Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Nocita Pietro, Rimondi Antonella, Stolfi Nicola.
Svolgimento del processo
1. Con sentenza del 15 maggio 2009 (depositata il 30 luglio 2010) la Corte d’Appello di Trento, in parziale riforma della decisione del Tribunale, affermava la sussistenza di un’associazione per delinquere tra A.E., A.L., R.E., P. J. e altri soggetti giudicati separatamente, diretta a commettere una serie indefinita di reati di turbativa d’asta attraverso la pianificazione delle gare di appalto nel territorio trentino.
Ridefinita poi la nozione del reato di cui all’art. 353 c.p., dopo aver proceduto ad alcune assoluzioni, confermava le altre condanne già pronunziate in primo grado e dichiarava la responsabilità di alcuni imputati per episodi di turbativa d’asta dai quali in primo grado erano stati assolti. Provvedeva poi alla condanna al pagamento delle spese processuali, alla confisca di somma oggetto di sequestro preventivo e alla condanna al risarcimento del danno cagionato alle parti civili.
2. Contro questa pronunzia ricorrono con unico atto A. E., A.L. e R.E..
In primo luogo chiedono che sia sollevata questione pregiudiziale comunitaria della L.P. Trento n. 26 del 1994, art. 39, comma 1, lett. a) e art. 40 della nonchè dell’art. 24 del D.P. Giunta Prov. 30 settembre 1994 perchè tali norme si porrebbero in contrasto con l’art. 30 n. 1, della direttiva comunitaria 93/37. Sostengono in altri termini che il sistema di aggiudicazione delle gare (metodo del prezzo più basso) adottato nei casi ritenuti oggetto di turbativa è stato già dichiarato illegittimo dalla Corte di Giustizia Europea con riferimento alla legge dello Stato n. 109 del 1994 di contenuto identico, senza contare le forti perplessità che desta la previsione dell’esclusione automatica delle offerte anomale, pure seguito nelle gare di specie. Ne deriverebbe che l’aggiudicazione nei casi in esame è stata effettuata in base a procedure che impediscono lo sviluppo della concorrenza effettiva, con impossibilità dunque di affermare che questa libera concorrenza, già a monte compromessa, sia stata turbata dalle condotte dei ricorrenti.
In subordine chiedono che sia dichiarata non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 353 c.p. nella parte in cui sanziona condotte riferibili a gare aggiudicate in base alle norme provinciali indicate.
3. Deducono quindi la nullità della sentenza per difetto di correlazione tra l’imputazione contestata di associazione per delinquere e i fatti oggetto della condanna. Osservano che la contestazione di cui al capo 1 ipotizzava un cartello di imprese costituito dalle società f.lli Azzolini, Altogarda srl, Beton Asfalti srl, Ices srl., Ediltione srl, Cles scarl, Sandrini spa e Castelli ing. Leopoldo srl. E che a fronte di simile contestazione sono stati assolti tutti gli altri imputati tranne A.L. e A.E., P.J. e R.E. quali esponenti delle società del gruppo Azzolini, f.lli. Azzolini e Altogarda. Ciò per la ritenuta esistenza di un meccanismo collusivo costituito dalla stessa organizzazione interna di queste ditte, governate dalla fungibilità dei dipendenti e degli operativi. Tanto però costituirebbe una vera e propria immutazione dell’accusa, essendosi abbandonato ogni riferimento a un cartello di imprese e ipotizzandosi invece la sussistenza di un’associazione criminosa di tipo familiare. Tanto integrerebbe il vizio denunziato posto che, secondo la giurisprudenza di legittimità, costituisce "fatto diverso" da quello contestato la diversa estensione dell’articolazione soggettiva dell’organizzazione e delle sue modalità di azione, anche nel caso che dal più si passi al meno.
4. Lamentano poi la violazione dell’art. 416 c.p. laddove è stato ritenuto configurabile il reato associativo unicamente riguardo agli imputati riconducibili alle imprese Azzolini. Tanto sarebbe avvenuto in base a una semplice congettura e sarebbe frutto di macroscopico errore, in quanto caratteri e dinamiche aziendali assolutamente leciti e fisiologici, tipici di imprese a impronta familiare, sarebbero stati assimilati a un sodalizio criminoso. Questo errore sarebbe rilevabile dal confronto tra la sentenza di primo grado con quella impugnata, sentenza del Tribunale in cui veniva riconosciuto il senso economico e di flessibilità e di sinergia della correlazione tra le singole imprese e del correlativo avvalersi di un comune ufficio gare. Tanto è che contraddittoriamente sarebbero state ritenute partecipi dell’associazione solo due delle società del gruppo (Fratelli Azzolini srl e Costruzioni Altogarda srl) mentre sarebbe stata esclusa senza ragione apparente la Nord Restauri srl, il cui rappresentante A.W. è stato peraltro condannato per fatti di turbativa contestati al capo 13.
Si rileva come il comune ufficio gare era manifestazione dell’organizzazione consortile centralizzata delle tre ditte menzionate, organizzazione realizzatasi nel luglio del 2001 per raggiungere, attraverso l’aggregazione aziendale, una migliore qualità e una maggiore economicità nell’offerta dei prodotti con rapporto tra le tre imprese volto alla differenziazione delle tipologie dei lavori da eseguire (edilizia pubblica e privata, f.lli Azzolini, movimentazione terra e realizzazioni stradali, Altogarda, restauri conservativi con tecniche innovative, Nord Restauri).
D’altronde si assisterebbe a una caratteristica abnorme del preteso sodalizio criminoso rinvenibile nell’assenza di promotori o capi dell’organizzazione, un’associazione acefala che colliderebbe con le massime di esperienza esistenti in argomento, il funzionamento di tale sodalizio sarebbe stato di cattiva qualità, in quanto la stessa sentenza riconosce che solo saltuariamente l’associazione avrebbe giovato in termini economici, nonostante l’elevato numero di gare in cui si sarebbero realizzati i delitti fine. Nè infine sarebbe stata dimostrata la sussistenza di un programma criminoso indefinito. Vi sarebbe ancora un vizio di motivazione al riguardo, in quanto non si sarebbe offerta alcuna prova nè del pactum sceleris nè all’affectio societatis dei partecipanti, tale prova non potendosi confondere con la dimostrazione della sussistenza di un consorzio stabile tra imprese e non potendo nemmeno essere ricavata dal saltuario uso illecito delle strutture societarie, dovendosi altrimenti riconoscere la sussistenza di un’associazione per delinquere in ogni reato commesso in concorso da appartenenti della stessa società imprenditoriale.
5. In relazione alle turbative d’asta contestate al capo 13 si deduce violazione di legge in quanto, essendosi escluso un rapporto di controllo tra le imprese Azzolini ai sensi dell’art. 2359 c.c, si è tuttavia ritenuto che esse non potessero partecipare all’incanto in quanto gestivano in concreto i medesimi interessi unitari. In tal modo sarebbe stata applicata alla specie una norma extrapenale integratrice introdotta solo nel 2006 dal D.Lgs. n. 163, art. 34 che ha esteso il divieto di partecipazione alla medesima gara ai casi in cui tra imprese, a prescindere da qualsiasi collegamento formale, esista "un unico centro decisionale". Di qui un’applicazione retroattiva della disciplina sulla caratterizzazione della natura collusiva di accordi economici tra imprese con violazione dunque del principio di cui all’art. 25 Cost. non essendo stati posti in essere nè accordi clandestini nè essendo stati adoperati altri mezzi fraudolenti, quali menzogna, inganno o altri artifici. Quanto poi alle turbative di cui ai capi 2, 3 e 4 si è ritenuto integrato il reato attraverso la prova della semplice intesa tra i concorrenti senza considerare se questa intesa fosse o meno idonea a conseguire un risultavo favorevole. Si sarebbe insomma trascurato di valutare la necessaria offensività della condotta nel senso di un’influenza concreta sul risultato della gara e ciò considerando ancora che, essendo quello di cui all’art. 353 c.p. un reato di pericolo, non sarebbe configurabile il tentativo, pena un’incostituzionale introduzione di reati senza offesa. Nella specie si rammenta che per queste turbative vi è stata l’esclusione dalla gara delle imprese asseritamente colluse e che proprio in relazione a ciò il Tribunale aveva ritenuto che ricorresse il caso del reato impossibile.
In ordine alla turbative di cui ai capi 6, 8, 9, 11 e 12 non si sarebbe in alcun modo accertata l’influenza della collusione sull’andamento della gara. Infatti non basterebbe affermare che vi è stata un’alterazione della concorrenza, senza poi stabilire se vi è stato un restringimento della stessa ai sensi dell’art. 81.
Trattato UE, della possibilità di accordi ai sensi dell’art. 2596 c.c. e soprattutto della lettura dello stesso art. 353 c.p. che considera come collusivo solo quell’accordo tra partecipanti che altera in concreto la gara. In questo senso vi sarebbe un difetto di motivazione, potendo solo una perizia stabilire l’incidenza delle singole offerte sul risultato finale, tanto più che il Tribunale aveva assolto gli imputati per i fatti contestati ai capi 8 e 9 per mancata prova della verificazione dell’evento costituito dal turbamento.
6. Con motivo ulteriore si fa poi rilevare che i reati di cui ai capi 2, 3, 4, 6, 8, 9, 13 sino ai fatti sub 30 (escluso il n. 10) sono estinti per prescrizione, come viene ribadito nella memoria successivamente presentata anche per i capi 11, 12 e 13 dal n. 31 al n.45 compreso.
7. Rileva ancora l’illegittimità della confisca operata, essendosi ritenuti profitto del reato anche somme dirette a ripianare i costi di impresa, in quanto non si è tenuto conto delle spese generali, e essendo stato il provvedimento adottato su somme appartenenti a terzi senza alcun accertamento della responsabilità amministrativa. In ogni caso andrebbero dedotti dal quantum i profitti collegati a reati estinti per prescrizione per i quali non v’è stata condanna.
8. Lamenta infine il vizio di motivazione in ordine al diniego di attenuanti generiche.
9. Ricorre P.J., ritenuto responsabile per i reati di cui ai capi 1, 9, 11, 12 e 13.
Come primo motivo deduce il difetto di correlazione per la condanna ex art. 416 c.p., nel senso già detto per i ricorsi precedenti.
Rileva poi come non sussista alcun elemento che dimostri la sua partecipazione al preteso sodalizio criminale, essendo un dipendente addetto all’ufficio gare regolarmente costituito all’interno del gruppo Azzolini.
Si duole dell’applicazione retroattiva di norma extrapenale integratrice per la qualificazione dei fatti di turbativa d’asta (capo 13) e della mancanza di un accertamento concreto di tale turbativa per i fatti contestati ai capi 9,11 e 12.
Deduce quindi l’intervenuta prescrizione per alcuni reati. Lamenta infine violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla confisca e alla determinazione della pena.
10. Ricorre A.W. ritenuto responsabile dei reati di cui al capo 13 nn. 4, 32, 36, 38, 41 51-55. Deduce in primo luogo il vizio di motivazione circa l’asserita gestione unitaria tra la sua impresa Nord Restauri e le altre del gruppo Azzolini tra le quali invece sussisteva un’organizzazione in forma consortile. In ogni caso la qualificazione dei fatti come turbativa sarebbe passata attraverso l’applicazione retroattiva di norma extrapenale, siccome già detto a proposito degli altri ricorsi, e senza un accertamento concreto sull’effettiva realizzazione della turbativa in parola.
Rileva ancora la prescrizione di alcuni reati. Deduce l’illegittimità della confisca e si duole della determinazione della pena.
11. Ricorre Z.D., assolto in primo grado dal reato di cui al capo 3 e ritenuto responsabile in appello nella forma di tentativo.
Deduce l’inammissibilità dell’appello del p.m. perchè privo di ogni richiesta nei suoi confronti. Nel merito, ricordato come fosse stato accertato che la sua offerta non venne presa in considerazione in quanto non conforme alla lettera di invito, rileva la sussistenza nella specie del reato impossibile e comunque si duole che la Corte d’Appello non abbia ammesso gli accertamenti integrativi richiesti in primo grado volti a dimostrare l’assenza di ogni collusione con altri offerenti.
12. Ricorre C.C. anch’egli assolto in primo grado dal capo 3 e ritenuto responsabile in appello nella forma di tentativo.
Ricordato come anche la sua offerta fosse stata esclusa, il ricorrente deduce il carattere impossibile del reato. Si duole comunque di vizio di motivazione nell’accertamento. Rileva infine la violazione di legge nella perquisizione a suo tempo subita per mancata informazione sul diritto di difendersi.
13. Ricorre Z.S. ritenuto responsabile dei reati di cui ai capi 4 e 6.
Con due motivi deduce di non aver mai sottoscritto le offerte della ditta Cles e al riguardo ripropone un’analitica lettura degli atti processuali, lamentando il vizio di motivazione da parte della Corte d’Appello. Si duole poi del diniego del beneficio della non menzione e assume che per errore è rimasta la sua condanna per i danni provocati dai reati di cui al capo 13 che non gli è mai stato contestato.
14. Ricorre P.G. ritenuto responsabile del reato di cui al capo 11. Lamenta vizio di motivazione nell’accertamento del reato e mancata risposta ai motivi d’appello dedotti al riguardo. In ogni modo nulla s’era osservato circa la riferibilità soggettiva dell’offerta al ricorrente nel senso della sua consapevolezza della natura collusiva di questa.
15. Ricorre V.N. ritenuto responsabile dei reati di cui ai capi 9 e 12.
Deduce il vizio di motivazione in ordine all’accertamento della sua partecipazione ai reati, quale semplice dipendente della ditta Beton Asfalti, difettando ogni prova circa la consapevole compilazione da parte sua delle offerte frutto di collusione.
A secondo motivo deduce la nullità della sentenza per omesso avviso all’imputato dell’avviso dell’udienza preliminare.
16. Ricorre I.P. ritenuto responsabile dei reati di cui ai capi 11 e 12.
Deduce che non v’è prova per la collusione di cui al capo 11 e in ogni caso della sua partecipazione soggettiva al reato, essendo stato provato che fu V.N. colui che predisponeva le offerte.
In ogni modo non sussisteva alcuna collusione dato che fra le offerte v’era una notevole differenziazione. Nemmeno provata sarebbe la turbativa di cui al capo 12 data la notevole differenza tra le offerte dei pretesi collusi. La sentenza d’appello non avrebbe dato risposta ai motivi di impugnazione dedotti in quella sede anche con riferimento ai rapporti personali tra il ricorrente e gli A..
Nulla sarebbe stato poi detto sulla conversione della pena in pena pecuniaria.
17. Ricorre I.A. ritenuto responsabile del reato di cui al capo 9.
Deduce l’intervenuta prescrizione del reato prima del deposito della sentenza di appello, l’omessa pronuncia circa la deduzione di inammissibilità dell’appello del p.m. e il vizio di motivazione in ordina alla ritenuta idoneità della condotta a interferire sulla gara. Infine vi sarebbe vizio di motivazione in ordine alla partecipazione del ricorrente al reato attraverso un ordine impartito a V.N..
18. Ricorre O.G. ritenuto responsabile del reato di cui al capo 11.
Il ricorrente assume di non aver partecipato alla condotta criminosa non potendosi addebitare a lui l’offerta presentata dalla Cadore Asfalti, da altri preparata e redatta. Sul punto vi sarebbe mancanza di motivazione, tanto più che non sarebbe nemmeno stato chiarito in che modo l’offerta sarebbe riconducibile a un accordo collusivo con il gruppo Azzolini, dato che l’offerta Cadore è precedente alla data del file del computer della ditta Azzolini che tale offerta riproduce.
19. Ricorre M.A. anch’egli ritenuto responsabile del reato di cui al capo 11.
Deduce la nullità della sentenza per il mancato rinvio dell’udienza di discussione a causa dell’impedimento del difensore avvocato Sadocco. Deduce ancora la nullità della notifica dell’estratto contumaciale all’imputato, con impossibilità da parte di questi di proporre impugnazione personale. Nel merito si duole dell’illogicità della motivazione della sentenza nella parte in cui afferma la responsabilità del ricorrente, il quale invece non aveva alcun potere decisionale nell’ambito della ditta presentatrice dell’offerta, tanto che la ritenuta funzione apicale del M. sarebbe frutto di travisamento del fatto.
Motivi della decisione
1. Passando all’esame dei ricorsi nell’ordine esposto in narrativa, viene in considerazione la richiesta di A.E. e A. L. nonchè di R.E. di sollevare questione pregiudiziale comunitaria (o in subordine di legittimità costituzionale) delle norme della Provincia di Trento riguardanti il sistema di aggiudicazione delle gare al momento dei fatti.
Tale richiesta va respinta per l’irrilevanza della questione ai fini del decidere. E’ infatti palese che qualunque cosa si ritenga circa la compatibilità con le norme comunitarie del sistema di aggiudicazione delle gare vigente nella Provincia, tale sistema non influisce sul fatto storico che le gare sì sono tenute e che in relazione ad esse, nell’ipotesi accusatoria, i ricorrenti hanno impiegato mezzi fraudolenti per alterare il risultato dell’incanto.
E tanto è sufficiente a postulare l’applicabilità dell’art. 353 c.p. alla specie, sia che l’aggiudicazione della gara abbia rispettato i principi comunitari e costituzionali sia che non l’abbia fatto, in quanto, si ripete, l’annullamento di tale aggiudicazione non renderebbe certo inesistente la gara e le condotte serbate dagli imputati.
2. Fondata per contro è la questione in ordine al reato associativo, in primo grado escluso e invece ritenuto sussistente dalla sentenza impugnata.
Al riguardo ritiene la Corte che ai sensi dell’art.l29 c.p.p. non sia necessario prendere posizione sul problema della correlazione tra i fatti contestati e quelli considerati nella decisione ai fini dell’affermazione di responsabilità per il reato di cui all’art. 416 c.p..
E ciò perchè non è stato addotto alcun elemento probatorio dimostrativo della sussistenza della associazione che nella specie è stata ritenuta (quella cioè costituita "dalla organizzazione interna delle ditte degli Azzolini, governate dalla fungibilità, quanto ai dipendenti e agli operativi, pronti a lavorare per l’una o per l’altra azienda, a seconda di chi avesse assunto commesse da eseguire").
In realtà quali elementi costitutivi di un tale sodalizio sono stati indicati quelli che invece consistono in altrettanti elementi di un’associazione tra imprese e sotto l’aspetto dell’organizzazione aziendale e sotto l’aspetto dei rapporti intercorrenti tra gli addetti (centralizzazione di un ufficio gare, fungibilità della prestazione di lavoro, obbligo di fedeltà dei dipendenti). Ma per promuovere (o meglio per degradare) una simile realtà economico- giuridica ad associazione a delinquere si sarebbe dovuto dimostrare che sin dall’inizio la creazione del complesso individuato era strumentale all’esecuzione di reati e che tra i vari componenti le imprese esisteva (oltre all’accordo fonte del rapporto di lavoro) uno specifico pactum sceleris fondato su un comune interesse sovrapposto a quello aziendale, interesse che univa dirigenti e gregari nel perseguimento di un metodo criminale.
Sennonchè dalle stesse decisioni di merito si ricava che il gruppo delle imprese degli A. (nel quale va compresa quella di W. verso cui peraltro non v’è mai stata contestazione di associazione per delinquere) si era dimensionato in consorzio, sia pure in via di fatto, al fine di economizzare sui costi e di "ottimizzare" le prestazioni, laddove la sussistenza di un comune programma delittuoso è stata semplicemente tratta dal numero delle turbative d’asta accertate, nell’assenza di qualsivoglia elemento sintomatico di una cointeressenza tra dirigenti e dipendenti.
Ne deriva in questa parte l’annullamento della sentenza impugnata, senza rinvio perchè il fatto non sussiste, in quanto il materiale probatorio in atti è stato completamente esplorato dai giudici di merito e non appare suscettibile di incrementi.
3. Venendo quindi ai reati di turbativa d’asta va subito osservato che correttamente la Corte d’Appello ha escluso che per l’accertamento del reato di cui all’art. 353 c.p. sia necessaria la dimostrazione di un’influenza concreta sull’esito della gara degli atti posti in essere e che altrettanto correttamente ha affermato che a realizzare il reato basta la dimostrazione dell’idoneità della condotta fraudolenta a influire su tale esito. Questa interpretazione della norma si conforma infatti alla giurisprudenza di legittimità, la quale ha ricavato dalla stessa dizione dell’art. 353 c.p. la natura di pericolo dell’ipotesi in esame, nel senso che è "il turbamento" della gara o in altri termini la sola potenzialità di una variazione di quello che altrimenti sarebbe l’esito della licitazione ciò che si richiede producano le condotte violente o fraudolente che la disposizione penale alternativamente prevede (cfr. per tutte Cass. 24 ottobre 1997, Todini).
Tale configurazione del reato ammette il tentativo nel senso del rilievo ai fini punitivi di condotte che, benchè non entrate nel procedimento di licitazione per fattori imprevisti, con giudizio ex ante si mostrino idonee a farlo e siano dirette in modo non equivoco a turbare l’incanto. Il che non comporta l’introduzione di reati senza offesa, ma corrisponde semplicemente alla repressione di atti antisociali nel perseguimento di quegli stessi valori che hanno indotto il legislatore ha prevedere qualsiasi reato nella forma tentata. Tanto dunque vale a ritenere infondate le censure avanzate relativamente alle turbative contestate ai capi diversi dal 13. 4. Nè, in relazione a tale capo 13, è fondato il motivo sull’applicazione retroattiva di norma extrapenale integratrice, in quanto la collusione tra le imprese Azzolini è stata ritenuta potersi ravvisare per l’esistenza di "un unico centro decisionale".
Censura è avanzata nel senso che al momento dei fatti era vigente la L. n. 415 del 1998 che si limitava ad escludere dalle gare le imprese tra le quali esisteva un rapporto di controllo ai sensi dell’art. 2359 c.c. e che fu solo nel 2006 che il D.Lgs. n. 163 ha previsto il divieto di partecipazione di imprese che hanno tale unico centro decisionale.
Ma, così argomentando, la censura confonde tra il regime amministrativo delle gare e il regime penale delle stesse, dacchè le norme indicate sono dirette a regolare l’ammissione o meno delle imprese alla licitazione e in nulla influiscono sulla nozione di collusione di cui all’art. 353 c.p. E a tal fine la Corte d’Appello ha correttamente ritenuto che l’accertato occulto raccordo tra le imprese, formalmente distinte presentataci delle offerte, integrasse appunto un fatto collusivo alla stregua di qualsiasi accordo clandestino possa verificarsi tra partecipi alla licitazione.
5. Ciò detto, va rilevato che i reati di turbativa d’asta commessi anteriormente al 13 novembre 2003 sono estinti per prescrizione sicchè da un lato occorre in questa parte annullare senza rinvio la sentenza nei confronti dei ricorrenti e dall’altro rinviare ad altra sezione della Corte d’Appello di Trento per la rideterminazione della pena in relazione ai reati residui e per nuovo giudizio sulla confisca che tenga conto e della reale consistenza del profitto dei singoli e del numero dei reati per cui vi è condanna.
Restano ferme le statuizioni civili della sentenza impugnata.
Le ulteriori censure sono assorbite, essendo rimesso al giudice del rinvio rivalutare il trattamento sanzionatorio, anche sotto l’aspetto delle attenuanti.
6. Quanto detto definisce anche la posizione di P.J. e di A.W. che non hanno dedotto ulteriori motivi di ricorso.
7. Vanno per contro accolti i ricorsi di Z.D. e di C. C. ritenuti responsabili nella forma del tentativo del reato della turbativa contestata al capo 3 dell’imputazione. I ricorrenti fanno al riguardo osservare come le loro offerte non corrispondessero alla lettera di invito, mancando una certificazione richiesta (SOA).
Diversamente da quando ritenuto nella sentenza impugnata questa omissione rende il reato impossibile, perchè già con riguardo ai dati conoscibili ex ante si sarebbe dovuta rilevare l’inidoneità degli atti posti in essere a entrare nel procedimento di licitazione.
8. I reati ascritti allo Z. sono estinti per prescrizione.
I motivi di ricorso, diversi da quelli in diritto già respinti, consistono peraltro nella riproposizione di censure già disattese dalla Corte d’Appello senza un’idonea confutazione della argomentazioni contenute nella relativa sentenza. La richiesta della non menzione era del pari generica. La condanna al risarcimento del danno è stata pronunziata verso la parte civile che lo riguarda.
9. Il reato ascritto al P. è estinto per prescrizione. Il suo ricorso, considerato agli effetti civili, evidenzia correttamente una mancata presa in considerazione da parte della Corte d’Appello del motivo sulla consapevolezza da parte del ricorrente della natura collusiva dell’offerta sottoscritta. Sul punto dovrà pronunziarsi il giudice civile.
10. I reati ascritti al V. sono estinti per prescrizione.
A parte le questioni in diritto già respinte, la censura riguardante l’accertamento della sua partecipazione ripropone i motivi già disattesi in appello senza idonea confutazione della sentenza impugnata. La censura di nullità manca dei necessari riferimenti agli atti processuali e non è quindi specifica.
11. I reati ascritti a I.P. sono estinti per prescrizione.
A parte i motivi di diritto già respinti, il ricorrente si limita a riproporre in questa Sede questioni sulla sua partecipazione ai reati già disattese in appello, senza adeguata confutazione degli argomenti espressi dal giudice di merito.
12. Il reato ascritto a I.A. è estinto per prescrizione.
Lamenta a torto che il suo reato doveva essere ritenuto impossibile, dato la sua offerta venne esclusa per il ed "taglio delle ali" delle offerte anomale. Correttamente la Corte d’Appello ha al contrario sottolineato come anche le offerte anomale concorrano alla formazione della media d’asta e quindi, se colluse, integrano il reato nella sua forma consumata.
In ordine alla partecipazione al reato il ricorrente si limita a riproporre in questa Sede questioni già disattese in appello, senza adeguata confutazione degli argomenti espressi dal giudice di merito.
13. Il reato ascritto a O.G. è estinto per prescrizione.
Il suo ricorso, considerato agli effetti civili, evidenzia correttamente una mancata presa in considerazione da parte della Corte d’Appello della consapevolezza da parte del ricorrente della natura collusiva dell’offerta sottoscritta, in quanto, sebbene titolare della carica di rappresentante legale, non era addetto alla formulazione delle offerte ed era privo di un proprio interesse.
Sul punto dovrà pronunziarsi il giudice civile.
14. Il reato ascritto ad M.A. è estinto per prescrizione, circostanza che assorbe le deduzioni relative alle nullità. In ordine alla partecipazione al reato il ricorrente sì limita a riproporre in questa Sede questioni già disattese in appello, senza adeguata confutazione degli argomenti espressi dal giudice di merito.
P.Q.M.
LA CORTE DI CASSAZIONE Annulla la sentenza impugnata nei confronti di A.E., A.L., R.E. e P.J. limitatamente al reato di cui al capo 1 perchè il fatto non sussiste.
Annulla la medesima sentenza nei confronti di Z.D. e C.C. relativamente ai reati di cui al capo 3 perchè il fatto non sussiste.
Annulla la medesima sentenza nei confronti di I.A., I.P., V.N., A.W., P. J., A.L., R.E., M.A. e Z.S., perchè i reati loro rispettivamente ascritti e commessi fino al (OMISSIS) sono estinti per prescrizione, ferme restando le statuizioni civili; rigetta nel resto i ricorsi di A.E., A.L., A.W., R.E., P.J. e rinvia ad altra sezione della Corte d’Appello di Trento per la rideterminazione delle pene in relazione ai reati residui e per nuovo giudizio sulla confisca.
Annulla la medesima sentenza nei confronti di P.G. e O.G., perchè i reati loro ascritti sono estinti per prescrizione e annulla la stessa sentenza anche in relazione a detti capi agli effetti civili, con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello.
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