Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
La società indicata in epigrafe – in qualità di co-assuntore del concordato fallimentare G.W. – propose ricorso avverso il diniego oppostole dall’Agenzia, in considerazione dell’avvenuto decorso del termine di decadenza di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, comma 2, ultima parte, alla richiesta di rimborso (avanzata il 18.4.2005) dei crediti i.v.a. maturati dal Fallimento negli anni 1999, 2000 e 2001, riportati, nel quadro "15^" delle dichiarazioni quali importi richiesti a rimborso, ma non reclamati (ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 38 bis) con la presentazione del modello "RV".
A fondamento del ricorso, la società deduceva che, in presenza di specifica richiesta di rimborso in dichiarazione, la mancata presentazione del predetto modello, configurando irregolarità meramente formale, non poteva precluderle il diritto al rimborso.
L’adita commissione tributaria accolse il ricorso, con decisione confermata, in esito all’appello dell’Agenzia, dalla commissione regionale; ciò sul presupposto che il richiamato termine di decadenza di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21 opererebbe per le richieste di restituzione delle imposte versate in eccedenza sul dovuto, ma non per quelle di rimborso del credito d’imposta, in relazione al quale vigerebbe esclusivamente l’ordinario termine decennale di prescrizione.
Avverso la decisione di appello, l’Agenzia ha proposto ricorso per cassazione in unico motivo, illustrato anche con memoria. In particolare deducendo violazione del D.P.R. n. 600 del 1972, art. 38 bis, comma 1, e D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, comma 2, – ha censurato la decisione impugnata per aver ritenuto il termine di decadenza biennale di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21 inapplicabile alla domanda di rimborso del credito i.v.a..
La società contribuente ha resistito con controricorso, deducendo preliminarmente l’inammissibilità del ricorso, ed ha depositato memoria.
Fissata per la decisione in camera di consiglio ex art. 380 bis c.p.c., la causa è stata rimessa in pubblica udienza.
Motivi della decisione
Il ricorso dell’Agenzia è ammissibile, in quanto, diversamente da quanto assunto dalla società controricorrente, articolato in motivi specifici e corredati d’idoneo quesito ex art. 366 bis c.p.c..
Quanto al merito, deve, in primo luogo, convenirsi con la ricorrente Agenzia che la decisione impugnata è certamente censurabile laddove afferma che il termine di decadenza di cui al D.Lgs. 546 del 1992, art. 21, comma 2, ultima parte, opera per le sole richieste di restituzione delle imposte versate in eccedenza sul dovuto, e non anche per quelle di rimborso del credito d’imposta, esclusivamente assoggettate all’ordinario termine decennale di prescrizione.
Va, invero, osservato che la giurisprudenza di questa Corte è, in proposito, consolidatamente attestata (cfr. Cass. 27057/08, 8461/05, 16477/04) sull’opposto principio (da cui non vi è motivo di discostarsi), secondo il quale alla domanda di rimborso del credito i.v.a. maturato dal contribuente si applica, in mancanza di una disciplina specifica posta dalla legislazione speciale in materia, la norma generale residuale di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, comma 2, ultima parte, (in precedenza quella di cui al D.P.R. n. 636 del 1972, art. 16), che prevede un termine biennale di decadenza per la presentazione dell’istanza.
Il principio, astrattamente condivisibile, non è, tuttavia, decisivo ai fini della soluzione del caso di specie.
Esso risulta, invero, affermato in relazione a fattispecie concrete riguardanti crediti i.v.a. non richiesti a rimborso in sede di dichiarazione (e ciononostante reclamabili, perchè, comunque, documentalmente attestati: cfr. C.G. 11.7.2002, in causa C-62/00, Liberexim BV, Cass. 22774/06, 2274/04) e solo a tali fattispecie si attaglia. Mentre la fattispecie qui esaminata è, invece, incontrovertitamente caratterizzata dal fatto che i crediti i.v.a. pretesi erano stati specificamente richiesti a rimborso, con inserimento nel corrispondente rigo del quadro "60^" delle correlative dichiarazioni, senza che, poi, si provvedesse, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 38 bis alla presentazione del modello "VR".
Ad avviso del collegio, la rilevata specificità della fattispecie concreta comporta che (nonostante la condivisibilità dell’evocato indirizzo giurisprudenziale), il ricorso dell’Agenzia deve ritenersi egualmente infondato.
La compilazione del quadro "60" della dichiarazione annuale i.v.a., nel rigo rubricato "importo di cui si richiede il rimborso" configura, infatti, inequivoca richiesta di rimborso del vantato credito d’imposta e formale esercizio del correlativo diritto (pur subordinato al controllo, da parte dell’agenzia, dei dati indicati in dichiarazione); mentre la presentazione del modello "VR" risulta, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 38 bis, comma 1, (v., anche, la lettera e la rubrica della disposizione) adempimento necessario solo a dar inizio al procedimento di esecuzione del rimborso. Ne consegue che – una volta esercitato tempestivamente (in dichiarazione) – il diritto al rimborso non può più considerarsi assoggettato al termine di decadenza di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, comma 2, ultima parte, (che incide sui soli crediti iva non chiesti a rimborso in dichiarazione e pur sempre suscettibili di rimborso), ma solo a quello di prescrizione.
L’impostazione è coerente con la giurisprudenza, in tema, sviluppata da questa Corte con riferimento alle imposte sui redditi. Al riguardo, risulta, infatti, consolidatamente affermato il principio secondo cui – qualora il contribuente abbia evidenziato nella dichiarazione un credito d’imposta – non occorre, da parte sua, al fine di ottenerne il rimborso, alcun altro adempimento, ma egli deve solo attendere che l’Amministrazione finanziaria eserciti, sui dati esposti in dichiarazione, il potere-dovere di controllo secondo la procedura di liquidazione delle imposte, prevista dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis ovvero, ricorrendone i presupposti, secondo lo strumento della rettifica della dichiarazione; una volta che il credito si sia consolidato (attraverso un riconoscimento esplicito in sede di liquidazione, ovvero per effetto di un riconoscimento implicito derivante dal mancato esercizio nei termini del potere di rettifica) l’Amministrazione è tenuta ad eseguire il rimborso e il relativo credito del contribuente è soggetto alla ordinaria prescrizione decennale (cfr. Cass. 11444/11, 1154/08, 11832/02 e 11511/01).
L’impostazione non è, per converso, contraddetta dalle pronunzie di questa Corte richiamate nella memoria dell’Agenzia (Cass. 21053/05, Cass. 1935/99), che – affermando la necessità della presentazione del modello al fine dell’esecuzione del rimborso e della decorrenza degli interessi – si limitano, condivisibilmente, a configurare l’adempimento in questione quale condizione di esigibilità del credito d’imposta e non lo pongono quale conditio sine qua non del relativo esercizio al fine dell’impedimento della decadenza correlativamente prescritta.
La soluzione appare, d’altro canto, imposta dalla normativa comunitaria. In tema di i.v.a., questa prevede, infatti, che gli Stati membri adottino le misure ritenute necessarie all’adempimento degli obblighi di dichiarazione e di pagamento nonchè ad assicurare l’esatta riscossione dell’imposta e ad evitare frodi, ma – posto che per il principio di neutralità fiscale il diritto al ristoro dell’i.v.a. versata a monte costituisce fondamentale principio del sistema comunitario (cfr. C.G. 18.12.1997 nelle causa riunite C- 286/94, C-340/95, C-401/95, C-47/96) – tali misure non possono mai eccedere gli obiettivi sopra indicati (v. C.G. 8.5.2008, nelle cause riunite C-95/07 e C-96/07, Ecotrade e 27.9.2007, in causa C-146/05, Collèe); sicchè, soddisfatti gli obblighi sostanziali, il diritto al rimborso non può essere radicalmente cancellato in dipendenza dell’inosservanza di un obbligo formale, quale la mancata presentazione del modello "VR", del tutto idoneamente sanzionato, al fine del soddisfacimento di quegli obiettivi, con la meno grave sanzione dell’inesigibilità del credito d’imposta.
Alla stregua della considerazioni che precedono – previa correzione della sentenza impugnata, ex art. 384 c.p.c., u.c., nei termini sopra precisati – s’impone il rigetto del ricorso.
Per la natura della controversia e le tutte le peculiarità della fattispecie, si ravvisano le condizioni per disporre la compensazione delle spese del giudizio.
P.Q.M.
la Corte: respinge il ricorso; compensa le spese.
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