Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
Con sentenza del 30 luglio 2008 la Corte di appello di Venezia, premetteva: a) l’Intesa Gestione Crediti s.p.a. aveva convenuto dinanzi al Tribunale di Padova Z.R., B.P. e la società Zanella di Zanella Alessia e & C. ai in sensi dell’art. 548 c.p.c. per ottenere l’accertamento del debito di detta società – non comparsa all’apposita udienza ai sensi dell’art. 547 c.p.c. – nei confronti della B. e dello Z., soci accomandanti della stessa, pignorati per debiti nei confronti della Intesa Gestione Crediti e di costoro; b) il Tribunale, attraverso il C.T.U., aveva accertato che detta società, dopo la citazione, aveva mutato soltanto la ragione sociale e l’assetto societario, era debitrice nei confronti della B. di Euro 22.489.89 e nei confronti dello Z. di Euro 4.997,75.
Quindi la Corte di merito rigettava l’appello di questi ultimi e di C.G., titolare della CA.GI s.a.s., sulle seguenti considerazioni: 1) la citazione in riassunzione non era nulla per incertezza del nome proprio del socio rappresentante della società – e cioè Z.A. anzichè A. – poichè non aveva determinato assoluta incertezza dell’identità del chiamato in giudizio, ed inoltre tale mera omissione grafica risultava solo in una parte dell’atto, mentre l’indicazione in altre parti del medesimo e nella relata era esatta, e peraltro la società era identificabile anche attraverso l’indicazione della sua sede; 2) il C.T.U. aveva accertato l’esistenza di utili distribuibili ai soci sulla base dei redditi sociali dell’anno 2000 dichiarati dalla s.a.s. Zanella agli uffici finanziari nel modello unico 2001, avente valore confessorio stragiudiziale – e perciò detto ausiliare aveva correttamente ritenuto che fosse stato approvato il rendiconto degli utili – e su di essi, a norma dell’art. 2270, comma 1, artt. 2305 e 2315 c.c. poteva far valere i suoi diritti il creditore del socio.
Ricorrono per cassazione Z.R. e B.P., cui resiste la società Italfondiario in qualità di mandataria di Castello Finance s.r.l., cessionarie dei rapporti giuridici rispettivamente da Banca Intesa e da società del Gruppo Intesa, e di Intesa Sanpaolo s.p.a., succeduta alla gestione Crediti s.p.a..
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo i ricorrenti deducono, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, che per la s.a.s. Zanella l’art. 2314, prescrive che la società agisce sotto una ragione sociale (= denominazione) costituita dal nome di almeno, uno dei soci accomandatari e che l’art. 145 c.p.c., comma 2, impone che la notificazione alle società non avente personalità giuridica si fa a norma del comma precedente, ovvero alla persona fisica che rappresenta l’ente qualora nell’atto da notificare ne sia indicata la qualità (secondo la disciplina delle notificazioni alle persone fisiche) e conclude con il seguente quesito di diritto: "Accerti la Suprema Corte se la circostanza dell’erronea indicazione, nella vocatio in ius dell’atto di citazione notificato in riassunzione ex art. 548 c.p.c. della denominazione "società Zanella s.a.s. di Zanella Alessi e & C." integri e costituisca violazione dell’art. 2314 c.c. e art. 163 c.p.c., n. 4 e art. 164 c.p.c. con conseguente nullità di tale atto introduttivo".
Il motivo è inammissibile.
Almeno sotto due, concorrenti, profili.
In primis il quesito di diritto che lo conclude ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c. non è conforme al modello delineato da tale disposizione come pacificamente interpretato dalla giurisprudenza di questa Corte regolatrice.
In particolare, giusta la richiamata – non controversa – giurisprudenza di questa Corte il quesito di diritto di cui all’art. 366 bis c.p.c. deve compendiare: a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito; b) la sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal quel giudice; c) la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie.
Di conseguenza, è inammissibile il ricorso contenente un quesito di diritto che si limiti a chiedere alla S.C. puramente e semplicemente di accertare se vi sia stata o meno la violazione di una determinata disposizione di legge o a enunciare il principio di diritto in tesi applicabile (Cass. 17 luglio 2008, n. 19769).
Conclusivamente, poichè a norma dell’art. 366 bis c.p.c. la formulazione dei quesiti in relazione a ciascun motivo del ricorso deve consentire in primo luogo la individuazione della regula iuris adottata dal provvedimento impugnato e, poi, la indicazione del diverso principio ai diritto che il ricorrente assume come corretto e che si sarebbe dovuto applicare, in sostituzione del primo, è palese che la mancanza anche di una sola delle due predette indicazioni rende inammissibile il motivo di ricorso.
Infatti, in difetto di tale articolazione logico giuridica il quesito si risolve in una astratta petizione di principio o in una mera riproposizione di questioni di fatto con esclusiva attinenza alla specifica vicenda processuale, o ancora in una mera richiesta di accoglimento del ricorso come tale inidonea a evidenziare il nesso logico giuridico tra singola fattispecie e principio di diritto astratto, oppure infine nel mero interpello della Corte di legittimità in ordine alla fondatezza della censura così come illustrata nella esposizione del motivo (Cass. 26 gennaio 2010, n. 1528, specie in motivazione, nonchè Cass., sez. un., 24 dicembre 2009, n. 27368).
In secondo luogo, anche nell’eventualità volesse ritenersi la ammissibilità del sopra trascritto quesito, si osserva che le censure sviluppate con il primo motivo non sono correlate in alcun modo alla ratio deciderteli della sentenza impugnata ed sono, altresì, prive di qualsiasi argomentazione giuridica contrapposta a quelle, in fatto ed in diritto, contenute nella sentenza di merito, riassunta in narrativa.
2. Con il secondo motivo i ricorrenti deducono "quanto all’insussistenza ex lege di utili pignorabili alla data del 28 novembre 2000, prodotti per quell’anno in capo alla società Zanella s.a.s., si ribadisce che detti utili sorgono, per legge, solo con l’approvazione del rendiconto finale della gestione annuale – che si pone quale condizione e presupposto per la loro esistenza, ai sensi dell’art. 2262 c.c. – e non prima, che avviene l’anno successivo all’esercizio in cui si sono prodotti, e che costituisce il presupposto della dichiarazione fiscale da presentarsi entro giugno 2001 a norma del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 5 ed inoltre alla data dell’accertamento dell’obbligo del terzo i soci avevano ceduto la loro quota come accertato in primo grado".
Concludono con il seguente quesito di diritto: "Accerti la Suprema Corte se la società Zanella, ora CA. GI, contrariamente all’assunto dei giudici a quo, alla data 28 novembre 2000 del pignoramento presso terzi, era o meno debitrice nei confronti dei suoi soci Z. R. e B.P. di utili di bilancio prodotti in quella frazione di anno e se il relativo diritto sorge l’anno dopo il 2001, dal momento dell’approvazione del rendiconto ( art. 2262 c.c.) il quale costituisce il presupposto della dichiarazione fiscale della società – D.P.R. n. 917 del 1986 – indicante ex lege, se positiva, l’utile da distribuire ai soci, la cui somma questi devono riprodurre nella propria personale dichiarazione dei redditi. Di conseguenza accertare l’insussistenza ex lege di utili in favore dei soci esecutati, pignorabili presso la società Zanella s.a.s. data del pignoramento 28 novembre 2000".
Il motivo è, per alcuni versi, inammissibile, per altri infondato.
Quanto alla eccepita inammissibilità è palese, in primo luogo, la non rispondenza del quesito, sopra trascritto al modello sopra indicato.
Con lo stesso, infatti – totalmente prescindendo dalla stessa formulazione letterale della disposizione di cui all’art. 366 bis c.p.c. e dalla interpretazione datane da questa Corte regolatrice – i ricorrenti, lungi dall’individuare la regula iuris adottata dal provvedimento impugnato e dall’indicare il diverso principio di diritto che si assume corretto e che si sarebbe dovuto applicare, in sostituzione del primo, si sollecita questa Corte regolatrice – la quale, contrariamente a quanto suppone la difesa dei ricorrenti, per quanto risulta non è un giudice di merito di terzo grado (cfr., ad esempio, Cass. 13 ottobre 2010, n. 21153, nonchè Cass. 31 marzo 2008, n. 8299, specie in motivazione) – di accertare in linea di fatto se, contrariamente all’assunto dei giudici a quo, alla data … del pignoramento presso terzi, la società era o meno debitrice nei confronti dei suoi soci Z.R. e B.P..
In secondo luogo, sempre con riguardo alla sopra evidenziata inammissibilità della censura in esame, si osserva che la questione relativa alla circostanza che alla data di approvazione del bilancio era mutata la compagine sociale cui si fa riferimento nella parte espositiva del motivo non solo non ha alcun riscontro nel quesito finale di cui all’art. 366 bis c.p.c., ma non risulta che la questione sia stata prospettata nell’atto di appello, come ulteriore doglianza avverso quanto ritenuto dal primo giudice e deve, pertanto, essere ritenuta nuova e come tale, per ciò solo inammissibile.
In terzo e ultimo luogo non deve trascurarsi che il motivo prende le mosse come riferito sopra dalla seguente affermazione: nella specie non essendo pacificamente ancora stato approvato detto rendiconto al tempo del pignoramento … Per contro si osserva che la sentenza ora oggetto di ricorso per cassazione a pagina 7 nell’esaminare la censura sviluppata nell’atto di appello sotto il profilo di cui all’art. 2262 c.c. precisa nel caso di specie deve ritenersi che l’intervenuta appostazione nella dichiarazione dei redditi della società dell’utile conseguito dalla società stessa nell’anno 2000 .. implica, necessariamente, che il rendiconto .. Fosse stato approvato e che quindi i soci .. (debitori, esecutati) fossero creditori, alla data del pignoramento, nei confronti della Società .. delle somme indicate dal CTU. Successivamente, alla pagina 8, sono ulteriormente indicate le ragioni per cui la circostanza di fatto di cui sopra doveva ritenersi – senza ombra di dubbio – accertata.
Certo quanto sopra è di palmare evidenza un ulteriore profilo di inammissibilità del motivo di ricorso in esame, atteso, da un lato, che prescinde da quanto accertato in linea di fatto dalla sentenza impugnata, dall’altro, che se del caso, ove in effetti come si invoca era pacifico in causa che il rendiconto non era stato approvato all’epoca del pignoramento, la sentenza impugnata almeno secondo la prospettiva della parte ricorrente è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontestabilmente esclusa e la censura per l’effetto doveva essere prospettata con il diverso rimedio di cui all’art. 395 c.p.c., n. 4 (e non con il ricorso per cassazione) (tra le tantissime, in questo senso, ad esempio, Cass. 27 aprile 2010, n. 10066).
Il motivo – si osserva da ultimo per completezza di esposizione – è comunque, come sopra anticipato, anche manifestamente infondato, atteso, da un lato, che la esigibilità del credito non è a condizione della sua pignorabilità, poichè oggetto dell’espropriazione forzata non è tanto un bene suscettibile di esecuzione immediata quanto una posizione giuridica attiva dell’esecutato, sicchè l’espropriazione presso terzi può configurarsi anche con riguardo a crediti illiquidi o condizionati, ma suscettibili di una capacità satisfattiva futura (per via di assegnazione o di vendita e successiva aggiudicazione) concretamente prospettabile nel momento della assegnazione (Cass. 15 marzo 2004, n. 5235), dall’altro che in tema di crediti futuri la mancanza dei requisiti di certezza e liquidità, così come non inficia l’efficacia traslativa dell’atto di ; cessione, purchè si tratti di un credito non meramente eventuale, in quanto destinato a maturare nell’ambito di un rapporto identificato e già esistente, non incide neppure sulla pignorabilità del credito, e non preclude quindi l’azione esecutiva sullo stesso, posto che il pignoramento pone sul bene un vincolo che ha senso solo se ne sia ipotizzabile l’alienabilità (Cass. 10 settembre 2009, n. 19501).
3. Il proposto ricorso, conclusivamente, deve essere rigettato con condanna dei ricorrenti, in solido, al pagamento, in favore della parte resistente delle spese di lite di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti in solido, al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità in favore della parte resistente, liquidate in Euro 200,00, oltre Euro 1.000,00 per onorari e oltre spese generali e accessori come per legge.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.