Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole
Motivi della decisione
I.1 – I primi tre motivi del ricorso.
Infondato è il primo motivo con il quale i ricorrenti denunziano la nullità della sentenza perché sul dispositivo compare il nome di un giudice (dr. A.), originariamente astenutosi, “interlineato” e sostituito con il nome di un altro giudice (dr. D.). Dalla circostanza deducono: che il primo giudice abbia illegittimamente partecipato alla decisione; che, riguardo alla composizione del collegio, vi sia contrasto tra il dispositivo e la sentenza; che, anche a voler considerare quello in questione un mero errore materiale, non sarebbe stata seguita la prescritta procedura.
Nella specie non è ravvisabile né un’ipotesi di nullità, né la violazione del procedimento per la correzione dell’errore materiale. Così come esposto dagli stessi ricorrenti, nella redazione del dispositivo vi è stata la mera sostituzione di uno dei giudicanti che non ha partecipato alla decisione con quello che vi ha effettivamente partecipato, attraverso l’utilizzazione del modulo già predisposto secondo la precedente formazione del collegio, l’interlineatura di un nome e la sovrascrittura dell’altro nome. Prassi questa assolutamente frequente presso gli uffici giudiziari, rispetto alla quale non è dato ravvisare profili di illegittimità (per difettosa costituzione del collegio o per contrasto tra dispositivo e sentenza) e che non è neppure identificabile come errore materiale, il quale, come è noto, si sostanzia in una mera svista del giudice che non incide sul contenuto concettuale della decisione, ma si concretizza in una divergenza tra l’ideazione e la sua materiale rappresentazione grafica (tra le varie in tal senso, cfr. Cass. 9 settembre 2005, n. 17977).
I.2 – Il secondo motivo censura la sentenza d’appello per avere respinto l’eccezione di nullità della sentenza di primo grado, derivante dal fatto che era stato tardivamente mutato il rito senza l’assegnazione alle parti del termine espressamente previsto dal primo comma dell’art. 426 c.p.c.
La sentenza non è censurabile sul punto, per essersi correttamente adeguata al consolidato principio (che occorre qui ribadire) in ragione del quale la doglianza relativa alla mancata adozione di un diverso rito, dedotta come motivo di impugnazione, è inammissibile per difetto di interesse qualora non si indichi uno specifico pregiudizio processuale che dalla sua mancata adozione sia concretamente derivato, in quanto l’esattezza del rito non deve essere considerata fine a se stessa, ma può essere invocata solo per riparare una precisa ed apprezzabile lesione che, in conseguenza del rito seguito, sia stata subita in relazione alla determinazione della competenza ovvero al contraddittorio oppure al diritto di difesa (tra le varie, cfr. Cass. 17 maggio 2005, n. 10341; 18 settembre 2003, n. 13351).
Premesso siffatto principio, il giudice ha rilevato non solo che, nel procedimento in trattazione, non era ravvisabile (per ragioni che qui non è neppure il caso di ribadire) alcun nocumento alla difesa (concreto nocumento al quale neppure il ricorso oggi in esame fa specifico riferimento), ma che, peraltro, la questione posta dalla parte era superabile dall’ulteriore e decisiva considerazione che il mutamento di rito può essere disposto anche in appello.
I.3 – Con il terzo motivo i ricorrenti censurano la sentenza nel punto in cui ha condannato il conduttore al pagamento della somma corrispondente al valore delle migliorie asportate, nonché al pagamento della somma necessaria al ripristino dei locali. Essi sostengono che il giudice avrebbe errato laddove, nel distinguere tra migliorie ed addizioni, ha tenuto conto della destinazione economica del locale e non della utilizzazione specifica delle addizioni e della materiale enucleabilità di queste rispetto all’immobile. Siffatto errore (ossia, ritenere le addizioni apportate dal conduttore alla stregua di migliorie) avrebbe, dunque, comportato l’altro, consistito nella condanna del conduttore al ripristino dei danni arrecati per il legittimo asporto di quelle opere.
Il motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato. È inammissibile sia nella parte in cui lamenta l’errata interpretazione della clausola contrattuale in questione, senza neppure enunciare i canoni interpretativi legali che sarebbero stati violati (limitandosi, piuttosto, a contrapporre la propria tesi interpretativa a quella adottata in sentenza), sia laddove introduce la questione della materiale enucleabilità dei beni, la quale presuppone uno specifico accertamento di merito che non è consentito al giudice di legittimità. È infondato nella parte in cui attribuisce alla sentenza la violazione di legge ed il vizio della motivazione, dei quali non risulta affetta il provvedimento impugnato.
II.1 – Il quarto motivo di ricorso – Indennità per l’occupazione dell’immobile ed indennità per perdita di avviamento commerciale.
Il quarto motivo di ricorso coinvolge la questione per la quale la causa è stata rimessa al giudizio di queste sezioni unite, ossia quella relativa alla rilevanza (o meno) dell’offerta e della corresponsione da parte del locatore dell’indennità per la perdita dell’avviamento commerciale, ai fini del conseguimento del doppio dell’ultimo canone nel periodo di sospensione dell’esecuzione dei provvedimenti di rilascio, come previsto dall’art. 7 del D.L. n. 551 del 1988 (convertito nella legge 21 febbraio 1989, n. 61) con riferimento all’art. 1591 c.c.
Le disposizioni normative alle quali occorre far riferimento nell’affrontare la questione sono le seguenti:
a) L’art. 7 del D.L. n. 551 del 30 dicembre 1988, conv. in l. n. 61 del 21 febbraio 1989, testualmente recita: “1. L’esecuzione delle sentenze di condanna al rilascio di immobili urbani di proprietà privata e pubblica, adibiti ad una delle attività indicate all’articolo 27 della legge 27 luglio 1978, n. 392, per cessazione del contratto alla scadenza del periodo transitorio di cui alla legge suddetta e successive modificazioni, nonché delle ordinanze di convalida di licenza o di sfratto di cui all’articolo 663 del codice di procedura civile e di quelle di rilascio di cui all’articolo 665 del codice di procedura civile per finita locazione alla scadenza del medesimo periodo e relativa a detti immobili, è sospesa sino al 31 dicembre 1989. 2. Per il periodo di sospensione la somma dovuta ai sensi dell’articolo 1591 del codice civile è pari all’ultimo canone corrisposto, aumentato del 100 per cento”;
b) l’art. 1591 c.c. recita: “Il conduttore in mora a restituire la cosa è tenuto a dare al locatore il corrispettivo convenuto fino alla riconsegna, salvo l’obbligo di risarcire il maggior danno”;
c) l’art. 34 della L. n. 392 del 27 luglio 1978, dopo aver disposto che in caso di cessazione del rapporto di locazione relativo agli immobili di cui all’articolo 27, che non sia dovuta a risoluzione per inadempimento o disdetta o recesso del conduttore o a una delle procedure fallimentari, il conduttore ha diritto, per le attività indicate ai numeri 1) e 2) dell’articolo 27, ad una indennità pari ad un certo numero di mensilità dell’ultimo canone corrisposto, al terzo comma recita che “l’esecuzione del provvedimento di rilascio dell’immobile è condizionata dall’avvenuta corresponsione dell’indennità di cui al primo comma…”.
Nulla dicono le norme sopra richiamate sull’effettiva correlazione tra il pagamento del doppio del canone in caso di sospensione legale ed il pagamento dell’indennità, né alcuna indicazione utile al riguardo si ricava dalla Relazione preliminare al D.L. n. 551 del 1988, la quale, nell’illustrare la ratio dell’ennesimo provvedimento legislativo chiaramente finalizzato a fronteggiare la carenza di disponibilità abitative, da un lato osservava che il secondo comma dell’art. 7 servisse “a fornire una quantificazione legale del dovuto ex art. 1591 cod. civ.”.
Come s’è visto in precedenza, la sentenza impugnata ha ritenuto che, ai fini della quantificazione dell’indennità di occupazione dell’immobile per il periodo rientrante nella sospensione degli sfratti, di cui all’art. 7 del D.L. n. 551 del 1998, conv. in L. n. 61 del 1989, fosse indifferente la circostanza della preventiva offerta o corresponsione al conduttore, da parte del locatore, dell’indennità per la perdita dell’avviamento commerciale di cui all’art. 34 della L. n. 392 del 1978.
Sul punto i ricorrenti segnalano un contrasto di giurisprudenza ed argomentano la loro propensione per la tesi secondo la quale l’art. 7, secondo comma, del D.L. n. 551 del 1988, convertito nella legge n. 61 del 1989, non ha inteso sopprimere la tutela assicurata al conduttore dall’art. 34 della legge n. 392 del 1978, che condiziona il rilascio dell’immobile locato alla corresponsione in favore del conduttore dell’indennità di avviamento, sicché esso deve ritenersi applicabile nelle sole ipotesi in cui l’esecuzione del rilascio abbia trovato ostacolo esclusivo nella sospensione di tutti i provvedimenti di rilascio di cui al predetto primo comma dell’art. 7 e non anche nei casi in cui l’esecuzione del rilascio non avrebbe potuto comunque avere luogo a causa del mancato pagamento dell’indennità di avviamento.
II.2 – La giurisprudenza e la dottrina sul tema.
Occorre subito dire che sul tema non è dato riscontrare un contrasto giurisprudenziale, bensì, come si vedrà meglio in seguito, un consapevole ripensamento della questione, fondato su un diverso e maggiormente approfondito esame del dibattito.
In un primo approccio all’argomento la terza sezione civile di questa Corte ha ritenuto che il conduttore fosse tenuto, per tutto il periodo di operatività della predetta sospensione, a corrispondere al locatore l’indennità di occupazione, nella misura prevista dal secondo comma del citato art. 7, a nulla rilevando che non gli fosse ancora stata corrisposta, né offerta, l’indennità per la perdita dell’avviamento commerciale, spettantegli a norma dell’art. 34 della legge n. 392 del 1978. Tale indirizzo è cristallizzato in due sole pronunce.
Con la prima, sentenza, n. 3813 del 30 marzo 1995, la Corte – premettendo che secondo l’art. 34, comma 3, L. n. 392 del 1978, l’esecuzione del provvedimento di rilascio è condizionata all’avvenuta corresponsione dell’indennità di avviamento e che il locatore il quale intenda porre in esecuzione il provvedimento di rilascio ha l’onere di pagare tale indennità se vuole agire in executivis, e ciò sul presupposto che, a pagamento avvenuto, non sussistono ostacoli legali di altra natura all’esecuzione del rilascio – ha osservato che se, invece, il provvedimento di rilascio non è eseguibile per cause diverse ed indipendenti dalla mancata corresponsione dell’indennità, non può ritenersi che gravi sul locatore l’onere in parola, altrimenti verrebbe meno il collegamento tra indennità ed esecuzione esplicitamente posto dalla citata disposizione. Pertanto, nella specie, avendo l’art. 7, 1° comma, D.L. 551/88 sospeso per l’intero anno 1989 l’esecuzione dei provvedimenti di rilascio, durante tale periodo non gravava sul locatore munito di sentenza di rilascio esecutivo l’onere di corrispondere l’indennità, come mezzo al fine dell’esecuzione della sentenza stessa, la quale non avrebbe comunque potuto avere attuazione durante il 1989. Ne consegue che, vigente la sospensione dell’esecuzione ex art. 7, 1° comma citato, il conduttore non può opporre alla richiesta del locatore di ottenere il pagamento dei canoni ex art. 7, 2° comma, l’eccezione del mancato pagamento dell’indennità.
Questo concetto risulta ribadito da Cass. 10 dicembre 1998, n. 12419.
Ulteriori argomenti a sostegno di detta impostazione sono forniti proprio dalla sentenza della Corte di Appello di Cagliari, attualmente oggetto di impugnazione. Secondo il giudice di merito le due categorie, pagamento dell’indennità di avviamento e dell’indennità di cui all’art. 7, ben possono ritenersi scindibili atteso che la prima non comporta il disconoscimento, la soppressione o la decurtazione della seconda. Sotto il profilo teleologico, non direttamente affrontato della Cassazione, inoltre, la sentenza osserva che, mentre l’indennità di cui all’art. 7 mira a compensare il locatore dell’impossibilità del recupero immediato dell’immobile ed a riequilibrare in questo modo la tutela offerta al conduttore mediante la sospensione dell’esecuzione, l’indennità di avviamento tutela unicamente il conduttore, impedendo il rilascio del locale prima dell’incameramento dell’indennità. Tali tutele non si troverebbero in reciproco conflitto, operando in due momenti storici diversi: la prima, durante il periodo in cui, indipendentemente dalla volontà del locatore, l’esecuzione del provvedimento di rilascio sarebbe in ogni caso impossibile, stante l’operatività della sospensione legale; la seconda quando, al contrario, l’esecuzione è rimessa proprio ed unicamente alla volontà del locatore, il quale, per porla in atto, dovrà preventivamente assolvere l’onere di corrispondere la dovuta indennità.
In terzo ed ultimo luogo la sentenza di merito osserva che l’imposizione al locatore dell’onere di versare anticipatamente l’indennità di avviamento rischierebbe di frustrare quel riequilibrio patrimoniale che, attraverso la previsione di un canone maggiorato, il legislatore ha voluto espressamente accordargli.
Un secondo indirizzo della giurisprudenza di legittimità, invece, ponendosi con il primo in consapevole contrasto, ritiene che, per il periodo di sospensione, nei riguardi dei conduttori titolari di locazioni di immobili adibiti ad attività che comportano contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori l’esecuzione del provvedimento di rilascio è condizionata dalla previa corresponsione dell’indennità per la perdita dell’avviamento ai sensi degli artt. 34 e 69 della legge n. 392 del 1978, sicché, in carenza di corresponsione di quest’ultima, detti conduttori non dovrebbero il pagamento della somma di cui all’art. 1591 c.c. e della relativa maggiorazione prevista dall’art. 7 del D.L. 30 dicembre 1988, n. 551, convertito, con modificazioni, nella legge 21 febbraio 1989, n. 61.
Siffatto indirizzo, inaugurato da Cass. 22 gennaio 1999, n. 587, è stato poi costantemente ribadito dal giudice di legittimità (cfr. Cass. 26 maggio 1999, n. 5098; 1° settembre 2000, n. 11491), restando sopito il dibattito in quest’ultimo decennio.
Il contrasto di orientamenti sopra menzionato ha trovato terreno fertile anche in dottrina, ove negli anni addietro si è registrato un acceso dibattito a favore dell’uno o dell’altro orientamento, oramai anch’esso del tutto sopito.
II.3 – La soluzione della questione.
Le sezioni unite intendono aderire al secondo indirizzo sopra illustrato, che (lo si è detto) è frutto di un più approfondito ripensamento interpretativo, apportando, tuttavia, una necessaria precisazione rispetto a quanto lì affermato.
L’art. 7, comma 2, del d.l. n. 551/1988 qualifica espressamente l’importo dovuto dal conduttore (pari al doppio dell’ultimo canone corrisposto) durante il periodo di sospensione dell’esecuzione come “somma dovuta ai sensi dell’art. 1591 c.c.”. Come s’è visto, l’art. 1591 c.c., la cui rubrica recita “Danni per ritardata restituzione”, dispone che “Il conduttore in mora a restituire la cosa è tenuto a dare al locatore il corrispettivo convenuto fino alla riconsegna, salvo l’obbligo di risarcire il maggior danno”.
Consegue che l’art. 7 cit., richiamando espressamente l’art. 1591 c.c., postula inequivocabilmente che la posizione del conduttore deve essere caratterizzata da “mora nella restituzione”.
Questa S.C. ha tuttavia già statuito, in varie pronunce, che i conduttori che beneficiano del condizionamento dell’esecuzione del rilascio ai sensi degli artt. 34 e 69 delle legge n. 392/1978 non versano in tale condizione. È stato invero affermato che, in tema di locazioni ad uso diverso da quello di abitazione per le quali sia dovuta, alla cessazione del rapporto, l’indennità per la perdita dell’avviamento, il condizionamento dell’esecuzione del provvedimento di rilascio all’avvenuto pagamento dell’indennità, disposto dagli artt. 34 e 69 della legge n. 392/1978, non trova fondamento nell’attribuzione al conduttore di un “diritto di ritenzione” (cfr. Cass. n. 5579/88), ma nell’instaurazione ex lege di una relazione di interdipendenza tra l’obbligazione del conduttore di restituire la cosa locata e l’obbligazione del locatore di corrispondere l’indennità, prevedendosene la reciproca inesigibilità in difetto di previo o contestuale adempimento della speculare obbligazione della controparte, mediante eccezione riconducibile nell’ambito della previsione dell’art. 1460 c.c., con conseguente esclusione della mora del conduttore, ai sensi dell’art. 1591 c.c., e di quella del locatore, ai sensi dell’art. 1224 c.c., poiché entrambi i rifiuti ad adempiere, se non in presenza del previo o contemporaneo adempimento della controparte, trovano titolo giustificativo nella legge (sent. n. 10820/95; in senso conforme: sent. n. 2910/96; n. 7288/96; n. 9747/96; in senso contrario: sent. n. 6270/97).
Da questa premessa Cass. n. 587 del 1999 (che, come s’è visto ha introdotto il nuovo orientamento contrapposto al precedente) fa coerentemente derivare che l’insussistenza della mora nella restituzione in capo al conduttore (che, essendo titolare del diritto all’indennità per la perdita dell’avviamento, permanga nella detenzione della cosa locata successivamente alla scadenza in difetto di corresponsione della suddetta indennità) determina quindi l’inapplicabilità dell’art. 7, comma 2, cit., per mancanza del presupposto normativamente previsto, mediante espresso richiamo all’art. 1591 c.c., concernente la “mora nella restituzione della cosa locata”.
Tuttavia, occorre porre in evidenza (è questa la precisazione preannunziata rispetto a quanto hanno affermato Cass. n. 587 del 1999 ed i conformi arresti che le hanno fatto seguito) che la corresponsione dell’indennità per la perdita dell’avviamento presuppone la precedente offerta della stessa. Offerta che, già di per sé, pone il conduttore in situazione di mora e gli conferisce la scelta se accettare l’indennità stessa e restituire la cosa locata, rinunziando dunque al beneficio della sospensione dell’esecuzione del provvedimento di rilascio, oppure rimanere nella detenzione dell’immobile e corrispondere al locatore il raddoppio del canone. Nel primo caso il locatore dovrà far fronte alla propria obbligazione e concretamente corrispondere l’indennità per ottenere la restituzione dell’immobile; nel secondo caso l’offerta rimarrà anch’essa sospesa fino alla cessazione della sospensione legale dell’esecuzione del provvedimento di rilascio e, mentre il conduttore godrà di un ulteriore periodo di detenzione, il locatore beneficerà del raddoppio del canone.
Questa precisazione offre un giusto equilibrio all’interesse economico delle parti contrapposte e, soprattutto, risolve il dubbio (sollevato dalla stessa sentenza impugnata e dalla dottrina che s’è opposta a questo indirizzo) che l’imposizione al locatore dell’onere di versare anticipatamente l’indennità di avviamento rischi di frustrare quel riequilibrio patrimoniale che, attraverso la previsione di un canone maggiorato, il legislatore ha voluto espressamente accordargli.
Per il resto, è sufficiente ribadire l’inutilità di opporre che, così interpretando il ridetto art. 7 (nel senso cioè che si applica soltanto in presenza di una situazione di mora, sicché non opera nei confronti dei conduttori che non si trovano in tale condizione in virtù degli artt. 34 e 69 della legge n. 392/1978), si determinerebbe una ingiustificata disparità di trattamento, in violazione dell’art. 3 Cost., tra conduttori aventi diritto all’indennità e conduttori che siffatta tutela non possono invocare, per i quali soltanto la sospensione dell’esecuzione sarebbe subordinata all’offerta ed al pagamento di una somma pari al doppio del canone. È infatti del tutto evidente che si tratta di situazioni oggettivamente differenziate, in ragione della diversa meritevolezza di tutela delle attività esplicate nell’immobile, che costituisce la ratio della distinta disciplina di maggior favore riservata dal legislatore alle locazioni di immobili adibiti ad attività aventi contatti diretti con il pubblico.
Neppure può essere condiviso l’assunto secondo il quale la sospensione ex lege dell’esecuzione dei provvedimenti di rilascio si sovrapporrebbe, elidendone l’operatività, alla disciplina dettata dalla legge n. 392/1078 in tema di condizionamento dell’esecuzione al previo offerta e pagamento dell’indennità.
Questa S.C. ha avuto modo di precisare che la relazione tra condizionamento dell’esecuzione ai sensi degli artt. 34 e 69 della legge n. 392/1978 e sospensione ex lege dell’esecuzione (o in forza di dilazioni concesse dal giudice) è inversa a quella suindicata. Le sospensioni ex lege (o le dilazioni) hanno invero valore strettamente processuale, in quanto attengono all’esecuzione, senza riflessi sul piano sostanziale, nel senso che non incidono sulla avvenuta cessazione del rapporto e sulle conseguenze che da essa scaturiscono in ordine alla mora a restituire ai sensi dell’art. 1591 c.c. (fatta salva diversa disposizione di legge: sent. n. 86621/91; n. 4429/89). Il condizionamento ex artt. 34 e 69 cit. opera invece anche sul piano sostanziale, nel senso che esclude la mora nella restituzione. Condizionamento e sospensione ex lege possono tuttavia coesistere, in relazione ad ipotesi di cessazione di locazioni presidiate dalla tutela dell’avviamento, ed in tal caso sarà il condizionamento a regolare, con forza assorbente, in ragione della sua più ampia ed incisiva efficacia, non solo processuale, ma anche sostanziale, la situazione di fatto susseguente alla cessazione del rapporto. Sarà in tal caso rimessa alla volontà del conduttore e del locatore, che offrano, rispettivamente, il primo la riconsegna dell’immobile (certamente non preclusa dalla sospensione ex lege dell’esecuzione dei provvedimenti di rilascio, avendo il conduttore piena facoltà di non avvalersene, anche se è evidente che trattasi di ipotesi del tutto marginale), ed il secondo il pagamento dell’indennità, la facoltà di determinare la cessazione del condizionamento, con conseguente applicazione della disciplina della sospensione ex lege del provvedimento di rilascio (e del raddoppio del canone, secondo quanto prevede l’art. 7 cit. nell’ipotesi che ha dato origine alla presente controversia) nel caso di iniziativa del locatore non accolta dal conduttore (per l’affermazione del principio, v. sent. n. 10820/95).
Infine, non vale opporre che il locatore, con riferimento alle locazioni soggette al regime transitorio, per le quali l’indennità per la perdita dell’avviamento si determina, ai sensi dell’art. 69 della legge n. 392/1978, sulla base del canone corrente di mercato, non sarebbe in condizioni di quantificare esattamente la somma da offrire a titolo di indennità (a differenza di quanto avviene per le locazioni soggette al regime ordinario, per le quali l’indennità è legalmente quantificata dall’art. 34 legge cit. con riferimento alla misura dell’ultimo canone corrisposto), al fine di costituire in mora il conduttore e pretendere, nel caso di rifiuto, il raddoppio del canone ai sensi dell’art. 7, comma 2, cit.
Al riguardo (a parte la considerazione che una quantificazione del canone corrente di mercato, con sufficiente approssimazione, è consentita da agevoli indagini presso gli operatori professionali del settore delle locazioni commerciali) soccorre invero la nuova disciplina introdotta dall’art. 9 del medesimo d.l. n. 551/1988 in tema di condizionamento, in virtù della quale il locatore, proponendo domanda giudiziale di determinazione dell’indennità, ed indicando, come la norma impone, l’importo dell’indennità ritenuta dovuta, ha facoltà di procedere all’esecuzione corrispondendo la somma offerta, ovvero quella che il conduttore ha l’onere di contrapporre, salvo conguaglio.
In conclusione, deve essere affermato il principio secondo cui: “Con riferimento all’art. 7 del d.l. 30 dicembre 1988, n. 551, convertito, con modificazioni, nella legge 21 febbraio 1989, n. 61 (che dispone, nel primo comma, la sospensione dell’esecuzione dei provvedimenti di rilascio per finita locazione alla scadenza del periodo transitorio in relazione alle locazioni ad uso diverso dall’abitazione di cui all’art. 21 della legge n. 392/1978, sino al 31 dicembre 1989, prevedendo, inoltre, nel secondo comma, che per il periodo di sospensione la somma dovuta ai sensi dell’art. 1591 c.c. è pari all’ultimo canone corrisposto, aumentato del 100%), la percezione, da parte del locatore, dell’aumento del canone è condizionata alla previa offerta, da parte sua ed in favore del conduttore, dell’indennità per la perdita dell’avviamento commerciale. Sicché, una volta avvenuta tale offerta, il conduttore, versando in mora nella restituzione della cosa locata, può scegliere se percepire l’indennità e restituire la cosa (così rinunziando agli effetti della sospensione legale del provvedimento di rilascio), oppure rimanere nella detenzione della cosa stessa fino alla cessazione della sospensione legale, corrispondendo al locatore il raddoppio del canone”.
III. – La fattispecie trattata.
Nella causa in trattazione i giudici del merito hanno, tra l’altro, riconosciuto ai locatori il diritto a percepire dal conduttore il raddoppio del canone durante il periodo di sospensione legale dell’esecuzione del provvedimento di rilascio, benché i primi non avessero offerto al secondo il pagamento dell’indennità per la perdita dell’avviamento commerciale.
In ragione di quanto premesso, la sentenza deve essere cassata sul punto, restando, così, accolto il quarto motivo di ricorso e respinti i primi tre.
Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., e la sentenza di primo grado deve essere riformata nel punto in cui ha condannato il conduttore a corrispondere al locatore il doppio del canone di locazione per la durata della sospensione dell’esecuzione del provvedimento di rilascio.
La complessità della questione impone la totale compensazione tra le parti delle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta i primi tre motivi del ricorso, accoglie il quarto, cassa in relazione a quest’ultimo la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, in parziale riforma della sentenza di primo grado, rigetta la domanda dei locatori di percezione del raddoppio del canone per il periodo di sospensione legale del provvedimento di rilascio. Compensa interamente tra le parti le spese del giudizio di cassazione.
Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.