Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Fatto
La s.n.c. Greda, conduttrice di immobile (capannone industriale in Mariano Comense), adì il pretore di Como – sezione distaccata di Cantù – per ottenere la condanna della locatrice, s.a.s. Industria laterizi S? C?, all’asporto delle addizioni separabili (impianto elettrico; locale ad uso ufficio) ed al pagamento di indennità per le addizioni non separabili sull’assunto che aveva eseguito le une e le altre all’inizio della locazione con il consenso della locatrice e questa si era opposta all’asporto.
La società convenuta resistette, specificamente negando di avere prestato il consenso e contestando che le opere si potessero qualificare addizioni o miglioramenti anche in relazione alla loro difformità dalla normativa.
Il pretore accolse la domanda, condannando la locatrice al pagamento di L. 35.848.937 con gli interessi legali per le addizioni non asportabili ed ordinandole di mettere la conduttrice in condizione di asportare l’impianto elettrico.
Su gravame della locatrice il tribunale di Como, con sentenza resa l’8.6.2001, dispose la rimozione di tutte le addizioni e compensò le spese di entrambi i gradi del giudizio.
Distinse le addizioni a seconda che fossero rimovibili senza nocumento della cosa locata o con nocumento di essa; con riferimento alle prime confermò la sentenza impugnata, considerando che era pacifico che la locatrice non aveva manifestato la volontà di ritenerle; quanto alle seconde, ricordato che Cass. 26.2.1960, n. 348, "ha statuito che se è vero che il conduttore ha diritto di asportare le addizioni che costituiscono un miglioramento solo se ciò possa avvenire senza danno, quando invece è il locatore che chiede la rimozione questa deve essere ordinata anche se le addizioni non sono separabili senza nocumento", ritenne che nella specie non potesse farsi questione di rimovibilità con o senza nocumento "a fronte di una manifestata volontà del locatore, già espressa in primo grado e reiterata in sede di appello, di non opposizione alla pretesa avversaria alla rimozione".
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per Cassazione la s.n.c. Greda sulla base di sette motivi; l’intimata ha resistito con controricorso sostenuto con memoria.
Diritto
1. Il controricorso è inammissibile perchè proposto oltre il termine previsto dall’art. 370 c.p.c. (il ricorso risulta notificato il 13.9.2002 ed il controricorso il 24.9.2002); bisogna dare, tuttavia, atto che l’intimata ha svolto all’udienza difese orali.
2. Precede per ragioni di ordine logico l’esame del sesto e del settimo motivo.
3. Con il primo di tali motivi si denuncia la nullità della sentenza impugnata a norma dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, sostenendosi che i giudici di appello non hanno pronunciato sulla domanda – proposta in secondo grado – volta ad accertare se le addizioni fossero separabili con o senza nocumento della cosa locata.
3.1. Il motivo non può essere accolto alla luce della giurisprudenza, che si condivide, secondo la quale la domanda nuova in appello (come quella "de qua") è inammissibile e nessun obbligo ha il giudice di pronunciare su di essa, sicchè non incorre in alcun vizio, se non pronuncia (ex plurimis Cass. 14.2.2001, n. 2080).
4. Con il settimo motivo si denuncia la nullità della sentenza impugnata per avere riportato conclusioni diverse da quelle prese e particolarmente per avere ritenuto che la conduttrice abbia chiesto l’accertamento dell’asportabilità delle addizioni senza nocumento della cosa locata che essa in realtà non ha chiesto, omettendo di esaminare le conclusioni che ha formulato.
4.1. Neppure questo motivo può essere accolto.
4.2. Per giurisprudenza di questa Corte la mancata trascrizione delle conclusioni delle parti ed, a maggior ragione, l’erronea trascrizione di esse non costituiscono motivo di nullità della sentenza, se l’omessa o erronea trascrizione non si sia risolta in un difetto di pronuncia o di esame di punti decisivi (ex plurimis Cass. S.U. 14.12.1999, n. 898; Cass. 12, 9.2000, n. 12036) e nella specie non vengono indicate in modo sufficientemente chiaro, come avrebbero dovuto ai fini della specificità della doglianza, le conclusioni che non sarebbero state esaminate.
5. Passando, quindi, all’esame del primo motivo, va rilevato che con esso si lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 1592 e 1593 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3; il conduttore il quale esegua con il consenso del locatore opere sulla cosa locata – si sostiene – ha diritto ad un?indennità corrispondente alla minore somma tra speso e migliorato, se le opere inducono miglioramento, mentre, se costituiscono addizioni, ha il diritto di asportarle, sempre che possa farlo senza nocumento della cosa ed il locatore non preferisca ritenerle, ed, in caso contrario, di pretendere l’indennità per i miglioramenti; i giudici di appello non hanno considerato che nella specie la locatrice ha prestato espressamente il consenso all’esecuzione delle opere e, come accertato dal c.t.u., le medesime costituiscono addizioni non facilmente separabili; come diretta conseguenza di ciò hanno negato alla conduttrice il diritto all’indennità.
6. Con il secondo motivo si deduce la violazione delle medesime norme sotto altro profilo; l’obbligo del conduttore di restituire la cosa locata nello stato in cui l’ha ricevuta postula che il locatore non abbia prestato il consenso alle opere, sicchè l’art. 1590 c.c. è applicabile solo se il consenso manchi; la sentenza richiamata dai giudici di appello (Cass. 26.2.1960, n. 348) si riferisce all’ipotesi in cui il locatore ha manifestato la volontà che le addizioni siano rimosse e questa ipotesi non ricorre nella specie.
7. I motivi, da esaminare congiuntamente perchè pongono la medesima questione, sono fondati e vanno accolti.
7.1. Va rilevato in proposito che il conduttore può eseguire addizioni ossia opere che producono l’aggiungersi di un nuovo bene a quello locato o un aumento quantitativo di esso, rientrando ciò nel suo diritto di godimento, per cui nel corso del rapporto il locatore non ha alcuna pretesa da fare valere, salvo che le addizioni non siano dannose o pericolose per il bene locato.
Alla cessazione della locazione ed anche successivamente (Cass. 16.11.2000, n. 14871) il conduttore può asportare (ius tollendi) le addizioni che siano separabili senza nocumento della cosa locata, a meno che il proprietario non manifesti la volontà di ritenerle, prevalendo tale volontà sul potere del conduttore.
La giurisprudenza ha interpretato il termine "proprietario" adoperato dall’art. 1593 c.c. in senso strettamente letterale, negando lo "ius retinendi" al locatore che non sia anche proprietario; la dottrina è diversamente orientata ed osserva che il consenso richiesto è quello del locatore, sia o non proprietario, e che l’art. 1593 c.c., richiama il precedente art. 1592 c.c., con riferimento all’intera fattispecie contemplata.
Per evitare che una precoce asportazione delle addizioni possa frustrare lo "ius retinendi" la giurisprudenza ha individuato un obbligo di preavviso nei confronti del conduttore (Cass. 11.2.1972, n. 395), alla cui violazione si collega una responsabilità risarcitoria.
7.2. Al diritto del conduttore di asportare le addizioni separabili senza nocumento della cosa locata corrisponde il diritto del locatore di pretendere la rimozione senza che possa essergli opposto che egli ha prestato il consenso all’esecuzione delle addizioni in costanza di rapporto (Cass. 19.6.1971, n. 1891).
Così pure è legittimo il rifiuto del locatore ai sensi degli artt. 1176 e 1218 c.c., di accettare la restituzione della cosa locata fino a quando il conduttore non l’abbia rimessa in pristino stato, rendendosi inadempiente all’obbligazione di cui all’art. 1590 c.c. (Cass. 30.8.1995, n. 9207).
7.3. Nel caso in cui le addizioni non sono separabili senza nocumento della cosa locata si pone la questione se il locatore ne possa pretendere la rimozione in ogni caso, anche quando costituiscano un miglioramento della cosa locata ed il locatore abbia consentito alla loro esecuzione.
I giudici di appello hanno dato risposta positiva, dichiarando di volersi adeguare alla sentenza di questa Corte 26.2.1960, n. 348, secondo la quale, ove la chieda il locatore, la rimozione delle addizioni deve avvenire sempre e comunque a prescindere dalla loro separabilità senza nocumento.
Senonchè, questa Corte ha successivamente affermato il principio che nell’ipotesi in cui le addizioni non siano separabili senza danno per la cosa locata e costituiscano inoltre un miglioramento di essa, secondo quanto stabilito dall’art. 1592 c.c. richiamato dall’art. 1593 c.c., rileva il consenso del locatore all’esecuzione delle addizioni (Cass. 19.6.1971, n. 1891); principio che va esplicitato nel senso che in questa ipotesi il locatore non può pretendere la rimozione delle addizioni ed è tenuto al pagamento di un?indennità pari alla minore somma tra speso e migliorato.
Nei medesimi termini è la più qualificata dottrina.
7.4. A questo secondo indirizzo presta adesione il Collegio; afferma, pertanto, che, se il locatore ha prestato il consenso alle addizioni e queste, non separabili senza nocumento della cosa locata, costituiscano miglioramento e, cioè, comportino incremento di valore della cosa stessa, il locatore non può pretenderne la rimozione ed il conduttore ha diritto all’indennità prevista dall’art. 1592 c.c., mentre a nessuna indennità il conduttore ha diritto nell’ipotesi di mancanza di consenso, a nulla rilevando che il locatore acquisisca le addizioni.
7.5. Ove, invece, le addizioni comportino deterioramento della cosa locata, il locatore può chiedere il risarcimento del danno in forma specifica mediante l’eliminazione da parte del conduttore delle opere da lui abusivamente eseguite (Cass. 7.5.1988, n. 3386).
7.6. ÿ opportuno precisare che il consenso non si può desumere da un comportamento di mera tolleranza, ma deve concretarsi in una chiara ed inequivoca manifestazione di volontà volta ad approvare le addizioni; non basta, perciò, la sola scienza o la mancata opposizione del locatore, mentre è sufficiente una manifestazione tacita mediante fatti concludenti ed un contegno incompatibile con un proposito contrario (Cass. 12.4.1996, n. 3435; Cass. 26.11.1997, n. 11878; Cass. 24.6.1997, n. 5637).
8. Ai principi sopra indicati non si è attenuta la sentenza impugnata, la quale va, pertanto, cassata con rinvio per nuovo esame e pronuncia sulle spese del giudizio di Cassazione alla Corte di appello di Milano.
9. I motivi tre, quattro, cinque rimangono assorbiti.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo ed il secondo motivo; dichiara assorbito il terzo, quarto e quinto motivo; rigetta il sesto ed il settimo motivo; cassa in relazione la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di Cassazione, alla corte di appello di Milano.
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