Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 31-05-2011) 28-09-2011, n. 35107

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Con sentenza deliberata il 9 giugno 2010, la Corte di Appello di Lecce ha confermato quella del Tribunale della sede, deliberata il 10 novembre 2008, che aveva condannato alla pena di anni uno e mesi sei di reclusione, L.A., sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno nel comune di residenza, siccome colpevole del reato ascrittogli ( L. n. 1423 del 1956, art. 9, comma 2), per aver violato le prescrizioni impostegli con il decreto applicativo della misura, e segnatamente quella, prevista al punto 6, "di non rincasare la sera presso la sua abitazione più tardi delle ore 18" senza comprovata necessità e comunque senza averne dato tempestiva notizia all’autorità locale di P.S., in particolare non facendosi trovare presso la propria abitazione in (OMISSIS) alle ore 02,20. 1.1 – La Corte territoriale, Infatti, per quanto ancora specificamente rileva nel presente giudizio di legittimità, riteneva non fondata la tesi difensiva, già disattesa dal giudice di prime cure, secondo cui difettavano nel caso in esame gli elementi costitutivi del reato contestato, ed in particolare di quello soggettivo, a ragione della circostanza che il sorvegliato, sin dal 13 ottobre 2007, aveva comunicato il cambio di domicilio (in (OMISSIS)) all’autorità di polizia. I giudici di appello, in particolare, confermavano la valutazione espressa dal giudice di primo grado, secondo cui alla comunicazione del sorvegliato in data 13 ottobre 2007, così come formulata – "in data odierna domicilierà in (OMISSIS)" – non poteva attribuirsi il significato di comunicazione di un cambio definitivo di residenza, dovendo intendersi la stessa, invece, come una comunicazione di un trasferimento temporaneo (per un solo giorno) del sorvegliato, in una diversa abitazione.

A conferma della esattezza di una siffatta interpretazione, da parte dei giudici di appello si faceva rilevare che allorquando il L., in una successiva comunicazione (in data 26 febbraio 2008), aveva voluto indicare il proprio trasferimento in via permanente in altro indirizzo, aveva usato la "proposizione dal";

circostanza questa sintomatica di una "padronanza della lingua italiana". 2. – Avverso l’indicata sentenza ha proposto ricorso per cassazione il L., per il tramite del suo difensore, deducendone l’illegittimità per vizio di motivazione, con riferimento all’affermazione di penale responsabilità dell’imputato.

Più specificamente da parte del ricorrente si reputa illogica la motivazione della sentenza impugnata laddove ha escluso la sussistenza di una tempestiva comunicazione di un definitivo cambio di residenza a ragione di una asserita "padronanza" della lingua italiana, ritenendo la stessa frutto di un sostanziale travisamento del fatti, nel senso che, se pure nella redazione della comunicazione del 13 febbraio 2007 fu commesso un errore materiale, lo stesso era comunque da attribuirsi al personale della Questura di Brindisi che raccolse la comunicazione del L. e non già a quest’ultimo, apparendo significativo che il controllo eseguito il (OMISSIS) fu l’ultimo eseguito al vecchio indirizzo del sorvegliato.

Motivi della decisione

1. – L’impugnazione proposta nell’interesse del L. è fondata e merita accoglimento.

Al riguardo non è superfluo rammentare, preliminarmente, che secondo l’ormai consolidato orientamento di questa Corte (in termini, ex multis, Cass., sez. 1, sentenza n. 31456 del 21 maggio 2008 dep. il 29 luglio 2008, imp. Franzoni), il giudice deve ritenere intervenuto l’accertamento di responsabilità dell’imputato "al di là di ogni ragionevole dubbio", che ne legittima ai sensi dell’art. 533 c.p.p., comma 1, la condanna, quando il dato probatorio acquisito lascia fuori soltanto eventualità remote, pur astrattamente formulabili e prospettabili come possibili in rerum natura, ma la cui effettiva realizzazione, nella fattispecie concreta, risulti priva del benchè minimo riscontro nelle emergenze processuali, ponendosi al di fuori dell’ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana.

In particolare, l’introduzione della regola "dell’ai di là di ogni ragionevole dubbio", come a ragione evidenziato anche da autorevole dottrina, impone al giudice un "metodo dialettico" di verifica dell’ipotesi accusatoria secondo il criterio del "dubbio": in buona sostanza la verifica dell’ipotesi di accusa da parte del giudice deve essere effettuata in maniera da scongiurare che possano sussistere dubbi Interni (l’autocontraddittorietà o la sua incapacità esplicativa) o esterni alla stessa (l’esistenza di un’Ipotesi alternativa dotata di razionalità e plausibilità pratica).

Ciò premesso, riconoscendo lo stesso giudice di merito che il sorvegliato speciale, alcuni giorni prima del controllo effettuato dall’autorità di polizia il 15 ottobre 2007, aveva effettivamente comunicato alla stessa "il trasferimento del proprio domicilio", è agevole rilevare come l’assunto dei giudici di appello secondo cui la predetta comunicazione concerneva, inequivocamente, un trasferimento temporaneo presso altro indirizzo con validità di un solo giorno, si basa su argomentazioni che si rivelano in effetti, come denunciato in ricorso, assolutamente incongrue, sia perchè nel valorizzare II tenore letterale del documento in questione, nessuna valida obiezione viene opposta alla tesi difensiva secondo cui la materiale redazione della comunicazione sarebbe da attribuirsi, in realtà, al personale della Questura di Brindisi che la raccolse, sia soprattutto perchè, riconosce al sorvegliato speciale una "padronanza della lingua italiana", che risulta desunta, con argomentazioni invero illogiche o comunque di dubbia plausibilità, dalla utilizzazione della "preposizione" (e non già "proposizione" come pure erroneamente si legge nella sentenza impugnata) "dal", in una comunicazione redatta il 26 febbraio 2006, successivamente alla contestazione della violazione di cui è processo, e che è verosimile quindi ritenere che il L. abbia redatto con particolare accuratezza, onde scongiurare qualsiasi equivoco che potesse comportare nuove denunzie di violazione delle prescrizioni impostegli in sede di applicazione della misura di prevenzione.

2. – In presenza di un percorso motivazionale che si rivela irreversibilmente carente ed incongruo nella valutazione delle risultanze processuali, con specifico riferimento alla ritenuta esistenza dell’elemento psicologico del reato contestato in termini di assoluta certezza, s’impone allora l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, perchè il fatto non costituisce reato.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè il fatto non costituisce reato.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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