Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
ORDINANZA
Nel giudizio di legittimità costituzionale del combinato disposto dei commi 2 e 4 dell’art. 26 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi), promosso con ordinanza depositata il 20 aprile 2006 dalla Commissione tributaria provinciale di Napoli, nel giudizio vertente tra la s.p.a. COSIDA di Assicurazioni e Riassicurazioni, in liquidazione coatta amministrativa, e l’Agenzia delle entrate – Ufficio di Napoli 1, iscritta al n. 479 del registro ordinanze 2006 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 45, prima serie speciale, dell’anno 2006.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 7 marzo 2007 il Giudice relatore Franco Gallo.
Ritenuto che, nel corso di un giudizio tributario promosso dal commissario liquidatore di una società di assicurazioni e riassicurazioni in liquidazione coatta amministrativa avverso il silenzio-rifiuto formatosi sulla richiesta di rimborso delle ritenute d’acconto effettuate sugli interessi attivi dei "depositi finanziari" della società negli anni dal 2000 al 2004, la Commissione tributaria provinciale di Napoli, con ordinanza pronunciata il 20 marzo 2006 e depositata il 20 aprile successivo, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 36 e 53 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale del combinato disposto dei commi 2 e 4 dell’art. 26 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi), «nella parte in cui non prevede l’esonero dall’obbligo delle ritenute fiscali sugli interessi maturati nelle procedure concorsuali»;
che, secondo il giudice rimettente, nel caso di liquidazione coatta amministrativa, il commissario liquidatore deve presentare la dichiarazione finale dei redditi in data successiva alla chiusura della procedura e, pertanto, solo dopo la distribuzione finale dell’attivo tra i creditori, come si desumerebbe dal combinato disposto degli artt. 18, commi 3 e 5, del d.P.R. 4 febbraio 1988, n. 42 (Disposizioni correttive e di coordinamento sistematico-formale, di attuazione e transitorie relative al testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917), e 5, comma 4, del d.P.R. 22 luglio 1998, n. 322 (Regolamento recante modalità per la presentazione delle dichiarazioni relative alle imposte sui redditi, all’imposta regionale sulle attività produttive e all’imposta sul valore aggiunto, ai sensi dell’articolo 3, comma 136, della legge 23 dicembre 1996, n. 662);
che, di conseguenza, solo dopo la chiusura della procedura concorsuale sarebbe possibile – sempre ad avviso del rimettente – «la verifica della debenza» dell’IRPEG, da effettuarsi accertando se sussista una differenza positiva tra il residuo attivo risultante dalle operazioni di liquidazione ed il patrimonio netto dell’impresa all’inizio della procedura stessa;
che, aggiunge il giudice a quo, nell’ipotesi in cui tale differenza positiva non sussista e, quindi, non siano dovute né l’IRPEG né – conseguentemente – le ritenute a titolo di acconto dell’imposta già effettuate sugli interessi dei "depositi finanziari" nel corso della procedura concorsuale, tali ritenute non potrebbero essere rimborsate dall’amministrazione finanziaria alla liquidazione coatta amministrativa, ormai chiusa, ed il loro rimborso «non potrebbe giovare ad alcun soggetto, se non al fallito», non essendo prevista dalla legge fallimentare la riapertura della procedura per consentire detto rimborso in favore dei creditori eventualmente rimasti incapienti;
che pertanto, per il giudice a quo, i creditori rimasti incapienti subirebbero un danno ingiustificato, perché la procedura concorsuale sarebbe stata «impropriamente gravata da un onere tributario che non è di competenza della massa dei creditori ma del solo soggetto posto in liquidazione coatta tornato in bonis»;
che da tali premesse la Commissione tributaria provinciale deduce l’illegittimità costituzionale delle disposizioni denunciate, le quali, non prevedendo, in relazione alle suddette ritenute d’acconto, una specifica disposizione derogatoria dell’obbligo di effettuarle durante la pendenza delle procedure concorsuali: a) si pongono «in contrasto con l’intento del legislatore di sollevare la massa creditoria da qualsiasi onere tributario ai fini dell’imposta personale sul reddito, come risulta dalla differenza del regime previsto […] tra IRPEG (poi IRES) ed ILOR (ora ICI: cfr. art. 10, c. 6. DPR n. 504/92)»; b) evidenziano «un’intrinseca contraddittorietà tra la genericità della previsione di cui al 4° comma dell’art. 26 DPR 600/73 e la presenza, nell’ambito dell’ordinamento delle imposte dirette, di una disciplina speciale prevista dagli artt. 125 (poi 183) TUIR per il caso di liquidazione coatta dell’impresa»; c) mostrano «la conseguente palese irragionevolezza della disposizione contenuta nel medesimo art. 26, con conseguente sospetto d’incostituzionalità, oltre che sotto il profilo dell’art. 3 Cost. anche sotto quello degli artt. 54 [recte: 53] e 36»;
che, quanto alla rilevanza della sollevata questione, il giudice a quo si limita ad affermare che l’eventuale dichiarazione di illegittimità costituzionale delle norme denunciate «condurrebbe all’annullamento del rifiuto di rimborso» impugnato, mentre «diversamente troverebbe ragione la tesi dell’Amministrazione Finanziaria»;
che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo dichiararsi inammissibile o, comunque, infondata la questione;
che in particolare, con riferimento agli artt. 36 e 53 Cost., la difesa erariale eccepisce l’inammissibilità della questione, per difetto assoluto di motivazione da parte del giudice rimettente;
che, con riferimento all’art. 53 Cost., l’Avvocatura generale dello Stato afferma che, nel caso in cui fosse possibile superare la suddetta eccezione di carenza di motivazione, la questione dovrebbe dichiararsi manifestamente infondata, perché la Corte costituzionale ha già riconosciuto che l’applicazione dell’art. 26 del d.P.R. n. 600 del 1973 non víola il principio di capacità contributiva, in quanto il presupposto d’imposta, da individuarsi nell’ammontare degli interessi maturati su conto corrente, risulta pienamente realizzato (ordinanza n. 174 del 2001);
che, con riferimento all’art. 3 Cost., la stessa Avvocatura adduce quattro motivi di inammissibilità della questione: in primo luogo, perché questa è prospettata in modo da non renderne agevole la comprensione; in secondo luogo, per difetto di descrizione della fattispecie, avendo il rimettente omesso di precisare se dalla dichiarazione finale dei redditi presentata (o da presentarsi) dal commissario liquidatore deriva un credito od un debito d’imposta per la contribuente; in terzo luogo, per aberratio ictus, non essendo stata denunciata la norma riguardante le modalità ed i termini di presentazione della dichiarazione in caso di procedure concorsuali, cioè l’art. 5, comma 4, del d.P.R. n. 322 del 1998; in quarto luogo – infine – perché il giudice a quo non ha tentato una interpretazione costituzionalmente orientata di tale norma, laddove questa, sulla scorta anche della sentenza della Corte di cassazione n. 10349 del 2003, ben potrebbe interpretarsi nel senso che la dichiarazione finale dei redditi può essere presentata anche prima della formale chiusura della procedura, con diritto per il commissario liquidatore di richiedere il rimborso dell’eventuale credito d’imposta;
che, in prossimità della riunione fissata per la camera di consiglio, la difesa erariale ha depositato una comunicazione dell’Agenzia delle entrate di Napoli 1, datata 13 febbraio 2007, attestante che la parte ricorrente del giudizio principale – la s.p.a. COSIDA di Assicurazioni e Riassicurazioni, in liquidazione coatta amministrativa – «non ha ancora presentato la dichiarazione dei redditi finale di cui all’art. 5, comma 4, del d.P.R. n. 322 /98».
Considerato che la Commissione tributaria provinciale di Napoli dubita, in riferimento agli artt. 3, 36 e 53 della Costituzione, della legittimità del combinato disposto dei commi 2 e 4 dell’art. 26 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi), «nella parte in cui non prevede l’esonero dall’obbligo delle ritenute fiscali sugli interessi maturati nelle procedure concorsuali»;
che, ad avviso del giudice rimettente, la norma denunciata, imponendo all’Ente poste italiane e alle banche l’obbligo di effettuare le ritenute sugli interessi e sui redditi di capitale, a titolo di acconto sull’IRPEG, anche nei confronti dei soggetti sottoposti a procedure concorsuali, compresa la liquidazione coatta amministrativa, comporterebbe che – nel caso in cui la procedura concorsuale si chiuda senza l’integrale soddisfacimento dei creditori e l’IRPEG risulti non dovuta in base alla dichiarazione finale dei redditi, da presentarsi dal commissario liquidatore in data successiva alla chiusura della procedura stessa – dette ritenute non potrebbero mai essere chieste a rimborso dalla liquidazione coatta;
che pertanto, secondo il giudice a quo, la procedura concorsuale, nell’ipotesi da lui prospettata, sarebbe «impropriamente gravata da un onere tributario che non è di competenza della massa dei creditori ma del solo soggetto posto in liquidazione coatta tornato in bonis»;
che per la Commissione tributaria provinciale, dunque, la norma denunciata: a) si pone «in contrasto con l’intento del legislatore di sollevare la massa creditoria da qualsiasi onere tributario ai fini dell’imposta personale sul reddito, come risulta dalla differenza del regime previsto […] tra IRPEG (poi IRES) ed ILOR (ora ICI: cfr. art. 10, c. 6. DPR n. 504/92)»; b) evidenzia «un’intrinseca contraddittorietà tra la genericità della previsione di cui al 4° comma dell’art. 26 DPR 600/73 e la presenza, nell’ambito dell’ordinamento delle imposte dirette, di una disciplina speciale prevista dagli artt. 125 (poi 183) TUIR per il caso di liquidazione coatta dell’impresa»; c) mostra, altresí, «la conseguente palese irragionevolezza della disposizione contenuta nel medesimo art. 26, con conseguente sospetto d’incostituzionalità, oltre che sotto il profilo dell’art. 3 Cost. anche sotto quello degli artt. 54 [recte: 53] e 36»;
che la questione è manifestamente inammissibile sotto due diversi e concorrenti profili;
che, in primo luogo, in riferimento a tutti i parametri evocati, il rimettente, pur affermando che «la verifica della debenza» dell’IRPEG (e, quindi, della sussistenza del diritto al rimborso delle ritenute effettuate ai sensi della norma denunciata) può effettuarsi solo in base alla dichiarazione finale dei redditi prevista dall’art. 5, comma 4, del d.P.R. 22 luglio 1998, n. 322, ha tuttavia omesso di precisare se da tale dichiarazione finale risulti o no il credito di imposta chiesto a rimborso nel giudizio principale;
che, pertanto, tale carenza di descrizione della fattispecie si risolve nel difetto di motivazione sulla rilevanza, rendendo la questione meramente ipotetica;
che, in secondo luogo, il giudice a quo, in ordine alla affermata non manifesta infondatezza della questione, non ha fornito alcuna motivazione con riferimento ai parametri di cui agli artt. 36 e 53 Cost. e ne ha fornita una oscura con riferimento al parametro di cui all’art. 3 Cost.;
che la rilevata manifesta inammissibilità della questione deve essere dichiarata da questa Corte prescindendo dalla pur evidente erroneità delle premesse interpretative da cui muove il rimettente, il quale: a) confonde tra fallimento (chiuso il quale, il fallito può tornare in bonis) e liquidazione coatta amministrativa (chiusa la quale, a séguito del riparto finale di cui all’art. 213 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, si estingue l’ente ad essa sottoposto e non è prevista alcuna ipotesi di riapertura della procedura); b) non tiene conto che il termine previsto per la presentazione della dichiarazione finale dei redditi delle procedure concorsuali, in quanto costituisce un termine massimo («entro l’ultimo giorno del decimo mese successivo a quello […] della chiusura del fallimento e della liquidazione», come stabilito dall’art. 5, comma 4, primo periodo, del d.P.R. n. 322 del 1998), deve considerarsi rispettato anche quando la dichiarazione sia presentata prima della formale chiusura della procedura, purché questa possa ritenersi sostanzialmente chiusa e sussista un oggettivo interesse della massa dei creditori (come affermato dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 10349 del 2003); c) trascura di considerare che, per diritto vivente, l’ente sottoposto a liquidazione coatta amministrativa – nel caso in cui, dal conto di gestione e dal bilancio finale, le imposte sui redditi d’impresa risultino non dovute o dovute per un ammontare inferiore a quello delle ritenute d’acconto – ha diritto al rimborso totale o parziale delle ritenute d’acconto (Corte di cassazione, sentenze n. 12433 del 2004 e n. 13154 del 1995, quest’ultima emessa proprio nei confronti della s.p.a. COSIDA di Assicurazioni e Riassicurazioni, in liquidazione coatta amministrativa, ricorrente nel giudizio a quo).
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale del combinato disposto dei commi 2 e 4 dell’art. 26 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 36 e 53 della Costituzione, dalla Commissione tributaria provinciale di Napoli, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
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