CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. II CIVILE – SENTENZA 26 luglio 2010, n.17528 CONCESSIONE DI VENDITA E CONTINENZA DI CAUSE

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Motivi della decisione

1. Ricorso n. 15930 del 2004.

1.1. Con il primo motivo, la ricorrente deduce, con riferimento alla eccezione di litispendenza e/o continenza formulata come specifico motivo di appello, nullità della sentenza e del procedimento, ex art. 360 c.p.c., n. 4, per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ.; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione; violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art. 112 cod. proc. civ. Violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato.

La ricorrente ricorda che, con specifico motivo contenuto nell’atto di appello, aveva censurato la sentenza del Tribunale di Lodi nella parte in cui aveva dichiarato la insussistenza di rapporti di litispendenza o di continenza tra la causa preventivamente instaurata presso il Tribunale di Milano e quella di opposizione a decreto ingiuntivo. E benché il motivo fosse stato specificamente formulato e illustrato con dovizia di argomentazioni, la Corte d’appello di Milano aveva omesso sul punto qualsiasi pronuncia. Né, sostiene la ricorrente, può ritenersi che l’affermazione della Corte d’appello, secondo cui non sussiste alcun motivo di pregiudizialità necessaria o di opportunità per sospendere la causa di opposizione a decreto ingiuntivo, integri una risposta al motivo di gravame concernente la proposta eccezione ex art. 39 cod. proc. civ. La ricorrente conclude il motivo chiedendo alla Corte di pronunciare nel merito ex art. 384 cod. proc. civ. sulla detta eccezione, rappresentando la necessità che una simile pronuncia venga comunque adottata prima della definizione del giudizio di appello sulla sentenza del Tribunale di Milano, pronunciata nel giudizio preventivamente instaurato, e al tale proposito riproduce le argomentazioni sviluppate sul punto nell’atto di appello, sottolineando come nel giudizio preventivamente instaurato essa aveva chiesto che venisse escluso il suo obbligo di pagamento di una somma esattamente corrispondente a quella oggetto del decreto ingiuntivo opposto.

1.2. Con il secondo motivo, la ricorrente deduce omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., relativamente al capo della sentenza che ha confermato la statuizione della decisione di primo grado circa la rinuncia di essa ricorrente alla domanda nel merito.

La società ricorrente, dopo aver ricordato i principi affermati da questa Corte in tema di presunzione di abbandono delle domande non ricomprese tra quelle specificamente formulate in sede di precisazione delle conclusioni, e dopo avere sottolineato che la valutazione del giudice del merito deve essere condotta avuto riguardo alla effettiva volontà delle parti, ricorda che, nel giudizio di primo grado, dopo aver chiesto la dichiarazione di litispendenza e/o continenza del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo con quella già pendente dinnanzi al Tribunale di Milano, e dopo aver quindi sollecitato la dichiarazione di nullità del decreto opposto con conseguente pronuncia dei provvedimenti ex art. 39 cod. proc. civ., aveva chiesto, “in via subordinata nel merito e salvo gravame, rimettere il procedimento in istruttoria, ammettendo le prove testimoniali dedotte nel foglio da far parte integrante dell’udienza del 15.3.95”, testualmente riprodotte nel ricorso, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso stesso. Di tale richiesta e della sua strumentalità alla contestazione nel merito della domanda proposta con il ricorso per decreto ingiuntivo, la Corte d’appello non avrebbe tenuto conto al fine di accertare se la relativa domanda fosse stata o no effettivamente rinunciata. Il Tribunale, pertanto, ove avesse escluso, come in effetti ha fatto, la sussistenza di un rapporto di litispendenza e/o di continenza tra le due cause, avrebbe dovuto rimettere la causa in istruttoria decidendo sulle istanze formulate non solo da essa ricorrente, ma anche dalla controparte. E ciò anche perché il rigetto della eccezione preliminare di rito non era di per sé sufficiente a motivare il rigetto della opposizione e a confermare il decreto ingiuntivo, giacché si doveva tenere conto delle contestazioni mosse con l’atto di opposizione, le quali richiedevano lo svolgimento della attività istruttoria specificamente indicata.

1.3. Con il terzo motivo, la ricorrente deduce omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, nullità della sentenza, ex art. 360 c.p.c., n. 4, per violazione dell’art. 112 relativamente alla presunta rinuncia da parte di essa ricorrente alla eccezione di incompetenza territoriale.

La motivazione con la quale la Corte d’appello ha ritenuto rinunciata l’eccezione sarebbe del tutto inappagante e contrastante con i principi desumibili dalla giurisprudenza di legittimità circa i limiti della presunzione di abbandono delle domande ed eccezioni non riproposte in sede di precisazione delle conclusioni. La stessa Corte territoriale, del resto, ha dato atto che la questione era stata trattata nella comparsa conclusionale e tuttavia ha ritenuto che le considerazioni svolte nella conclusionale non potessero essere utili per accertare la effettiva volontà della parte, pur se detta trattazione non poteva avere altro significato che quello di mantenere ferma l’eccezione. Del resto, la stessa controparte aveva svolto le proprie difese ritenendo la detta eccezione formulata e ribadita in sede di conclusioni.

2. Ricorso n. 15562 del 2006.

2.1. Con il primo motivo, G. s.r.l. deduce omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione; violazione e falsa applicazione dell’art. 115 cod. proc. civ. e art. 1406 e segg. cod. civ.; nullità della sentenza impugnata e del procedimento ex art. 360 c.p.c., n. 4, per violazione dell’art. 115 cod. proc. civ.

Le censure della ricorrente si appuntano, innanzitutto, sull’affermazione della sentenza impugnata, secondo cui non vi sarebbe stata in atti la prova del subentro di X s.r.l. a Y X s.r.l. a titolo particolare e neanche della cessione del contratto 9 giugno 1989, che, ad avviso della Corte d’appello, non sarebbe neanche stata dedotta da essa ricorrente. Al contrario, una rilevante parte della comparsa conclusionale in primo grado era stata incentrata sulla cessione del contratto.

Quanto alla questione del subentro nel contratto 9 giugno 1989, ritenuto provato dal Tribunale perché sostanzialmente ammesso da X s.r.l., ed escluso invece dalla Corte d’appello, la ricorrente rileva che quest’ultima avrebbe errato nell’apprezzare il contenuto della lettera 24 settembre 1991 proveniente da X s.r.l. e contenente affermazioni di valore chiaramente confessorio circa l’intervenuto subentro o successione a titolo particolare di X s.r.l. nei rapporti contrattuali della Y X s.r.l. Gli ordini ai quali la lettera faceva riferimento, puntualmente evasi da X s.r.l., traevano origine proprio dal contratto 9 giugno 1989, sicché la Corte d’appello avrebbe errato nell’escludere che, nel caso di specie, si sia verificata una cessione di fatto del contratto già in essere con Y X s.r.l., come del resto confermato da numerosi testimoni. In ogni caso, posto che il negozio di cessione del contratto non richiede forme particolari e che il consenso del contraente ceduto può essere successivo e tacito, nel caso di specie, per avere le parti dato esecuzione alle obbligazioni scaturenti dal contratto 9 giugno 1989, la Corte d’appello avrebbe dovuto ritenere intervenuta una successione a titolo particolare in quel contratto, per effetto della cessione dello stesso, con conseguente subentro di X s.r.l. in tutte le obbligazioni da quel contratto previste.

Un indizio in tal senso era desumibile anche dalla comparsa conclusionale in primo grado di X s.r.l., nella quale si affermava: “vero è che con tutta evidenza la X s.r.l. acquisì nel 1991 il diritto di utilizzo del marchio del Know-how di produzione di un settore specifico della Y, probabilmente assumendone anche i crediti in riscossione”. In sostanza, si assumeva l’intervenuta cessione non di un ramo di azienda, ma del marchio X, con la conseguenza che tutti i prodotti con tale marchio continuavano ad essere distribuiti da G. s.r.l. con le modalità precedentemente in atto, come stabilite dal contratto 9 giugno 1989.

Sussisterebbe quindi il denunciato vizio di motivazione, giacché la Corte d’appello non avrebbe adeguatamente valutato le prove documentali né le risultanze della prova testimoniale.

Sotto il primo profilo, la ricorrente richiama i documenti dai quali emergeva che il contratto di concessione di vendita era proseguito anche con X s.r.l. (lettera del 24 settembre 1991), avendo essa ricorrente proseguito nella distribuzione dei prodotti a marchio X; che tutti gli ordini in corso effettuati da essa ricorrente erano stati evasi da X s.r.l.; che il rapporto era strutturato secondo le medesime modalità previste dal contratto 9 giugno 1989; che X s.r.l. aveva addirittura incassato i pagamenti effettuati da G. per fatture emesse da Y X in relazione all’acquisto continuativo di prodotti X; che anche i pagamenti erano avvenuti con le medesime modalità; che X s.r.l. aveva continuato a contribuire alle spese per pubblicità sostenute da essa ricorrente ; che nella zona in cui operava essa ricorrente, X s.r.l. non aveva mai commercializzato direttamente i prodotti a marchio X, avvenendo la commercializzazione attraverso la G. s.r.l., che operava secondo i prezzi stabiliti da X s.r.l.

Quanto alla prova testimoniale, la ricorrente rileva che alcuni testi, e in particolare Contigiani Franco e Aspesi Luigi, rispettivamente direttore vendite di X Italia s.r.l. e poi di X s.r.l. e responsabile tecnico delle tre società succedutesi, contrariamente a quanto affermato nella sentenza impugnata, avevano univocamente riferito che unica distributrice dei prodotti X per l’Emilia-Romagna era G. s.r.l. Il primo teste, inoltre, aveva confermato sia il subentro, a far data dal 1° novembre 1991 alla Y X Inks s.r.l. della X s.r.l., sia l’esistenza della esclusiva dei prodotti X in favore di G. s.r.l., essendo il rapporto proseguito, almeno fino al 1° novembre 1991 – data di cessazione del teste dall’incarico – con le stesse modalità attuate in precedenza. Analogamente, il teste Aspesi aveva confermato la continuazione del rapporto di distribuzione dei prodotti X e il permanere delle medesime condizioni e modalità.

A fronte di tali specifiche deposizioni testimoniali, la Corte d’appello ha invece affermato che le risultanze della prova orale non erano significative, sminuendone il valore con argomentazioni errate, illogiche e contraddittorie, giacché i testi erano perfettamente a conoscenza dei fatti di causa. In tale situazione, era onere di X s.r.l. fornire elementi contrari a quelli offerti da essa ricorrente; ma ciò non era avvenuto. Da ciò, il vizio motivazionale della impugnata sentenza.

Con riferimento, poi, all’affermazione secondo cui la lettera del 24 settembre 1991 poteva al più dimostrare un subentro di X s.r.l. a Y X s.r.l. nella fabbricazione e commercializzazione di inchiostri e non anche a tutta la gamma di prodotti X, la ricorrente rileva che dalla documentazione in atti emergeva come G. s.r.l. avesse sempre distribuito i prodotti X senza eccezioni di sorta.

2.2. Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, anche in relazione all’esame delle risultanze probatorie del giudizio; violazione e falsa applicazione di norme di diritto, con particolare riferimento all’art. 115 cod. proc. civ.

La censura si riferisce alle valutazioni espresse nella sentenza impugnata in ordine alla qualificazione del rapporto in atto tra le parti nel giugno 1993. Si evidenzia, innanzitutto, che la Corte d’appello, da un lato, ha dato atto del fatto che tale rapporto era rilevante economicamente, continuativo e in atto da anni, e che G. vendeva regolarmente i prodotti X con prezzi e sconti predeterminati; dall’altro, nel sintetizzare la valutazione della prova testimoniale, ha affermato che la situazione rilevata era compatibile, dal punto di vista giuridico, anche con una serie di rapporti di compravendita distinti e autonomi e non necessariamente implicanti una concessione di vendita in esclusiva. Siffatte affermazioni sarebbero all’evidenza contraddittorie.

Peraltro, gli elementi evidenziati dalla stessa Corte d’appello avrebbero dovuto indurla a qualificare il rapporto come una concessione di vendita, le cui caratteristiche sono la continuatività, l’obbligo per il concessionario di mantenere l’assortimento della merce e di effettuare forme di pubblicità concordate, l’obbligo di rivendita dei prodotti nella zona oggetto del contratto ai prezzi di listino imposti dal concedente: elementi, questi, tutti sussistenti nel caso di specie, e già previsti nel contratto del 9 giugno 1989. Dalla prova testimoniale, del resto, era emersa chiaramente e univocamente l’esistenza di un rapporto di esclusiva sin dall’inizio del rapporto. In tale contesto, la circostanza valorizzata dalla Corte d’appello per negare l’esistenza dell’esclusiva, consistente nella contemporanea attività di un agente della X s.r.l. nella persona di Fabrizio G., figlio dell’amministratore della società attrice, sarebbe priva di rilievo, essendo stato dimostrato che tale contratto di agenzia non solo era stato concordato ma in realtà aveva dato luogo ad attività del tutto sporadiche. Anzi, proprio il fatto che tra Fabrizio G. e Y X s.r.l. vi era un contratto e che tale contratto era stato rinnovato, alle medesime condizioni, da X s.r.l. in data 1° novembre 1991, dimostrava la continuità di rapporti tra le società X. In ogni caso, il fatturato prodotto da Fabrizio G. era assolutamente irrisorio a fronte del rilevante fatturato, progressivamente più ampio, scaturito dallo svolgimento dell’attività di distribuzione in esclusiva da parte di essa ricorrente.

2.3. Con il terzo motivo, la ricorrente deduce omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, anche in relazione all’esame delle risultanze probatorie del giudizio; violazione e falsa applicazione di norme di diritto, con particolare riferimento all’art. 115 cod. proc. civ. e art. 1569 cod. civ.; nullità della sentenza impugnata e del procedimento ex art. 360 c.p.c., n. 4, per violazione dell’art. 115 cod. proc. civ.

Con tale censura la ricorrente si duole del fatto che la Corte d’appello abbia escluso qualsiasi inadempimento della X s.r.l. nella rottura senza preavviso di un rapporto che si era sviluppato con continuità e con le caratteristiche della concessione di vendita. In particolare, la Corte d’appello avrebbe incentrato la propria valutazione sulla questione della esistenza o meno della clausola di esclusiva, ma avrebbe omesso di considerare le concrete modalità di svolgimento del rapporto e il fatto che l’inadempimento lamentato con l’atto di citazione consisteva nella improvvisa e repentina interruzione del rapporto in essere da parte di X s.r.l.

Infatti, sostiene la ricorrente, ammesso e non concesso che la clausola di esclusiva non esistesse, la Corte avrebbe comunque dovuto analizzare le modalità di interruzione del rapporto, avvenute in violazione del principio della buona fede contrattuale, che avrebbe dovuto essere accertata dal giudice di merito a prescindere dalla sussistenza di un rapporto di esclusiva; e sul punto la motivazione della sentenza impugnata era del tutto carente.

In sostanza, ad avviso della ricorrente, ove la Corte d’appello avesse considerato le caratteristiche del rapporto, assai simili a quelle di un contratto di somministrazione, al quale la concessione di vendita viene assimilato, avrebbe dovuto comunque riconoscere l’esistenza dell’obbligo di un congruo preavviso (art. 1569 cod. civ.) e quindi valutare in termini di illegittimità il recesso posto in essere immotivatamente e immediatamente da X s.r.l.

Del resto, il semplice esame della documentazione in atti avrebbe dovuto consentire di apprezzare la rilevanza dell’attività di essa ricorrente in favore di X, essendo in proposito sufficiente considerare gli importi degli introiti, progressivamente crescenti, che detta attività aveva arrecato nel tempo alle società concedenti. In sintesi, G. s.r.l. non era un semplice cliente per X, ma un vero e proprio collaboratore; e tale era stata considerata dalla stessa X s.r.l. in comunicazioni del 1992, e correttamente ritenuta dal Tribunale con la sentenza di primo grado.

2.4. Con il quarto motivo, la ricorrente lamenta omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, anche in relazione all’esame delle risultanze probatorie del giudizio; violazione e falsa applicazione di norme di diritto, con particolare riferimento all’art. 115 cod. proc. civ.; nullità della sentenza impugnata e del procedimento ex art. 360 c.p.c., n. 4, per violazione dell’art. 115 cod. proc. civ.

La censura si riferisce al fatto che la Corte d’appello, avendo ritenuto insussistente l’inadempimento di X s.r.l., ha affermato che la domanda di risarcimento danni dovesse essere di conseguenza respinta, cosi come le altre domande proposte.

La motivazione della sentenza sul punto sarebbe approssimativa e si fonderebbe sull’omessa considerazione del fatto che nel corso del giudizio era stato dimostrato come la risoluzione del contratto di concessione di vendita, senza alcun preavviso, aveva provocato ad essa ricorrente un ingentissimo danno. In proposito, la ricorrente rileva che il proprio fatturato negli anni 1989-1993 era stato crescente e anche significativamente e che, invece, dopo la interruzione del rapporto con X, il fatturato stesso aveva avuto una sensibile riduzione e non aveva ancora dopo anni raggiunto i livelli del 1992. Ai danni derivanti dalla interruzione del rapporto dovevano poi sommarsi quelli specificamente conseguenti alla mancanza di preavviso e alla necessità di custodire le merci fornite da X e non più utilizzabili per la vendita perché non risultava più garantito il riassorbimento dei prodotti.

3. I due ricorsi vanno riuniti.

Trova, infatti, applicazione il principio per cui “la riunione delle impugnazioni, obbligatoria ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ. ove investano la stessa sentenza, può essere facoltativamente disposta, anche in sede di legittimità, ove esse siano proposte contro diverse sentenze pronunciate fra le medesime parti, in relazione a ragioni di unitarietà sostanziale e processuale della controversia; ed invero dalle disposizioni del codice di rito prescriventi l’obbligatorietà della riunione, in fase di impugnazione, di procedimenti formalmente distinti, in presenza di cause esplicitamente ritenute dal legislatore idonee a giustificare la trattazione congiunta (art. 335 cod. proc. civ. e art. 151 disp. att. cod. proc. civ.), è desumibile un principio generale secondo cui il giudice può ordinare la riunione in un solo processo di impugnazioni diverse, oltre i casi espressamente previsti, ove ravvisi in concreto elementi di connessione tali da rendere opportuno, per ragioni di economia processuale, il loro esame congiunto” (Cass., n. 16405 del 2008).

Nel caso di specie, il contenuto delle sentenze impugnate e i motivi di ricorso – e in particolare la deduzione di un rapporto di continenza se non addirittura di litispendenza tra i due giudizi, oggetto di uno specifico motivo di ricorso – rendono evidente la sussistenza di ragioni di connessione che impongono la riunione dei giudizi.

4. Ragioni di ordine logico impongono di procedere in via prioritaria all’esame del secondo ricorso, relativo al giudizio preventivamente instaurato dalla odierna ricorrente.

5. Il primo motivo di ricorso è fondato.

Sussiste, invero, ad avviso del Collegio, la denunciata contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata sul punto decisivo della ricostruzione dei rapporti intercorsi tra le parti successivamente al 1° novembre 1991, successivamente, cioè, al momento del subentro di X s.r.l. alla precedente titolare del rapporto di concessione di vendita con patto di esclusiva Y X Inks s.r.l.

La Corte d’appello ha in proposito ritenuto che la G. s.r.l. non avesse fornito la prova che la X s.r.l. fosse subentrata nel contratto del 9 giugno 1989 e che quindi, nel giugno 1993, fosse vincolata dalla clausola di esclusiva che assisteva il predetto contratto; ha ritenuto cioè che la appellata non avesse dato “sufficiente prova del contratto in essere tra le parti, della vigenza della clausola di esclusiva e quindi dell’inadempimento della X s.r.l.”. A tale conclusione la Corte d’appello è giunta sulla base della ricognizione delle risultanze istruttorie, sia documentali che testimoniali; risultanze che, da un lato, consentivano di affermare che non era in discussione, ed anzi era pacifico, “che la G. s.r.l. fosse, fino al giugno 1993, un importante cliente della X s.r.l., tanto da essere annoverata tra i “clienti direzionali”, e che fra queste parti fosse in corso, da diversi anni, una rilevante, continuativa ed economicamente cospicua serie di contratti di compravendita di prodotti X”; dall’altro, non imponevano invece di ritenere che la circostanza che la X s.r.l. “vendesse regolarmente e sistematicamente prodotti X alla G. s.r.l. e che questa nella zona della Emilia Romagna rivendesse regolarmente e sistematicamente tali prodotti con prezzi e sconti predeterminati” valesse a “dimostrare l’obbligatorietà contrattuale di tali condotte, e cioè che nell’anno 1993, fra le stesse parti, vigesse il contratto di concessione di vendita con esclusiva stipulato il lontano 1989 tra G. s.r.l. e X Italia s.r.l.”.

Nell’esaminare le varie risultanze istruttorie, peraltro, la Corte d’appello ha preso in considerazione la lettera del 24 settembre 1991 inviata da X s.r.l. a G. s.r.l., nella quale la prima si rivolgeva alla seconda pregandola di “prendere nota che a far data dal 1° novembre 1991 la nostra società subentrerà alla Y X Inks s.r.l. nella fabbricazione e commercio di inchiostri e pertanto gli ordini in corso alla data di cui sopra saranno evasi dalla scrivente. Tutti gli ordini, documenti e corrispondenza dovranno essere inviati al solito indirizzo … . Rimangono invariati indirizzo, numero di telefono, fax (e banca d’appoggio)”. La Corte d’appello ha ritenuto che tale comunicazione non costituisse “indizio di subentro della X s.r.l. nel contratto in questione”, e ha valorizzato in tal senso la circostanza che il subentro, secondo quanto esplicitato nella lettera in questione, fosse limitato solo alla fabbricazione e al commercio di inchiostri.

Sotto altro profilo, la Corte d’appello ha poi escluso che la successiva comunicazione del 26 novembre 1993, nella quale la G. s.r.l. veniva definita come “collaboratore”, fosse significativa del subentro della X s.r.l. nel contratto di concessione di vendita con esclusiva del 1989, osservando che in quella comunicazione G. s.r.l. non veniva qualificata come “distributrice esclusiva di prodotti X Italia s.r.l.”, e che l’espressione “collaboratore” era perfettamente compatibile con l’indiscussa qualità di “cliente prioritario” della società emiliana.

In proposito, osserva il Collegio che la motivazione in base alla quale la Corte d’appello ha ritenuto i richiamati documenti inidonei a suffragare la tesi della ricorrente che X s.r.l. fosse subentrata nel contratto di concessione di vendita con esclusiva del 1989, appare contraddittoria per diversi aspetti. In primo luogo, in quanto, atteso che il rapporto tra X s.r.l. e G. s.r.l. si è protratto, sulla base della comunicazione del settembre 1991 per circa due anni, il rilievo secondo cui il subentro sarebbe avvenuto solo con riferimento agli inchiostri non appare di per sé significativo, ove disgiunto, come nella specie, da qualsiasi riferimento al contenuto delle prestazioni che si sono susseguite tra il 1° novembre 1991 e la cessazione del rapporto tra le parti. Il che avrebbe consentito alla Corte d’appello anche di verificare se, nel contesto del documento richiamato, il riferimento agli ordini in corso, senza ulteriori specificazioni, fosse necessariamente limitato alle forniture di inchiostro e non operasse invece in relazione a tutti i precedenti materiali.

Il rilievo, invero, avrebbe potuto avere una qualche valenza al fine di escludere che l’esplicito riferimento contenuto nella lettera del settembre 1991 alla esecuzione degli ordini in corso avesse una portata riduttiva, ove fosse stato accertato che detti ordini avevano ad oggetto solo ed esclusivamente la fornitura di inchiostri e solo se fosse stato dimostrato che i singoli contratti successivamente conclusi avessero ad oggetto esclusivamente inchiostri e non anche altri materiali a marchio X, acquisito da X s.r.l. come dedotto dalla ricorrente. Né la Corte d’appello ha preso in considerazione l’ipotesi che la suddetta lettera comunicasse l’avvenuta cessione del contratto in corso tra Y X Inks s.r.l. e G. ad X s.r.l., quanto meno limitatamente agli inchiostri; cessione che dalla stessa sentenza impugnata emerge essere stata chiaramente accettata da G. s.r.l., non necessitando la stessa di forme particolari.

Ed ancora, non può non riscontrarsi la denunciata contraddittorietà della motivazione che, da un lato, descrive il rapporto proseguito dopo il 1° novembre 1991, come “una rilevante, continuativa ed economicamente cospicua serie di contratti di compravendita di prodotti X” e, dall’altro, esclude che detta serie continuativa di rapporti, sviluppatasi con le medesime modalità di cui al contratto del giugno 1989, si identificasse nel medesimo contratto di concessione di vendita, nel quale, con lettera del settembre 1991, X s.r.l. aveva comunicato a G. s.r.l. di essere subentrato, ancorché limitatamente alla fabbricazione e commercializzazione degli inchiostri (ma sulla rilevanza di tale limitazione, valgono i rilievi svolti in precedenza). In tal modo, invero, la Corte d’appello non ha tenuto presente quanto nella giurisprudenza di legittimità si è affermato in ordine alla concessione di vendita, la quale consiste in un “contratto innominato, che si caratterizza per una complessa funzione di scambio e di collaborazione e consiste, sul piano strutturale, in un contratto – quadro o contratto – normativo, dal quale deriva l’obbligo di stipulare singoli contratti di compravendita ovvero l’obbligo di concludere contratti di puro trasferimento dei prodotti, alle condizioni fissate nell’accordo iniziale” (Cass., n. 1469 del 1999; Cass., n. 13569 del 2009). In particolare, emerge evidente la contraddittorietà della motivazione laddove, in presenza di un accertato svolgimento del rapporto con le indicate caratteristiche (“rilevante, continuativa ed economicamente cospicua serie di contratti di compravendita”) e di una lettera con la quale la X s.r.l. comunicava il proprio subentro alla Y X Inks s.r.l. nella fabbricazione e commercializzazione degli inchiostri a marchio X e negli ordini in corso alla data del 1° novembre 1991, e a fronte della esplicita qualificazione della G. come “collaboratore” di X s.r.l., la Corte d’appello ha ritenuto che il rapporto tra le parti fosse qualificabile come una serie di contratti di vendita piuttosto che come esecuzione di un contratto di concessione di vendita.

Del resto, che il rapporto tra le parti fosse proseguito con le medesime modalità risulta dalla stessa sentenza impugnata, laddove si dà atto delle risultanze delle deposizioni testimoniali in tal senso, anche se le stesse sono state ricostruite come compatibili con “anche soltanto con una serie di rapporti di compravendita distinti ed autonomi e non necessariamente implicante una concessione di vendita in esclusiva ed il subentro della X s.r.l. negli obblighi giuridici nascenti dal contratto 8.6.89 stipulato dalla G. s.r.l. con altro e distinto soggetto giuridico”.

Sulla qualificazione del rapporto intercorso tra le parti successivamente al 1° novembre 1991 la motivazione della sentenza impugnata presenta dunque l’evidenziata contraddittorietà, che impone la cassazione della sentenza e un nuovo esame della controversia. Il rilevato vizio di motivazione assorbe anche la valutazione della Corte d’appello in ordine alla questione della prova della sussistenza della esclusiva tra X s.r.l. e G. s.r.l., essendo evidente che anche tale circostanza dovrà essere nuovamente valutata all’esito della rinnovata valutazione in ordine alla qualificazione del detto rapporto.

L’accoglimento del primo motivo di ricorso assorbe poi gli altri motivi.

La sentenza della Corte d’appello di Milano n. 837 del 2005 va quindi cassata, con rinvio ad altra sezione della medesima Corte d’appello.

6. Venendo ora all’esame del ricorso avverso la sentenza resa dalla Corte d’appello di Milano nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, il Collegio ritiene che sia fondato il primo motivo di ricorso.

Dalla sentenza impugnata (n. 1520 del 2003), emerge infatti chiaramente che la questione della litispendenza e/o continenza tra la causa di opposizione a decreto ingiuntivo e quella di risarcimento danni da inadempimento introdotta da G. s.r.l. era stata espressamente dedotta con specifico motivo di impugnazione. Risulta altresì chiaramente che la Corte d’appello ha omesso in proposito ogni pronuncia, come puntualmente sostenuto dalla ricorrente.

In proposito, appare opportuno precisare che la situazione rappresentata dalla ricorrente nei precedenti gradi di merito va qualificata come di “continenza”, trovando applicazione il principio più volte affermato da questa Corte, secondo cui “sussiste continenza di cause, ai sensi dell’art. 39 c.p.c., comma 2, tra la domanda del venditore in via monitoria di condanna del compratore al pagamento del prezzo e quella preventivamente proposta in via ordinaria davanti ad un diverso giudice avente ad oggetto la domanda del compratore di risoluzione del contratto di compravendita e di risarcimento dei danni scaturendo le opposte domande dal medesimo rapporto contrattuale” (Cass., n. 5837 del 2001; Cass., S.U., n. 10011 del 2001; Cass., n. 5267 del 2000; Cass., n. 14078 del 2005).

Si deve poi aggiungere che l’intervenuto accoglimento del ricorso avverso e la conseguente cassazione della sentenza resa nel giudizio preventivamente instaurato (giudizio di danni proposto da G. s.r.l.) rende rilevante e proponibile la questione di continenza prospettata dalla appellante G. sin dall’atto di opposizione a decreto ingiuntivo, disattesa dal Tribunale di Lodi, riproposta dinnanzi alla Corte d’appello di Milano, e da questa non esaminata.

Invero, caducata la sentenza resa nel giudizio contenente, la Corte d’appello potrà procedere ad esaminare in unico giudizio entrambe le controversie.

Il primo motivo di ricorso avverso la sentenza n. 1520 del 2003 va quindi accolto, con assorbimento degli altri motivi e con cassazione della sentenza impugnata. Anche in questo caso, la cassazione va disposta con rinvio alla medesima Corte d’appello di Milano, diversa sezione, alla quale è demandata altresì la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi, accoglie il primo motivo del ricorso n. 15562 del 2006, assorbiti gli altri; accoglie il primo motivo del ricorso n. 15930 del 2004, assorbiti gli altri; cassa le sentenze impugnate e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, a diversa sezione della Corte d’appello di Milano.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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