata impostazione delle operazioni matematiche e per errori presupposti numerici del operazioni stesse perchè, dopo aver accertato che la somma discendente dalle rate di mutuo non ancora scadute di L. 136.248.549, rispetto a quella accertata nella sentenza di primo grado pari a L. 128.336.617 scorporata degli interessi, ritiene che la restante somma ammonta comunque a L. 106.450.112 nonostante la denuncia dei ricorrenti di una errata valutazione degli interessi scorporati;conseguentemente dica la Suprema Corte in relazione alla documentazione esibita dai ricorrenti circa l’importo versato in acconto se, per effetto della corretta impostazione delle operazioni di deconto delle citate somme, questi ultimi dovevano essere condannati a pagare all’istituto mutuante una somma minore rispetto a quella del provvedimento monitorio".
Ritiene il collegio che la pur singolare formulazione del motivo consenta di individuare il cuore della censura che, come indicato nella premessa del motivo, è di motivazione comunque inadeguata. Con il che si ritiene di non condividere l’eccezione di inammissibilità del motivo avanzata dalla difesa resistente sotto il profilo della sua formulazione non perspicua o ovvero non comprensibile, ovvero ancora in quanto contraddittoriamente accuserebbe la sentenza impugnata al tempo stesso di omissione e quindi di contraddittorietà della motivazione, e poi ancora di errore nella individuazione dell’obbiettivo della impugnazione.
La censura, va ripetuto, evidenzia il proprio contenuto nella specifica questione degli interessi dovuti alla banca dagli odierni ricorrenti. Essi hanno sostenuto davanti alla Corte d’appello l’errore del primo giudice consistito, a loro dire, nell’aver duplicato gli interessi sulle somme dovute per le rate non scadute.
Ed oggi ritengono che il giudice di secondo grado non ha corretto questo preteso errore, pervenendo alla stessa conclusione.
2. Osserva il collegio che i giudici di merito pur partendo da modi diversi di calcolare il debito complessivo, affermano entrambi) quanto alla questione di cui si tratta, l’identico debito di L. 106.454.112. I ricorrenti desumono l’inadeguatezza della motivazione dal fatto che il Tribunale individua come sorte capitale relativamente alle sette rate a scadere l’importo di L. 128.308.616, mentre il giudice d’appello per le stesse rate individua come sorte capitale ed interessi la somma di L. 136.248.549.
Orbene va rammentato che la sentenza impugnata esaminando il punto (foglio 8) risponde agli appellanti che essi omettono di considerare che del complessivo importo derivante dalle rate non scadute di L. 136.248.549, comprensivo di capitale ed interessi la banca chiedeva solo L. 106.454.112, escludendo da ciascuna rata l’importo corrispondente ai pattuiti interessi. Con ciò il secondo giudice, la cui sentenza sostituisce integralmente quella di primo grado, ha inteso rammentare che, mentre l’importo di L. 128.336.616 al quale fa riferimento il giudice di primo grado, è la quota di debito risultante dalle sette rate a scadere dal dicembre del 1994 ma al netto degli interessi non ancora maturati, quella, superiore, di L. 136.248.549 cui la sentenza in esame fa riferimento, è pur sempre la stessa quota di debito delle sette rate a scadere, ma tuttavia, comprensiva anche degli interessi a maturare.
In realtà dunque attraverso percorsi di calcolo diversi il giudice di secondo grado arriva alle stesse conclusioni adottate dal primo giudice, ma senza alcuna contraddizione.
2.a. La doglianza è complessivamente infondata.
3. Il ricorso deve essere rigettato. I ricorrenti vanno condannati in solido al pagamento delle spese di giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio, che liquida in Euro 4000,00 per onorari, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, nonchè alle spese generali ed accessori come per legge.
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