Cass. civ. Sez. III, Sent., 02-03-2012, n. 3248 Adempimento Mora

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto 15 luglio 1994 A.S., A.L., M.F., A.A., A.G. e A.C. hanno convenuto in giudizio, innanzi al tribunale di Reggio Calabria, P.G. e P.P..

Premesso che con sentenza 30 giugno 1989 del tribunale di Reggio Calabria – confermata in appello nonchè dalla Corte di Cassazione con sentenza 21 maggio 1993 n. 5777 – i convenuti erano stati ammessi al riscatto del fondo acquistato nel 1969 da A.L., A.S. e A.D., dante causa di M. F., A.A., A.G. e A. C., previo versamento del prezzo da parte dei riscattanti nel termine di mesi tre dal passaggio in giudicato della sentenza, ma che tale versamento era – in realtà – mancato, gli attori hanno chiesto fosse dichiarata la decadenza dei convenuti dal relativo diritto.

Hanno esposto, al riguardo, gli attori che P.G. il 28 e 31 luglio 1993 aveva fatto offerta reale della somma di L. 10.500.000 da lui ritenuta corrispondente al prezzo di riscatto e accessori. A tale offerta, rifiutata dai destinatari, aveva fatto seguito il deposito della somma, in data 12 agosto 1993, da parte dell’Ufficiale giudiziario della pretura di Melito P.S. mediante apertura di un libretto di risparmio al portatore presso l’agenzia del Monte dei Paschi di Siena di Melito P.S., intestato agli eredi di A.D..

Tale deposito – hanno precisato gli attori – era irrituale e privo di effetti liberatori, sia perchè effettuato nei confronti di alcuni soltanto dei creditori (non essendo stato intestato il libretto anche a A.L. e S.), sia perchè il libretto, al portatore, era di fatto rimasto nelle mani dello stesso P. che ne aveva conservato la disponibilità, con conseguente nullità e inefficacia di un tale deposito.

Costituitosi in giudizio unicamente P.G. lo stesso ha resistito alle avverse domande deducendone la infondatezza e chiedendo, in via principale, il rigetto delle stesse, in via riconvenzionale, che fosse accertata la validità e efficacia dell’offerta reale effettuata e del successivo deposito della somma, con condanna degli attori alle spese e al risarcimento dei danni per lite temeraria.

Nelle more di tale giudizio con citazione 15 dicembre 1994 M. F., A.A., A.G., A. C. hanno proposto opposizione, avverso il precetto, loro intimato da P.G., in forza della sentenza 30 giugno 1989 per il rilascio della quota indivisa di un quarto del fondo oggetto di riscatto.

Hanno invocato gli attori, a fondamento della proposta opposizione, la inefficacia – per i motivi già esposti nel precedente giudizio – del deposito del prezzo dovuto e la conseguente decadenza dal diritto di riscatto, eccependo, altresì, la non eseguibilità del richiesto rilascio in quanto riferito a una quota indivisa del fondo.

Riuniti i giudizi e costituitisi in giudizio gli eredi di P. G., l’adito tribunale con sentenza 8 febbraio 2002 ha rigettato le domande degli attori nei confronti di P. P., convalidato la offerta reale su istanza di P. G., rigettato la domanda di inefficacia e nullità del riscatto, proposta dagli attori, dichiarato irregolare il deposito non convalidandolo, accolto la opposizione alla esecuzione, dichiarando ineseguibile il rilascio del bene, compensate tra le parti, le spese del giudizio.

Gravata tale pronunzia in via principale dagli eredi di P. G. ( P.F. e P.C., quest’ultimo anche in qualità di tutore di P.A.), in via incidentale da A.S., A.L., M. F., A.A., A.G. e A. C., la Corte di appello di Reggio Calabria, con sentenza 17 settembre 2009, rigettato l’appello principale ha accolto l’appello incidentale e, per l’effetto, in parziale riforma della sentenza del primo giudice, ha, da un lato, dichiarato inammissibile la domanda di convalida dell’offerta reale, disgiunta dalla convalida, rettamente già negata del susseguente deposito del danaro che ne costituiva oggetto, dall’altro, dichiarato P.F., P. C. e P.A., quali eredi di P.G., decaduti dal diritto di riscatto esercitato dal loro dante causa in relazione al fondo oggetto di controversia, confermando nel resto la sentenza impugnata.

Per la cassazione di tale ultima pronunzia, notificata il 9 dicembre 2009, hanno proposto ricorso, affidato a 5 motivi, P.F. e P.C. in proprio e quale tutore di P. A., con atto 18 dicembre 2009, illustrato da memoria.

Resistono con controricorso A.S., A.L., M.F., A.A., A.G. e A.C..

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo i ricorrenti censurano la sentenza impugnata denunziando la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 166 e 333 c.p.c. e art. 343 c.p.c., comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non avere dichiarato la inammissibilità dell’appello incidentale avversario proposto con la comparsa di costituzione depositata all’udienza di comparizione, fissata per il 22 gennaio 2003 e, quindi, successivamente al decorso dei termini di decadenza ex art. 166 cod. proc. civ., atteso che ai sensi dell’art. 347 cod. proc. civ., l’appellato può proporre appello incidentale con la comparsa di costituzione che deve essere depositata almeno venti giorni prima della udienza di comparizione indicata nell’atto di appello.

2. Il motivo non può trovare accoglimento.

A prescindere dal considerare che essendo stata denunziata la violazione di una norma del processo il motivo doveva essere dedotto sotto il profilo di cui all’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 4 (nullità della sentenza o del procedimento) e non sub art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 3 (violazione o falsa applicazione di norme di diritto) lo stesso non può – comunque – trovare accoglimento tenuto presente che ai fini della disciplina transitoria dettata dalla L. 26 novembre 1990, n. 353, art. 90 (secondo la quale ai "giudizi pendenti" alla data del 30 aprile 1995 si applicano le disposizioni vigenti anteriormente a tale data), per stabilire se alle cause in corso a detta data trovi applicazione tale disposizione o il nuovo regime processuale introdotto dalla stessa legge, si deve far riferimento alla data di introduzione del giudizio di merito, solitamente coincidente con quella di notificazione della citazione davanti al giudice di primo grado.

Deriva da quanto precede, pertanto, che, in una controversia iniziata, in primo grado, anteriormente al 30 aprile 1995, l’appello incidentale si propone secondo la disciplina di cui all’art. 343 cod. proc. civ., comma 1, nella formulazione previgente e cioè nella prima comparsa o, in mancanza di costituzione in cancelleria, nella prima udienza o in quella prevista negli artt. 331 e 332 cod. proc. civ. (in termini, ad esempio, Cass. 18 febbraio 2011, n. 4005; Cass. 16 maggio 2007, n. 11301; Cass. 9 settembre 2003, n. 13147).

Pacifico quanto precede, non controverso che nella specie il presente giudizio è stato promosso, in primo grado, con atto notificato il 15 luglio 1994 (e, quindi, anteriormente al 30 aprile 1995) è palese la ritualità dell’appello incidentale proposto dagli A. mediante comparsa di costituzione depositata alla udienza di comparizione.

Palesemente irrilevante al fine del decidere – e di pervenire a una diversa soluzione della lite – è, al riguardo, quanto si invoca da parte dei ricorrenti nella memoria di cui all’art. 378 cod. proc. civ..

Recita l’art. 302 cod. proc. civ., che nei casi previsti negli articoli precedenti e, quindi, anche, nella eventualità di morte o perdita della capacità della parte costituita, a norma dell’art. 300 cod. proc. civ. la costituzione per proseguire il processo può avvenire …

E’ di palmare evidenza, pertanto, che in caso di decesso di una delle parti originarie del processo e di costituzione in questo dei suoi aventi causa – in termini opposti rispetto a quanto si invoca nella sopra richiamata memoria – non si instaura un nuovo rapporto processuale, ulteriore e distinto, rispetto al precedente ma è quest’ultimo che prosegue.

Con l’ulteriore conseguenza, pertanto, che a norma della L. 26 novembre 1990, n. 353, art. 90, il presente giudizio – instaurato in primo grado in epoca anteriore al 30 aprile 1995 – è soggetto, come anticipato sopra, alle disposizioni vigenti anteriormente alla detta data del 30 aprile 1995 ancorchè successivamente a questa, a seguito della morte di una delle parti in causa, il rapporto processuale sia stato proseguito dagli eredi di queste.

3. Quanto al merito della controversia i giudici di appello – accertato, in linea di fatto, come assolutamente non controverso, che i P., fatta offerta reale della somma di L. 10.500.000, rifiutata dai creditori, avevano fatto seguire il deposito della somma, da parte dell’Ufficiale giudiziario, mediante apertura di un libretto a risparmio al portatore presso una agenzia bancaria intestato agli eredi di A.D., libretto rimasto nelle mani degli stessi P., che ne avevano conservato la disponibilità – hanno:

– da un lato, ritenuto la irritualità e inefficacia del deposito delle somme, atteso che la materiale e giuridica disponibilità delle somme è passata dal depositario (istituto di credito) allo stesso debitore, realizzando tale passaggio un vero e proprio ritiro del deposito, ai sensi dell’art. 1213 cod. civ.;

– dall’altro, dichiarato i P. decaduti dall’azionato riscatto, per non essersi avverata la condizione sospensiva del versamento del prezzo di acquisto entro i termini indicati dalla L. n. 590 del 1965, art. 8, atteso che perchè si verifichi la predetta condizione, in ipotesi di rifiuto da parte del creditore di accettare il pagamento del prezzo dovuto, è necessario che il retraente effettui il deposito liberatorio della relativa somma, ai sensi dell’art. 1210 cod. civ., effetto liberatorio che consegue alla accettazione dell’offerta reale, ovvero, in caso di mancata accettazione, alla accettazione della somma depositata o, in difetto, all’accertata validità del deposito (deposito nella specie invalido).

4. Con il secondo motivo i ricorrenti denunziano la sentenza impugnata nella parte de qua lamentando violazione e falsa, applicazione degli artt. 1208, 1209 c.c., art. 73 disp. att. c.c., comma 1, artt. 74 e 75 disp, att. c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, atteso che l’offerta reale dei P. è stata ritualmente eseguita, come correttamente ritenuto dal giudice di prime cure e correttamente convalidata (da questi) ma la Corte ha dichiarato inammissibile la domanda di convalida di offerta reale, errando non solamente nel non convalidare l’offerta reale correttamente eseguita ma facendone derivare la caducazione del deposito ritenuto invalido, senza considerare che la validità dell’offerta non discende dalla validità del deposito che è solo eventuale e successivo al rifiuto dell’offerta reale, rendendo una pronunzia di inammissibilità della convalida della offerta reale, censurabile perchè in accoglimento di un appello incidentale inammissibile.

5. Il motivo, per più profili inammissibile e per altri manifestamente infondato, non può trovare accoglimento.

Alla luce delle considerazioni che seguono.

5.1. Giusta quanto assolutamente pacifico, presso una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte, da cui totalmente – e senza alcuna motivazione – prescinde la difesa dei ricorrenti si osserva che il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, delimitato e vincolato dai motivi di ricorso.

Il singolo motivo, sia prima della riforma introdotta con il D.Lgs. n. 40 del 2006, sia successivamente, assume una funzione identificativa condizionata dalla sua formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative di censura formalizzate con una limitata elasticità dal legislatore.

La tassatività e la specificità del motivo di censura esigono, quindi, una precisa formulazione, di modo che il vizio denunciato rientri nelle categorie logiche di censura enucleate dal codice di rito (Cass. 3 luglio 2008, n. 18202).

Certo quanto sopra, certo che – giusta la testuale previsione di cui all’art. 360 cod. proc. civ., comma 1 – "le sentenze pronunciate in grado di appello o in unico grado possono essere impugnate con ricorso per cassazione" esclusivamente sotto uno dei profili tassativamente indicati nello stesso comma 1 dell’articolo, è evidente che è onere del ricorrente indicare, chiaramente, e senza possibilità di equivoci, per ogni motivo, sotto quale profilo del ricordato art. 360 cod. proc. civ. è proposta la censura.

Nè è consentito al ricorrente rimettere al giudice adito – che ex art. 111 Cost., comma 2, non può che essere "terzo" e "imparziale" – la "scelta" del motivo con cui si intende censurare la sentenza impugnata.

Atteso quanto sopra, tenuto presente che con il secondo motivo si lamenta la violazione degli artt. 1208, 1209 cod. civ. e art. 73 disp. att. c.c., comma 1, artt. 74 e 75 disp. att. c.c., dice genericamente "in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., comma 1" e, quindi, senza precisare se si intende censurare la sentenza "per motivi attinenti alla giurisdizione" (art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 1), o "per violazione delle norme sulla competenza" (art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 2) o, ancora, "per violazione o falsa applicazione di norme di diritto" (art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 3) o, piuttosto "per nullità della sentenza o del procedimento", per violazione delle norme che regolano il procedimento (art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 4) o, infine, per "omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione" (art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 5), è evidente – in limine – la inammissibilità della censura.

5.2. Sempre in margine al motivo ora in esame, è opportuno sottolineare:

– da un lato, che, come pacifico a seguito del rigetto del primo motivo di ricorso, l’appello incidentale degli A. era tempestivo e, quindi, correttamente lo stesso è stato esaminato dai giudici di secondo grado;

– dall’altro, che ancorchè si affermi – specie nella parte finale del motivo – che i giudici di secondo grado sarebbero incorsi in un error in procedendo non si rinviene nè nella rubrica del motivo, nè nella parte motiva dello stesso, alcuna censura riguardante lo svolgimento del giudizio, la nullità di singoli atti o della sentenza che lo ha concluso.

5.3. Anche a prescindere dai rilevati profili di inammissibilità, per completezza di esposizione si osserva che la censura in esame è – comunque – manifestamente infondata, là ove invoca che la eventuale invalidità del deposito della somma offerta (per il pagamento del corrispettivo dovuto in esecuzione della sentenza che ha accolto la domanda di riscatto agrario) è irrilevante, qualora sia stata eseguita correttamente la offerta reale.

La giurisprudenza di questa Corte regolatrice – infatti – è da lustri, assolutamente pacifica nell’affermare che ai fini della tempestività del pagamento del prezzo nel riscatto agrario occorre che si avveri la condizione sospensiva del versamento del prezzo di acquisto che, secondo quanto previsto dalla L. n. 2 del 1979, va effettuato nei termini indicati dalla L. n. 590 del 1965, art. 8, per la prelazione, decorrenti dall’adesione del terzo acquirente alla dichiarazione di riscatto oppure, ove sorga contestazione, dal passaggio in giudicato della sentenza che riconosce il diritto.

Perchè si verifichi la predetta condizione sospensiva, nell’ipotesi di rifiuto, ancorchè pretestuoso da parte del creditore di accettare l’indicato pagamento, è necessario – in difetto di norme specifiche sul punto – che il retraente effettui, secondo le generali disposizioni civilistiche sulle obbligazioni, il deposito liberatorio della relativa somma, ai sensi dell’art. 1210 cod. civ., dovendo, invece, escludersi una equipollenza tra versamento del prezzo ed offerta non formale di esso dal momento che l’art. 1220 cod. civ. ricollega alla seria e tempestiva offerta non formale della prestazione il solo venir meno della mora debendi, mentre la liberazione del debitore, solo evento equivalente al versamento del prezzo, consegue all’accettazione reale ovvero – in caso di mancata accettazione – all’accettazione della somma depositata o, in difetto, all’accertata validità del deposito della offerta (art. 1210 cod. civ.) (Cass. 6 dicembre 2005, n. (26688; Cass. 17 ottobre 2003 n. 15547).

Non controverso quanto precede, pacifico che la sentenza impugnata ha fatto puntuale applicazione del riferito principio – evidenziando la necessità che alla offerta reale doveva fare seguito, perchè potesse ritenersi avverata la condizione sospensiva di cui alla L. n. 590 del 1965, art. 8 – un rituale deposito della somma (secondo lo schema di cui all’art. 1212 cod. civ. e art. 74 disp. att. cod. civ., e segg.) è palese, come anticipato, che il secondo motivo non possa trovare accoglimento.

6. Con il terzo e quarto motivo i ricorrenti censurano la sentenza impugnata denunziando:

– da un lato, contraddittorietà, violazione e falsa applicazione degli artt. 1834 e 1210 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1: insufficiente e contraddittoria motivazione ex art. 360 n. 5, atteso che la consegna del libretto al debitore è un obbligo previsto dalla legge, prevedendo, del resto, l’art. 1210 cod. civ., che il possesso della cosa fino al passaggio in giudicato della sentenza rimane al debitore (terzo motivo);

– dall’altro, contraddittorietà, violazione e falsa applicazione di norme di legge con riferimento agli artt. 1835 e 1836 c.c., L. n. 590 del 1965, art. 8, in relazione all’art. 60 c.p.c., comma 1;

insufficiente e contraddittoria motivazione ex art. 360, n. 5, atteso che stante la normativa che disciplina i libretti di deposito (al portatore) i reali titolari dei libretti erano e sono rimasti gli A., posto che la banca, se i ricorrente avessero chiesto la restituzione delle somme versate avrebbero dovuto, come d’obbligo, per non incorrere nelle responsabilità del caso, richiedere la esibizione di un atto legittimante il ritiro del deposito, avvenuto tramite Ufficiale giudiziario e vincolato, perciò, dal processo verbale da costui redatto (quarto motivo).

7. I riassunti motivi – intimamente connessi e, pertanto, da esaminare congiuntamente – sono, per un verso, inammissibili, per altro, manifestamente infondati.

7.1. Quanto al primo profilo, inammissibilità, si osserva che giusta quanto assolutamente incontroverso, presso una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte regolatrice (da cui senza alcuna motivazione totalmente prescinde parte ricorrente) il vizio di con- traddittoria motivazione presuppone che le ragioni poste a fondamento della decisione risultino sostanzialmente contrastanti in guisa da elidersi a vicenda e da non consentire l’individuazione della ratio decidendi, e cioè l’identificazione del procedimento logico- giuridico posto a base della decisione adottata (Cass. 3 agosto 2007, n. 17076).

Contemporaneamente, sempre alla luce di quanto non controverso in giurisprudenza, si osserva che il ricorso per cassazione – per il principio di autosufficienza (cfr. art. 366 cod. proc. civ.) – deve contenere in sè tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito e, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi o atti attinenti al pregresso giudizio di merito (Cass. 17 luglio 2007, n. 15952; Cass. 13 giugno 2007, n. 13845).

Non controversi i principi che precedono, è palese che qualora si deduca – come nella specie – che la sentenza oggetto di ricorso per cassazione è censurabile sotto il profilo di cui all’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, per essere sorretta da una contraddittoria motivazione è onere del ricorrente, a pena di inammissibilità, trascrivere, nel ricorso, le espressioni tra loro contraddittorie ossia inconciliabili contenute nella parte motiva della sentenza impugnata che si elidono a vicenda e non permettono, di conseguenza, di comprendere quale sia la ratio decidendi che sorregge la pronunzia stessa.

Poichè nella specie parte ricorrente pur denunziando nella intestazione dei motivi in esame anche la "contraddittoria motivazione" si è astenuto, totalmente – nella successiva parte espositiva – dal trascrivere le proposizioni presenti nella sentenza impugnata tra loro contraddittorie, è evidente che nella parte de qua il motivo deve essere dichiarato inammissibile.

7.2. Contemporaneamente si osserva che i ricorrenti pur denunziando – almeno nella rubrica del terzo e del quarto motivo – che la sentenza impugnata è affetta da motivazione insufficiente si astengono – totalmente – dall’indicare quali siano i fatti – controversi e decisivi per il giudizio – in ordine ai quali la motivazione della sentenza insufficiente, limitandosi – in realtà – ad invocare la erronea interpretazione data dai giudici del merito dell’art. 1210 cod. civ., art. 1834 cod. civ., e segg..

7.3. Come anticipato, comunque, i motivi in esame, sotto il profilo di cui all’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 3, sono manifestamente infondati.

Giusta la testuale previsione di cui all’art. 75 disp. att. cod. proc. civ., e segg., la mancata comparizione del creditore o il rifiuto di accettare l’offerta sono accertati con verbale redatto da un ufficiale giudiziario che, qualora l’offerta riguardi somme di danaro, deve provvedere al deposito delle stesse presso la cassa dei depositi e prestiti oppure presso un istituto di credito.

Pacifico quanto sopra è palese che correttamente i giudici del merito hanno affermato, da un lato, che la scelta del depositario, nella specie, un istituto di credito, di versare le somme oggetto del deposito in un libretto al portatore non è censurabile in sè e per sè, dall’altro, che è censurabile, e in contrasto con i minimali obblighi di custodia gravanti sul depositario, la scelta – successiva – di consegnare materialmente detto libretto – al portatore e senza vincoli di destinazione delle somme ivi versate – allo stesso debitore, atteso che così agendo il depositario si spoglia giuridicamente, e di fatto, di ogni potere di controllo e custodia delle somme stesse.

Per tale via – come puntualmente e correttamente evidenziato dalla sentenza ora impugnata – si è attuata la previsione di cui all’art. 1213 cod. civ., comma 1, secondo cui il deposito non produce effetto se il debitore lo ritira … come verificatosi nella specie prima che sia stato riconosciuto valido con sentenza passata in giudicato.

E’ palese, per l’effetto – in termini opposti rispetto a quanto si invoca nel terzo motivo – che per effetto dell’accensione del libretto al portatore non si è affatto prodotto l’effetto liberatorio in favore dei debitori atteso che costoro, accettando la consegna di tale libretto hanno, acquistando la disponibilità di diritto e di fatto delle somme ivi depositate, ritirato il deposito che di conseguenza non produce alcun effetto.

Nè al riguardo, può affermarsi che l’atto redatto dall’Ufficiale giudiziario è atto solenne che gode di fede privilegiata e da esso deriva un vincolo di destinazione delle somme depositate e che quanto invocato è in armonia con l’insegnamento contenuto in Cass. 14 aprile 1995, n. 4281.

Non controverso, infatti, che qualora il libretto di deposito è pagabile al portatore è assolutamente irrilevante – al fine di escludere la legittimazione al ritiro delle somme ivi depositate da parte del suo possessore – che lo stesso sia intestato al nome di una determinata persona o in altro modo contrassegnato, che non giova, al fine di ritenere che i debitori non potessero ritirare le somme depositate nel libretto nella loro disponibilità, quanto risultante dal verbale dell’Ufficiale giudiziario.

L’atto pubblico – infatti – fa piena prova fino a querela di falso della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato, nonchè delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti avvenuti in sua presenza o da lui compiuti (art. 2700 cod. civ.) ma non vale certamente a modificare le norme sulla legittimazione del possessore dei libretti di risparmio al portatore a ritirare le somme ivi depositate.

Assolutamente non pertinente, da ultimo, al fine del decidere, è quanto enunciato in Cassazione 14 aprile 1995 n. 4281 atteso che in quella fattispecie il notaio richiedente il deposito aveva ritirato dalla somma e trattenuto presso il proprio studio i libretti di deposito vincolati ed intestati ai singoli creditori, mentre nella specie non solo il libretto non era vincolato e intestato ai creditori (ma si trattava di libretto al portatore) ma lo stesso lungi dall’essere stato trattenuto dall’Ufficiale giudiziario o dalla banca depositarla delle somme – a disposizione dei creditori – era stato, singolarmente, consegnato allo stesso debitore, così attuandosi il ritiro del deposito stesso, ai sensi dell’art. 1213 cod. civ..

Irrilevante e non pertinente – al fine di pervenire a una diversa soluzione della lite – da ultimo, è la circostanza, ampiamente illustrata in sede di memoria di cui all’art. 378 cod. proc. civ., che la consegna del libretto al portatore a essi ricorrenti è riferibile esclusivamente a un inadempimento, rispetto agli obblighi assunti, dell’istituto di credito presso il quale era avvenuto il deposito.

Accertato – infatti – che non sono stati posti in essere tutti gli adempimenti voluti dalla legge perchè si perfezionasse l’offerta reale e perchè, quindi, potesse dirsi adempiuta l’obbligazione di pagamento del prezzo entro i termini di cui alla L. n. 590 del 1965, art. 8, correttamente i giudici del merito hanno ritenuto gli odierni ricorrenti decaduti dal diritto di riscatto, senza che rilevi – in questa sede – il soggetto cui, in pratica, è addebitabile il mancato perfezionamento della procedura di cui all’art. 1212 cod. civ. 7.4. Attesa la non equivoca previsione di cui all’art. 1836 cod. civ., comma 2, del tutto irrilevanti, al fine del decidere, sono le considerazioni svolte nel quarto motivo e i principi giurisprudenziali ivi richiamati.

In particolare la circostanza che la banca, in caso di libretti al portatore debba usare le opportune cautele e cioè provvedere, quanto meno, ad identificare il presentatore e ad annotare gli estremi dei documenti attraverso i quali e avvenuta l’identificazione (Cass. 25 ottobre 1967, n. 2634, nonchè Cass. 23 giugno 2008, n. 17039) non vale – in alcun modo – a escludere sia sufficiente il possesso degli stessi per riscuotere le somme ivi depositate e per ritenere, come si cerca di dimostrare con il motivo in esame, che in realtà, sia sufficiente la indicazione di un nominativo, per ritenere lo somme depositate vincolate in favore di costui.

8. Con il quinto, e ultimo, motivo i ricorrenti denunziano, da ultimo, omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5); violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto, art. 360 c.p.c., n. 3, con riferimento all’art. 1314 c.c., per avere omesso la Corte di appello di esaminare disgiuntamente le singole posizioni dei destinatari delle somme ritualmente offerte.

9. Il motivo è inammissibile per carenza di interesse.

Accertato, come è rimasto accertato, a seguito del rigetto del terzo e del quarto motivo che il debitore, dopo aver depositato le somme dovute le ha ritirate prima dell’accertamento, con sentenza passata in cosa giudicata, della validità del deposito, è palese che è ininfluente, al fine del decidere, che i giudici del merito non abbiano esaminato le posizioni dei destinatari delle somme offerte.

10. Risultato infondato in ogni sua parte il proposto ricorso, in conclusione, deve rigettarsi, con condanna dei ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso. condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità liquidate in Euro 200,00 oltre Euro 1.500,00 per onorari e oltre spese generali e accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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