Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
le in persona del Dott. Riello Luigi, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Con sentenza del 26 ottobre 2009, la Corte di appello di Napoli ha confermato la sentenza emessa il 12 marzo 2003 dal Tribunale della medesima città nei confronti di A.A. con la quale il medesimo era stato condannato alla pena di anni uno e mesi quattro di reclusione ed Euro 5.000,00 di multa quale imputato del delitto di ricettazione.
Propone ricorso per cassazione personalmente l’imputato il quale lamenta nel primo motivo la nullità della sentenza impugnata in quanto erroneamente recante una imputazione diversa da quella contestatagli. Rinnova, poi, la eccezione concernente la citazione a giudizio in primo grado, in quanto nel rinnovare la citazione stessa, non si è allegato il verbale di udienza, sicchè per la fissazione della nuova data non vi era alcun atto a firma del giudice che l’aveva fissata. Si deduce, infine, la prescrizione del reato avuto riguardo alla pena edittale prevista per il capoverso dell’art. 648 c.p..
Il ricorso è manifestamente inammissibile. Quanto al primo motivo, infatti, la erronea indicazione del capo di imputazione, peraltro del tutto agevolmente verificabile, non integra un vizio della sentenza ma una mera irregolarità formale del tutto insuscettibile di ingenerare, come pretenderebbe il ricorrente, una menomazione del diritto di difesa, trattandosi di sentenza emessa in grado di appello dopo la celebrazione del relativo giudizio. La seconda eccezione è parimenti destituita di fondamento, in quanto la indicazione della nuova udienza, regolarmente disposta dal giudice, è stata effettuata mediante la notifica di un atto recante la sottoscrizione del cancelliere, su disposizione del giudice del giudice competente.
La prescrizione, infine, non è maturata, in quanto, contrariamente a quanto mostra di ritenere il ricorrente, l’ipotesi di cui al capoverso dell’art. 648 c.p., non è figura autonoma di reato ma semplice circostanza attenuante, che non rileva, dunque, ai fini del computo della prescrizione del reato.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento alla Cassa delle ammende di una somma che si stima equo determinare in Euro 1.000,00 alla luce dei principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille in favore della Cassa delle ammende.
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