T.A.R. Toscana Firenze Sez. III, Sent., 13-05-2011, n. 845 Demolizione di costruzioni abusive Edilizia e urbanistica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Polizia Municipale del Comune di Bagno a Ripoli ha accertato la realizzazione, senza concessione edilizia, delle seguenti opere (risultanti da verbale della Polizia Municipale del 14/1/2000) su terreno agricolo situato in via di Terzano, di proprietà della ricorrente:

a) garage in muratura coperto a terrazza; b) baracca in lamiera ondulata su platea in calcestruzzo, adibita al rimessaggio di arredi da giardino; c) tettoia in ondulato di eternit adibita a deposito per legna; d) tettoia in lamiera e materiale plastico con muretto laterale destinata a rimessaggio di macchine agricole; e) ristrutturazione di manufatto abusivo costituito da ondulato plastico e da eternit, con muratura in laterizio sostitutivo dei vecchi materiali, nonché consolidamento della copertura (costruzione adibita a rimessaggio di attrezzi agricoli e ricovero degli animali).

Il dirigente comunale del Settore Assetto del territorio, con ordinanza n.42 dell’11/2/2000, ha diffidato la ricorrente a demolire le predette opere edilizie.

Avverso tale provvedimento quest’ultima è insorta, con l’impugnativa n.1073/2000, deducendo:

– falsa applicazione dell’art.7 della legge n.47/1985; eccesso di potere per travisamento dei fatti.

Successivamente le due tettoie, in adempimento dell’ordinanza, sono state demolite.

La ricorrente ha poi presentato domanda di accertamento di conformità ex art.37 della L.R. n.52/1999, onde sanare la ristrutturazione abusiva.

E’ seguito, in data 20/7/2001, il provvedimento con cui il Comune di Bagno a Ripoli ha respinto l’istanza di sanatoria edilizia, in quanto le opere realizzate non risultavano consentite dallo strumento urbanistico.

Avverso il predetto diniego la parte istante è insorta col ricorso n.2214/2001 deducendo:

– violazione del principio dell’affidamento e/o difetto di motivazione.

In applicazione della legge n.326/2003 e dell’art.2 della L.R. n. 53/2004 l’interessata ha presentato domanda di condono edilizio il 9 dicembre 2004, qualificando l’abuso come ristrutturazione edilizia consistente nella costruzione di manufatti costituiti da addizioni funzionali (garage, cantina, ecc.), di pertinenza dell’unità principale (trattasi del fabbricato identificato alla lettera "E’ del sopra citato verbale della Polizia Municipale del gennaio 2000 -si veda la precisazione espressa alla pagina 3 della memoria difensiva depositata in giudizio dal Comune il 18/12/2008), in zona agricola sottoposta a vincolo idrogeologico e sismico (foglio 24, mappa 381). Nella domanda è precisato che il manufatto è stato già oggetto dell’ordine di demolizione n.42 dell’11/2/2000, ha una superficie complessiva di mq.87 e sviluppa una volumetria di mc.200 (documento n.3 depositato in giudizio dall’Ente in data 30/12/2010).

Con nota tecnica esplicativa del 16/9/2005 (documento n.4 depositato in giudizio dall’amministrazione il 30/12/2010) la signora M.N. ha chiarito che la domanda di definizione dell’illecito edilizio "riguarda un fabbricato indipendente ad un piano ubicato nel terreno limitrofo all’edificio principale di proprietà…costituito da un corpo di fabbrica principale in muratura (individuato con la lettera E) con addossate alcune superfetazioni…in struttura precaria (lettere A, B, C, D)…Il tutto come già rilevato con verbale del 14/1/2000 del Corpo di Polizia Municipale che ne definiva l’uso come agricolo…Per motivi estetici, statici e funzionali è intenzione di questa proprietà mantenere solo il corpo di fabbrica originario in muratura eliminando le successive aggiunte…Quanto sopra considerato, la scrivente ha ritenuto di richiedere la sanatoria per la sola porzione E per un volume di mc.200 circa come indicato nel rapporto di Polizia Municipale del 14/1/2000…riservandosi di demolire le porzioni in eccesso".

Il Comune, ritenuto che l’oggetto della predetta istanza fosse rappresentato da fabbricati suscettibili di autonoma utilizzazione, in applicazione dell’art.79, comma 2, lettera d, della L.R.n.1/2005 e dell’art.2, comma 1, lettera a, della L.R. n.53/2004, con ordinanza del 26/6/2008 ha denegato il rilascio del titolo richiesto e ha contestualmente intimato la demolizione.

Avverso tale provvedimento la ricorrente è insorta, con il ricorso n.1949/2008, deducendo:

1) violazione e falsa applicazione dell’art.2, comma 1, lettera a, della L.R. n.53/2004, della deliberazione della giunta regionale n.1158/2004 (illustrativa della L.R. n.53/2004) e dell’art.70 della L.R. n.1/2005; eccesso di potere per travisamento dei fatti;

2) violazione e falsa applicazione dell’art.10 bis della legge n.241/1990; eccesso di potere per difetto di motivazione;

3) violazione e falsa applicazione dell’art.2, comma 1, lettera a, della L.R. n.53/2004, dell’art.2 comma 5, lettera a, della stessa legge regionale, nonché della deliberazione della giunta regionale n.1158/2004; violazione e falsa applicazione dell’art.79 della L.R. n.1/2005; ulteriore violazione dell’art.10 bis della legge n.241/1990; eccesso di potere per difetto di istruttoria, travisamento dei fatti e violazione del giusto procedimento.

Si è costituito in giudizio, in relazione ai tre ricorsi, il Comune di Bagno a Ripoli.

Con ordinanza n.1221 del 19/12/2008 è stata respinta l’istanza cautelare introdotta con il terzo gravame.

All’udienza del 10 febbraio 2011 le cause sono state poste in decisione.
Motivi della decisione

Preliminarmente occorre riunire i ricorsi in epigrafe, stante la loro connessione oggettiva.

In ordine alle questioni in rito, il Collegio rileva che le opere sanzionate con l’ordinanza di demolizione n.42 dell’11/2/2000, impugnata con il primo ricorso, in parte sono state demolite e in parte sono divenute oggetto delle successive istanze di sanatoria edilizia.

In particolare, le tettoie rappresentate alle lettere C e D del verbale della Polizia municipale del 14/1/2000 sono state rimosse dalla deducente (pagina 4 del ricorso n.2214/2001), mentre la domanda di condono edilizio da ultimo presentata riguarda l’intervento edilizio descritto nella lettera E del verbale medesimo; inoltre l’istante ha dichiarato di essere intenzionata a eliminare le restanti opere abusive, adducendo motivi estetici, statici e funzionali (si veda la nota esplicativa sottoscritta dall’interessata, costituente il documento n.4 depositato in giudizio il 30/12/2010 in relazione al terzo ricorso).

In ogni caso l’istanza di condono del 2004, al pari della domanda di attestazione di conformità del 2001, per le opere che ne sono oggetto, è idonea a far venire meno l’efficacia dell’ordine repressivo gravato con la prima impugnativa in quanto il sopravvenuto diniego implica la riattivazione del procedimento ripristinatorio sulla base dell’accertata non sanabilità e conseguentemente l’interesse della parte istante si concentra nel contestare il provvedimento negativo sopravvenuto (TAR Emilia Romagna, Bologna, II, 1/3/2005, n.336; TAR Toscana, III, 13/5/2008, n.1455).

Pertanto i sopravvenuti dinieghi di sanatoria e di condono (in relazione all’abuso edilizio sub lettera E del verbale della Polizia Municipale), l’avvenuta demolizione delle tettoie (abusi edilizi di cui alle lettere C e D) e l’intento dichiarato dall’interessata di conservare solo il corpo di fabbrica in muratura eliminando (per addotte ragioni estetiche, statiche e funzionali) le successive aggiunte, dimostrano la sopravvenuta carenza di interesse in ordine al ricorso n.1073/2000, il quale è improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse.

E’ stata altresì eccepita dal Comune resistente l’improcedibilità del ricorso n.2214/2001, sull’assunto che al diniego di sanatoria edilizia ivi impugnato ha fatto seguito, per le stesse opere, la presentazione di domanda di condono ex L.R. n.53/2004.

L’obiezione non è condivisibile.

Se è vero che, in forza della domanda di condono presentata il 9/12/2004 (documento n.3 depositato in giudizio il 30/12/2010), ogni elemento precedentemente sottoposto all’esame dell’amministrazione resta assoggettato a nuova valutazione, è altrettanto vero che il diniego di condono ex art.2 della L.R. n. 53/2004 può fondarsi su ragioni che invece non possono di per sé essere ostative all’accoglimento dell’istanza di sanatoria ex art.37 della legge regionale n.52/1999.

Infatti la L.R. n. 53/2004 non prevede la regolarizzazione degli abusi realizzati in assenza di concessione edilizia, ma solo di quelli eseguiti in difformità dal titolo edilizio o in assenza di denuncia di inizio attività, mentre la sanatoria ex art.37 della legge regionale n.52/1999 si applica anche alle opere prive della necessaria concessione edilizia (purchè conformi agli strumenti urbanistici).

Ne deriva che il diniego impugnato col ricorso n.1949/2008, motivato adducendo il contrasto con l’art. 2, lettera a, della L.R.n.53/2004, norma questa preclusiva del condono per interventi realizzati senza concessione edilizia, non fa venir meno l’interesse sotteso al ricorso n.2214/2001, proposto avverso il diniego di attestazione di conformità, in quanto il diniego ex art.2, comma 1, lettera a, della L.R. n. 53/2004 non esclude che l’istanza di sanatoria ex art.13 della legge n.47/1985 possa trovare accoglimento.

Ciò premesso, entrando nel merito dell’impugnativa n.2214/2001, si osserva quanto segue.

La ricorrente lamenta sia la lesione del principio di affidamento, in quanto le opere de quibus sono state realizzate ben 35 anni prima dell’intervento del Comune, sia il difetto di motivazione in ordine all’interesse pubblico sotteso al contestato provvedimento.

Il rilievo è infondato.

Nel caso di specie non risulta accertata o dimostrata la remota realizzazione delle attuali opere abusive, visto che la nota comunale del 6/7/2001, assunta a presupposto del contestato diniego, rileva che le opere nel loro insieme sono state trasformate e ampliate tra il giugno 1970 e il 1998.

Né potrebbe essere addotta la buona fede della ricorrente, cessionaria dell’immobile in forza di compravendita del 3/1/1979, stante la rilevante estensione dei manufatti abusivi e stante l’onere di verificare, al momento dell’acquisto, la regolarità edilizia ed urbanistica dei beni comprati.

Inoltre, poiché la violazione di norme edilizie o urbanistiche ha carattere permanente, l’ordine di demolizione e il diniego di sanatoria intervengono su una situazione antigiuridica attuale; pertanto non può ritenersi consolidato, per effetto del mero decorso del tempo e in difetto di comprovata buona fede, l’interesse privato alla conservazione o regolarizzazione del manufatto abusivo (Cons.Stato, IV, 12/11/2002, n.6279; TAR Toscana, III, 23/1/2008, n.37; TAR Lombardia, Milano, II, 17/6/2008, n.2045; TAR Umbria, I, 28/9/2010, n.472; TAR Emilia Romagna, II, 29/1/2003, n.51).

Quanto all’impugnativa n.1949/2008 si osserva quanto appresso.

Con il primo motivo la ricorrente deduce che il Comune ha erroneamente qualificato l’abuso edilizio in questione, in quanto trattasi di opere costituenti pertinenza dell’immobile principale e non configurabili come organismo edilizio autonomo; ad avviso dell’esponente esse sono scaturite da intervento di ristrutturazione edilizia richiedente la d.i.a., e non la concessione edilizia, con conseguente condonabilità ai sensi dell’art.2, comma 1, lettera b, della L.R.n.53/2004; secondo la parte istante, in particolare, l’intervento in questione rientra tra le pertinenze o addizioni funzionali non configuranti nuovi organismi edilizi, qualificate come ristrutturazione edilizia soggetta a d.i.a. dall’art.79, comma 2, lettera d, n.3, della L.R. n.1/2005.

La censura è infondata.

L’amministrazione resistente, con nota inviata ai sensi dell’art.10 bis della legge n.241/1990, ha fatto presente alla signora N. di ritenere che il garage e la cantina oggetto dell’istanza costituissero fabbricati di autonoma utilizzazione, come tali non rientranti tra le opere sottoposte a regime di d.i.a.; su tale presupposto l’amministrazione stessa, con l’atto impugnato, ha respinto la domanda di condono e intimato la demolizione.

Invero la stessa ricorrente, nell’istanza e nella nota tecnica esplicativa del 16/9/2005 (documenti n.3 e 4 depositati in giudizio dal Comune in data 30/12/2010), evidenzia che il manufatto de quo è indipendente, ha una superficie di mq.87 ed è situato in prossimità del fabbricato principale.

Pertanto, le dimensioni dell’opera abusiva, la sua posizione di distacco rispetto all’edificio principale nonchè la descrizione emergente nella citata nota esplicativa e nel verbale della Polizia Municipale del 14/1/2000 (si veda la lettera E della diffida impugnata con il primo ricorso) individuano una struttura edilizia che non assume le connotazioni tipiche della pertinenza edilizia o dell’addizione funzionale, ovvero non è riconducibile alle opere minori per la cui realizzazione il legislatore prescrive il rilascio della d.i.a..

Invero il manufatto, per dimensioni, consistenza e dislocazione si configura come autonomo organismo edilizio comportante una significativa alterazione dello stato dei luoghi, e come tale non esimeva la deducente dal munirsi del permesso di costruire.

Al riguardo vale il costante orientamento giurisprudenziale secondo cui anche per gli edifici aventi la funzione servente propria del garage o del deposito occorre distinguere il concetto civilistico di pertinenza da quello urbanistico, in quanto non è tale la costruzione che, pur qualificabile come pertinenziale secondo la normativa civilistica, è suscettibile, per struttura o dimensioni, di svolgere una funzione autonoma rispetto ad altra costruzione (Cons.Stato, IV, 13/1/2010, n.41; TAR Toscana, III, 18/1/2010, n.42; idem, 6/4/2010, n.926; TAR Campania, Napoli, II, 2/12/2009, n.8320).

Ne discende che la ricorrente non può beneficiare dell’applicazione dell’art.2, comma 1, lettera b, della L.R. n.53/2004, secondo cui sono condonabili gli interventi, difformi dallo strumento urbanistico, sottoposti a denuncia d’inizio attività e realizzati in assenza del titolo abilitativo.

Nel caso di specie, in conclusione, la mancanza del necessario permesso di costruire rende l’intervento in oggetto non condonabile, stante il chiaro disposto dell’art.2, comma 1, lettera a, della L.R. n.53/2004 (escludente dall’ambito di applicazione del condono gli immobili realizzati senza il citato permesso), richiamato per l’appunto dal Comune nella nota inviata ai sensi dell’art.10 bis della legge n.241/1990 e nell’impugnato provvedimento.

Con il secondo rilievo la parte istante lamenta che l’Ente non ha spiegato le ragioni che lo hanno indotto a respingere la replica dell’interessata, evidenziante che l’immobile, prossimo all’abitazione principale, non ha accesso indipendente ed è da sempre destinato a ripostiglio a servizio dell’abitazione attigua, con conseguente illegittimità del gravato provvedimento per violazione dell’art.10 bis della legge n.241/1990 e per eccesso di potere sotto il profilo del difetto di motivazione.

La doglianza non può essere accolta.

Le regole partecipative previste negli artt.7 e seguenti della legge n.241/1990 non impongono un’analitica confutazione nel merito di ogni argomento utilizzato dalla parte interessata, essendo sufficiente uno svolgimento motivazionale che renda percepibile nella sostanza la ragione del mancato adeguamento della determinazione amministrativa alle deduzioni fornite (TAR Sardegna, I, 9/12/2010, n.2670; TAR Toscana, III; 3/6/2009, n.948).

Orbene, il Comune di Bagno a Ripoli non ha ritenuto dirimenti le osservazioni presentate, esprimendo, nell’atto impugnato, il convincimento che le stesse non fossero idonee a superare la qualificazione del manufatto de quo come fabbricato suscettibile di autonoma utilizzazione, qualificazione già dichiarata dall’Ente nella comunicazione ex art.10 bis della legge n.241/1990, ed ha fatto motivato riferimento alle norme ritenute ostative al rilascio del titolo sanante.

La conclusione a cui è addivenuto il Comune appare del resto suffragata dalle caratteristiche del manufatto come descritte nella domanda di condono e nell’ordine di demolizione gravato con il primo ricorso, cosicchè la censura risulta insuscettibile di accoglimento anche alla luce dell’art.21 octies della legge n.241/1990.

Con il terzo motivo l’istante deduce l’intrinseca contraddittorietà e illogicità del contestato diniego, il quale da un lato assume a presupposto la costruzione in assenza del necessario permesso di costruire, e dall’altro la sussistenza del vincolo idrogeologico e la difformità dallo strumento urbanistico (quando invece l’art.43 della L.R.n.1/2005 annovera tra gli interventi ammessi sul patrimonio edilizio esistente con destinazione agricola la ristrutturazione edilizia, alla quale è riconducibile il manufatto in questione); la ricorrente conclude la doglianza evidenziando che la comunicazione di avvio del procedimento non menzionava la contrarietà agli strumenti urbanistici.

Il rilievo è infondato.

La predetta comunicazione già evidenziava il contrasto con l’art.2, comma 1, lettera a, della L.R.n.53/2004 e definiva l’intervento oggetto dell’istanza come fabbricato suscettibile di autonoma utilizzazione.

Tale qualificazione, come visto nella trattazione del primo motivo, identifica un’opera richiedente il permesso di costruire, e non la semplice d.i.a., mentre la suddetta norma prevede la condonabilità delle opere sottoposte a permesso di costruire solo se da questo difformi, e non anche in assenza del titolo stesso, stabilendo che il condono straordinario ex L.R. n.53/2004 non si attaglia ai casi di mancanza del necessario permesso di costruire, ovvero escludendo dall’ambito di applicazione del condono gli immobili realizzati senza permesso di costruire (Corte Costituzionale, 10/2/2006, n.49).

Orbene, poiché il contestato provvedimento si sottrae alle censure finora esaminate, la sua legittimità trovando fondamento sulla circostanza che ne sia oggetto opera abusiva richiedente non la d.i.a. ma il permesso di costruire, la doglianza in esame, ove pure fosse accolta, non comporterebbe la caducazione dell’atto impugnato. Pertanto non sussiste l’interesse alla proposizione della stessa.

In conclusione, il primo ricorso va dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse, mentre il secondo e il terzo devono essere respinti.

Le spese di giudizio, compresi gli onorari difensivi, sono complessivamente determinate in euro 4.000 (quattromila) oltre IVA e CPA, da porre a carico della ricorrente.
P.Q.M.

il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sui ricorsi riuniti in epigrafe, dispone quanto segue.

dichiara improcedibile il ricorso n.1073/2000;

respinge i ricorsi n.2214/2001 e n.1949/2008.

Condanna la ricorrente a corrispondere al Comune di Bagno a Ripoli la somma complessiva di euro 4.000 (quattromila) oltre IVA e CPA, a titolo di spese di giudizio comprendenti gli onorari difensivi.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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