Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Con sentenza 27/10/09 la Corte di Appello di Perugia, decidendo su rinvio della S.C. di Cassazione (sentenza 6/6/08), in parziale riforma della sentenza 28/4/05 del Gup del Tribunale di Fermo che in esito a giudizio abbreviato condannava R.A., notaio, alla pena (sospesa) di anni uno di reclusione per i reati (commessi in (OMISSIS)) di abuso d’ufficio (capo A, limitatamente al punto 2) e falsità ideologica (capo B), dichiarava non doversi procedere in ordine al reato A/2 per intervenuta prescrizione e riduceva la pena per il reato B, con la diminuente del rito, a mesi 10 e giorni 20 di reclusione. Con le confermate statuizioni a favore della parte civile O.M..
L’accusa a carico del notaio, chiamato a stipulare la vendita di un suolo agricolo con sovrastante fabbricato rurale che A. P. aveva promesso in vendita a M.S. e V. G., era di avere consigliato all’ A., allo scopo di evitare che la confinante O.M. si valesse del diritto di prelazione, di effettuare il trasferimento dell’immobile sotto forma di permuta del fondo contro corresponsione di alcuni quadri di autore, in realtà di proprietà della venditrice ma fatti falsamente figurare come ceduti dagli acquirenti, cui veniva attribuito il valore di L. 70 milioni pari al valore dichiarato del fondo medesimo (abuso d’ufficio) e di avere falsamente attestato nell’atto di permuta così rogato fatti non veridici (permuta, cioè, in luogo di compravendita: falso ideologico).
In primo grado il Gup del Tribunale di Fermo aveva condannato per entrambi i reati. La Corte di Appello di Ancona aveva annullato, ravvisando per il falso (da ritenere in esso assorbito l’abuso d’ufficio) una mancata correlazione tra l’accusa e la sentenza (a fronte della contestazione della redazione di un atto simulato, si era condannato per l’omessa indagine sull’effettiva volontà degli acquirenti e l’omessa informazione agli stessi dell’atto rogato).
La sentenza di appello era tuttavia impugnata per cassazione da PG e parte civile e la Suprema Corte si pronunciava escludendo l’affermata- discrasia, posto che la mancata informazione alle parti figurava nel capo d’imputazione, e riaffermando l’autonomia dei due reati.
Rinviava gli atti alla Corte di Appello di Perugia, che pronunciava la sentenza presentemente impugnata: prescritto l’abuso di ufficio, consistente il reato di falso ideologico non nella redazione di un atto simulato ma nella falsa attestazione della proprietà dei quadri, che, nonostante fossero della venditrice del fondo, erano fatti figurare come parte della permuta (quadri contro terreno) e che neppure erano fisicamente presenti, se non in fotografia, al momento della rogata traditio.
Ricorreva per cassazione la difesa dell’imputato, deducendo: 1) erronea applicazione della legge penale e mancanza e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza del reato di falso ideologico (riepilogata la vicenda processuale, si censurava il vizio sotto il triplice profilo: 1.1 – della totale carenza motivazionale circa la pur dedotta insussistenza materiale del fatto storico contestato all’imputato e cioè di avere agito senza che le parti avessero mai raggiunto l’accordo di concludere un contratto di permuta; 1.2 – dell’evidente carenza motivazionale circa la pur dedotta insussistenza giuridica del reato di falso in atto pubblico, valutando come tale non più la redazione dell’atto simulato ma l’attestazione della traditio che lo accompagnava; 1.3 – del macroscopico errore di diritto che ne conseguiva, il contenuto del rogito essendo le dichiarazioni, sia pure simulate, delle parti e non le vicende naturalistiche che erano in esse implicite); 2) erronea applicazione della legge penale e mancanza e manifesta illogicità della motivazione per il mancato riconoscimento della intervenuta prescrizione anche per il reato di falso, la pendenza in grado di appello che impedisce il vigore della nuova disciplina della prescrizione per i processi in corso andando ravvisata non nella conclusione con sentenza del giudizio di primo grado come ritiene la corrente interpretazione delle S.U. della S.C., ma nella effettiva instaurazione del grado di appello con la relativa citazione a giudizio (interpretazione che determinava l’applicazione della nuova disciplina alla fattispecie). Chiedeva l’annullamento della sentenza impugnata.
Con motivi nuovi la difesa deduceva ancora: 1) mancanza assoluta di motivazione sul riconoscimento delle attenuanti generiche chieste in appello; 2) erronea applicazione della legge penale e mancanza e manifesta illogicità della motivazione sulla questione della prescrizione del reato di falsità ideologica e ciò sia in riferimento alla mancata risposta alla già sollevata eccezione di illegittimità costituzionale dell’interpretazione data della disciplina provvisoria in violazione dell’art. 3 Cost., sia in riferimento alla contrarietà della detta interpretazione, sollevata in punto con i motivi nuovi, all’art. 117 Cost. e art. 7 Cedu, per cui necessario corollario del principio dell’irretroattività della legge penale più severa è quello della retroattività della legge penale meno severa (questione già dichiarata non manifestamente infondata, con ordinanza della S.C., sez. 2^, n. 22357 del 25/5- 11/6/2010, rv. 247321, De Giovanni e altro).
Alla pubblica udienza fissata per la discussione, previo invito del Collegio alle parti, per voce del Presidente, a discutere sull’applicabilità dell’art. 476 c.p., comma 2 e artt. 110 e 483 c.p., il PG concludeva per la non manifesta infondatezza della questione di illegittimità costituzionale già sollevata dalla seconda sezione penale, il difensore di parte civile (che metteva a disposizione copia del rogito assente in atti, che il Collegio acquisiva) per l’improponibilità della questione medesima sollevata coi motivi nuovi e il rigetto del ricorso nel merito, i difensori dell’imputato (comunque aderendo all’ipotesi di un concorso nel reato di cui all’art. 483 c.p.) per l’accoglimento del ricorso.
Il ricorso è fondato laddove rileva come, una volta riaffermato il principio (pacifico nella giurisprudenza di legittimità) che il contratto simulato non costituisce illecito penale (ma è solo foriero di risarcimento civile per la parte danneggiata) altrettanto deve dirsi per gli aspetti accessori alle dichiarazioni simulate nelle quali si sostanzia il contratto medesimo.
Nel caso in esame le parti (concordemente) hanno stipulato un contratto simulato (un’apparente permuta in luogo della reale compravendita) ed a ciò hanno dato il loro consenso sia l’alienante che gli acquirenti (che mai hanno lamentato una coartazione della loro volontà). La giurisprudenza di legittimità è pacifica nell’affermare che il contratto simulato non costituisce in sè un atto illecito (v. Cass., 2^ sez. civile, sent. n. 2085 del 26/2/91, rv. 471093)e il notaio rogante partecipa di tale liceità anche in sede penale (v. Cass. Sez. 5, sent. N. 7501 del 13/5/83, rv. 160220, Zocco). Diversamente quando attesta falsamente il compimento di atti o fatti accaduti sotto la sua diretta percezione: in tal senso si esprime la stessa sentenza Zocco sopra citata (rv. 160221), in caso di un contratto di compravendita dove il prezzo realmente convenuto venga pagato in presenza del notaio, che nell’atto attesta invece (così commettendo il reato di cui all’art. 479 c.p.) la contestuale corresponsione di una somma diversa.
Nel caso in esame va invece dato atto che la falsa indicazione di una delle prestazioni della simulata permuta (i dei quadri già di proprietà della venditrice e simulatamene ceduti alla medesima vengono si descritti nel contenuto e nelle dimensioni, ma senza mai affermarne la materiale presenza davanti al notaio, che infine rinvia, "a maggio descrizione ed identificazione", alle loro fotografie raccolte su un foglio) non eccede mai le esigenze strettamente connesse alla scelta simulatoria ed evitando, non senza ambiguità, esplicite attestazioni sulla contestualità della traditio, rimane nell’area di liceità penale riconosciuta a quel tipo di contratto. Analoghe considerazioni valgono per l’ipotesi ex artt. 110 e 483 c.p..
La sentenza impugnata va pertanto annullata senza rinvio ( art. 620 c.p., lett. a) perchè il fatto non sussiste.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè il fatto non sussiste.
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