Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
1. La Corte d’appello di Milano, con sentenza del 7/4/2010, ha confermato la pronuncia di condanna emessa dal locale Tribunale per vari episodi di corruzione consumati da esponenti delle forze di polizia interessati al rilascio di permessi in favore di cittadini extracomunitari nonchè da stranieri che svolgevano in tale attività funzione di intermediari.
Avverso la citata pronuncia ha proposto ricorso la difesa di I.M. lamentando con il primo motivo violazione di legge e contraddittorietà della motivazione in relazione al capo J della rubrica, ove è contestato il delitto di corruzione previsto dall’art. 319 c.p..
In fatto si osserva che Corte ha ritenuto il suo interessamento nella pratica di ricongiungimento familiare di tale E.T., desumibile dall’ascolto delle conversazioni telefoniche intercorse tra tali N. e P., quest’ultimo e tale R. e tra questi e l’odierno ricorrente, ritenendo provato che il primo avesse promesso denaro a P., in cambio dell’interessamento; questi avrebbe comunicato a R. tale circostanza, che aveva espresso l’intendimento di versare la metà a I..
Così ricostruita la vicenda si assume che la Corte abbia interpretato i fatti in maniera discordante dalle risultanze, come era possibile ricavare dalla stessa motivazione ove, da un canto, si conclude per la prova di un accordo intercorso con I., dall’altro si rileva che questi appare indispettito nel corso dei contatti telefonici.
Si assume quindi che la Corte abbia fatto una valutazione parziale e non complessiva delle intercettazioni, intervenute peraltro tra persone diverse dall’odierno ricorrente, fornendo alle loro risultanze un’interpretazione non univoca.
Si lamenta difetto di motivazione sulla sussistenza del ritenuto reato di cui all’art. 319 c.p. osservando che, essendo stato identificato l’interessamento illecito sulla base di una insolita velocità nel rilascio del permesso, non si giustifica la mancata qualificazione dei fatti ai sensi dell’art. 318 c.p., poichè il contenuto del provvedimento emesso è vincolato per legge.
Si rileva anche difetto di motivazione in ordine all’individuazione dell’elemento oggettivo del reato; in particolare si è ritenuto acquisito il dato della particolare celerità della pratica e, malgrado la contestazione sul punto, nella sentenza d’appello non è stato specificato sulla base di quale elemento si fosse giunti a ritenere l’effettività della circostanza; il percorso ricostruttivo risulta incerto, poichè nulla risulta acquisito in giudizio quanto al procedimento amministrativo sfociato nell’emissione del provvedimento, ed appare inspiegabile, sulla base di quanto riferito da un teste in merito agli ordinari tempi di attesa per il rilascio del certificato di cui si tratta. Si osserva inoltre che il diretto interessato, avvertito della circostanza che il documento era pronto, si era rifiutato di pagare un compenso, con ciò evidenziandosi l’assenza dell’accordo corruttivo.
A fronte di tali emergenze si prospetta la possibilità che potesse, a tutto concedersi, dirsi integrato il tentativo del reato contestato.
2. Con il secondo motivo si lamenta violazione di legge e contraddittorietà della motivazione sulla prova dell’elemento psicologico, osservando che nulla è stato dedotto in sentenza sullo specifico punto, essendo state estrapolate conclusioni da parte di una conversazione intercettata, svolta tra persone diverse, non coinvolgente I.. Si rileva sul punto che, nell’interpretazione di una telefonata nella quale era coinvolto I., la sentenza attribuisce a questi una frase, che si assume indicativa della corruzione, che in realtà risulta pronunciata dal suo interlocutore, mentre in relazione ad altra conversazione, è stato travisato il senso di una affermazione riguardante qualcosa che era stato consegnato, desumendo da ciò l’accordo corruttivo, senza argomentare sui motivi a sostegno di tale conclusione.
Il ricorrente ricava conferma del travisamento delle risultanze dalla dichiarazione dello straniero che si assume favorito, che ha limitato ad altra persona la richiesta di denaro; dalle affermazioni del teste P., che ha escluso di aver mai saputo di un coinvolgimento del ricorrente; dalle dichiarazioni di R. che ha escluso di aver mai promesso compensi a I.. Si osserva inoltre che non risultano nè analizzate, nè contrastate le risultanze favorevoli al ricorrente emergenti dall’istruttoria svolta e valorizzate nell’atto d’appello.
3. Con il terzo motivo si rilevano analoghi vizi riguardo la mancata concessione delle attenuanti generiche, ove nella pronuncia è stata esclusa la portata dirimente della mancanza di precedenti, omettendo di indicare quali fattori negativi comunque sconsigliano tale applicazione.
4. La difesa di M.D. rileva con il primo motivo violazione di norme processuali stabilite a pena di nullità, eccependo che illegittimamente fosse stata respinta la richiesta di accertamento della nullità della notifica del decreto di fissazione dell’udienza preliminare e del decreto che dispone il giudizio, atti notificati nel domicilio eletto con l’immissione in cassetta, e senza la raccomandata di avviso, prescritta dalla legge.
5. Con il secondo motivo si contesta contraddittorietà della motivazione, osservando che la partecipazione alla corruzione da parte di M. fosse stata desunta dal possesso di moduli in bianco, della cui natura nulla si conosceva, ed in relazione ai quali non è stato dimostrato che non fosse possibile la detenzione per motivi d’ufficio. L’accusa è fondata sulle dichiarazioni di tale L. che ha affermato di aver venduto moduli per la preparazione dei permessi di soggiorno, ma non è dimostrato che tali fossero i moduli ritrovati nel possesso del ricorrente.
Richiamate le conversazioni intercettate tra R. e M., si rileva che non riguardano passaggi di denaro e nel corso di esse il primo accusava il secondo di essere "a parametro zero", con ciò volendo formulare una critica alla sua mancata partecipazione all’attività illecita che svolgeva; si assume inoltre che del tutto illogicamente le accuse mosse da R. ad altri agenti della polizia non ha avuto seguito, mentre, inspiegabilmente, si erano valorizzate le sue dichiarazioni solo per giungere all’affermazione di responsabilità del ricorrente.
6. A.A.A. propone ricorso personalmente, lamentando illogicità della motivazione ove il giudicante non ha considerato che, a fronte della disponibilità a pagare qualcosa manifestata da uno straniero in attesa di regolarizzazione, l’azione non sarebbe stata svolta in quanto questi aveva già avuto la convocazione in questura, dovendo operare un ricongiungimento familiare. Manca inoltre la prova che l’agente R. si fosse adoperato per annullare gli effetti negativi che una denuncia a carico dello straniero può assumere nella pratica di regolarizzazione.
7. Con il secondo motivo si eccepisce erronea applicazione della legge penale, lamentando mancata qualificazione dei fatti ai sensi dell’art. 346 c.p. non riscontrandosi nell’azione eventualmente a lui ascrivibile gli elementi costitutivi del reato ritenuto, come il compimento di un atto di ufficio che rientri nelle sue competenze e sia contrario ai doveri d’ufficio; si ritiene pertanto erronea la valutazione del primo giudice, che ha respinto la richiesta di riqualificazione dei fatti, nella figura giuridica indicata.
Motivi della decisione
1. L’esame degli atti non consente di valutare presenti elementi che permettano di proscioglimento in fatto degli imputati, in ragione delle circostanze di fatto esposte nella sentenza, che danno conto della presenza di rapporti tra le parti che risultano essersi attivati attraverso canali informali per il riconoscimento di permessi in favore dei cittadini extracomunitari, anche soltanto realizzando un effetto acceleratolo della cognizione delle richieste presentate loro tramite, con procedura extra legem difficilmente giustificabile, circostanza che esclude possibilità di pervenire proscioglimento in fatto degli odierni ricorrenti.
Per altro verso la presenza di eccezioni diritto e di merito non consente di concludere per l’inammissibilità del ricorso; in ragione di ciò non può che prendersi atto della maturazione del termine massimo di prescrizione previsto per il reato contestato, scaduto al più tardi nell’ottobre del 2010, circostanza che impone l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, conseguente all’accertamento di estinzione del reato.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè i reati sono estinti per prescrizione.
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