Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
Con sentenza del 18 novembre 2009 il G.U.P. del Tribunale di Vicenza, per quanto rileva i questa sede, ha applicato, su accordo delle parti ex art. 444 c.p.p., a T.M. la pena di anni due e mesi otto di reclusione ed Euro 20.000,00 di multa, a S.A. la pena di anni due e mesi dieci di reclusione ed Euro 14.000,00 di multa, a E.D.T. la pena di anni quattro di reclusione ed Euro 14.000,00 di multa, a E.H. la pena di anni quattro di reclusione ed Euro 14.000,00 di multa, a E.J. la pena di anni quattro di reclusione ed Euro 14.000,00 di multa ed a M. C. la pena di anni quattro di reclusione ed Euro 22.000,00 di multa, tutti per il reato di cui agli artt. 81 cpv. e 110 c.p. e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, commi 1 e 1 bis, Lo S., l’ E. e l’ Er. anche con l’aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 11 bis. I suddetti imputati hanno proposto distinti ricorsi per cassazione chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata.
Il T. ed il M. lamentano illogicità, contraddittorietà e carenza di motivazione per la mancata pronuncia di sentenza assolutoria ex art. 129 c.p.p., per la mancata concessione delle attenuanti generiche ed in ordine alla valutazione del reato continuato ex art. 81 c.p..
Lo S. lamenta violazione di legge con riferimento alla contestata aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 11 bis in assenza di prova sulla sua attuale posizione di straniero nel territorio italiano.
L’ E.D. e l’ Er. lamentano violazione di legge con riferimento alla verifica della correttezza della qualificazione giuridica del fatto.
L’ E. lamenta inosservanza di norme processuali in relazione agli artt. 521 e 522 c.p.p. per la violazione del principio della correlazione fra accusa e sentenza.
Motivi della decisione
La sentenza va annullata in ordine alle statuizioni relative ai ricorrenti S., l’ E. e l’ Er. per una sopravvenuta causa di nullità della decisione, che investe la qualificazione aggravata della condotta criminosa e la definizione del trattamento sanzionatorio applicato, causa che discende dalla dichiarata incostituzionalità della circostanza aggravante della clandestinità ex art. 61 c.p., n. 11 bis contestata a detti imputati, disposizione (introdotta nel codice penale dalla L. 24 luglio 2008, n. 125) dichiarata incostituzionale con sentenza n. 249/2010 della Corte Costituzionale. La circostanza aggravante in parola ha spiegato incidenza nel determinismo della pena applicata all’attuale ricorrente segnatamente per quanto concerne la pena base del calcolo della sanzione, individuata in quella relativa al reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1 (aggravato dal solo non costituzionale art. 61 c.p., n. 11 bis). Donde il potenziale interesse degli imputati a far valere – ai sensi dell’art. 2 c.p., comma 4 – la sopravvenuta illegittimità della contestazione in parte qua in ragione dell’effetto abolitivo dell’art. 61 c.p., n. 11 bis, prodotto dalla sentenza n. 249/2010 della Corte Costituzionale.
Interesse dei prevenuti che trascende gli esiti decisori quoad poenam della sentenza di cui all’art. 444 c.p.p., per estendersi ai profili di natura esecutiva connessi al passaggio in giudicato della sentenza. In proposito giova evidenziare che l’art. 656 c.p.p., comma 9, lett. a) disposizione non a caso dichiarata anch’essa incostituzionale, in via consequenziale, dal giudice delle leggi con la suddetta sentenza n. 249/2010, precludeva la sospensione dell’esecuzione espiativa di pene detentive inferiori a tre anni di reclusione per i reati qualificati dall’aggravante della clandestinità ex art. 61 c.p., n. 11 bis, oggi rimossa anche dalla disciplina dell’esecuzione penale. L’impugnata sentenza deve, pertanto, essere annullata con rinvio al Tribunale di Vicenza che terrà conto che la pena illegittimamente approvata dal giudice di merito priva di validità la piattaforma negoziale sulla quale è maturato l’accordo sanzionatorio intercorso tra le parti e rende nulla la sentenza che ha ratificato quell’erroneo accordo. Di guisa che il Tribunale e le parti sono chiamate a compiere una valutazione ex novo della regiudicanda senza preclusioni di sorta riconducibili alla fase processuale già invalidamente esaurita, sì da poter accedere ad una rinegoziazione dell’accordo per l’applicazione di una pena conforme a criteri di legalità ovvero alla rinuncia dell’accordo medesimo, dando ingresso al giudizio ordinario o al giudizio abbreviato (cfr. ex plurimis: Cass. Sez. 5A, 229.2006 n. 1411, P.G. c/ Braidich, rv. 236033; Cass. Sez. 6A, 7.1.2008 n. 7952, Pepini, rv. 239082).
Quanto ai ricorsi di T., M. ed E.D. va considerato che nel "patteggiamento", una volta che il giudice abbia ratificato l’accordo, non è più consentito alle parti prospettare, in sede di legittimità, questioni con riferimento – non solo alla sussistenza ed alla qualificazione giuridica del fatto, alla sua attribuzione soggettiva, alla applicazione e comparazione delle circostanze, ma anche – alla entità e modalità di applicazione della pena (salvo che non si versi in ipotesi di pena illegale) (ex pluribus, Sezione 7, 21 dicembre 2009, El Hanana). Ciò che qui deve escludersi.
Riguardo alla lamentata pronuncia di sentenza assolutoria ex art. 129 c.p.p. di cui ai ricorsi di T. e M., si osserva che questa Corte ha ripetutamente affermato il principio che l’obbligo della motivazione della sentenza non può non essere conformato alla particolare natura giuridica della sentenza di patteggiamento: lo sviluppo delle linee argomentative è necessariamente correlato all’esistenza dell’atto negoziale con cui l’imputato dispensa l’accusa dall’onere di provare i fatti dedotti nell’imputazione. Ciò implica, tra l’altro, che il giudizio negativo circa la ricorrenza di una delle ipotesi di cui al richiamato art. 129 c.p.p., deve essere accompagnato da una specifica motivazione solo nel caso in cui dagli atti o dalle deduzioni delle parti emergano concreti elementi circa la possibile applicazione di cause di non punibilità, dovendo invece ritenersi sufficiente, in caso contrario, una motivazione consistente nella enunciazione , anche implicita, che è stata compiuta la verifica richiesta dalla legge e che non ricorrono le condizioni per la pronunzia di proscioglimento ex art. 129 c.p.p. (Sez. un 27 marzo 1992, Di Benedetto, Rv ; Sez. Un. 27 dicembre 1995, Serafino). Nè l’imputato può avere interesse a lamentare una siffatta motivazione censurandola come insufficiente e sollecitandone una più analitica, dal momento che la statuizione del giudice coincide esattamente con la volontà pattizia del giudicabile.
Nel caso di specie il giudice da conto che, alla luce delle intercettazioni telefoniche effettuate e delle deposizioni testimoniali di alcuni acquirenti della droga da parte degli imputati, non vi sono le condizioni per una diversa e più favorevole pronunzia.
I ricorsi di T., M. ed E.D. sono quindi inammissibili.
Segue, a norma dell’art. 616 c.p.p., la condanna di questi ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento ed al pagamento a favore della Cassa delle ammende, non emergendo ragioni di esonero, della somma di Euro 1.500,00 ciascuno a titolo di sanzione pecuniaria.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi proposti da T. Mohammed ,.Ed Dahbi Taoufik e.Mohcine Charafed e.c.i.r.a.
p.d.s.p.e.c.a.q.d.s.d.
E.1.i.f.d.C.d.a.
A.c.r.a.T.d.V.l.s.r.a.
Sr.Ai., E.H. e Er.Ja..
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