Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
Con atto notificato il 06.12.1997 le sorelle A., R. e Q.N. convenivano in giudizio avanti la Pretura Circondariale di Pisa – sez. distacc. di S. Miniato, le sigg.re D., F., I. o N.I., per sentire dichiarare in danno delle medesime l’avvenuta usucapione di 47/840 della proprietà dei beni immobili costituiti da fabbricati e terreno agricolo siti nel comune di (OMISSIS).
Deducevano le attrici di essere catastalmente proprietarie per la quota complessiva ed indivisa di 793/840, mentre la restante parte pari a 47/840 risultava ancora intestata: per la quota pro-indivisa di 4/840 alle convenute N. e per la quota di 43/840 agli scomparsi D.S., N.I., Q.A., N.A., M.M. e U.G. (questi ultimi tutti successivamente rappresentati in giudizio dal curatore speciale nominato ex art. 48 c.c. avv. Giuseppe Basoccu).
Sostenevano le attrici di aver posseduto da oltre venti anni in maniera ininterrotta, pubblica e pacifica i beni immobili suddetti per cui chiedevano accertarsi e dichiararsi l’avvenuto acquisto per usucapione dell’intera proprietà e quindi anche delle quote intestate ai coeredi.
Si costituivano D., F., I. o N.I. contestando la domanda attrice, rilevando che non sussistevano i presupposti dell’invocata usucapione; chiedevano, previa divisione dell’immobile, il riconoscimento in loro favore della quota di comproprietà pari a 12/840 sulla casa e pari ad 1/3 sul terreno agricolo. Nel corso di causa, a seguito del decesso delle attrici, si costituivano in giudizio gli eredi A., E. ed Z. O..
Con sentenza n. 200/2005 il Tribunale di Pisa – sez. distaccata di Pontedera, accoglieva la domanda di usucapione in favore delle Q. e rigettava la domanda riconvenzionale avanzata dalle convenute. La sentenza era appellata da A., E. ed Z.O., che contestavano la valutazione delle emergenze istruttorie fatta dal tribunale, rilevando che difettava la prova circa l’animus possidendi dei beni in forma esclusiva, evidenziando che essi avevano sempre versato le quote di loro competenza per imposte e tasse ed avevano sempre gestito gli immobili animo domini;
lamentavano che il giudice avesse statuito l’usucapione oltre che dell’abitazione anche del terreno, che sarebbe stato escluso dall’originaria domanda giudiziale avanzata dalle Q..
Resistevano queste ultime chiedendo il rigetto dell’impugnazione.
L’adita Corte d’Appello di Firenze con la pronuncia n. 33/2010 depositata in data 18.1.2010, rigettava l’appello, condannando le appellanti al pagamento delle spese del grado. La corte ribadiva che parte attrice aveva provato il proprio possesso esclusivo idoneo ad usucapire dei beni comuni, non ritenendo rilevanti gli opposti rilievi e la documentazione prodotta ai fine di provare la persistenza d’interesse delle convenute dimostrata attraverso il pagamento delle tasse e dei tributi; riteneva insussistente l’eccezione di ultrapetizione perchè la domanda attrice comprendeva sia il fabbricato che il terreno e considerava raggiunta la prova del possesso esclusivo delle originarie attrici utile ai fini dell’usucapione.
Z.A. quindi ricorre per la cassazione della suddetta pronuncia formulando due articolate censure, illustrate da memoria ex art. 378 c.p.c.; resistono con controricorso A. e Q.N.;
gli altri intimati non hanno svolto difese.
Motivi della decisione
Con il 1 motivo dei ricorso l’esponente denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1102, 1141, 1144, 1158 e 2697 c.c.;
nonchè l’omissione, erroneità ed illogicità della motivazione.
La censura ripropone in sostanza i precedenti motivi d’appello, miranti "a disarticolare l’iter logico giuridico che aveva condotto il giudice di 1^ grado a ritenere sussistente il possesso ad usucapione dell’attrice sull’esclusivo rilievo rappresentato dall’affidamento in locazione dell’immobile …..da parte di Q. N…. in favore del sig. L.G…." Lamenta in specie l’esponente che il giudice di merito non ha esaminato ovvero non ha valutato con la dovuta prudenza la documentazione prodotta da essi appellanti, che proverebbe il loro persistente interesse a rivendicare a sè la contitolarità dei beni ereditari (pagamento delle imposte e tasse, cartelle esattoriali ecc.,), con la conseguenza che la Corte d’appello non avrebbe mai potuto confermare l’usucapione in assenza di una inequivoca, necessaria manifestazione d’interversio possessionis. Peraltro la concessione in locazione dell’immobile non era rilevante ai fini del possesso uti dominus, nè era stato dato da giudice il dovuto rilievo "al contegno di bonaria tolleranza dimostrato dalle N. nel beneficio d’uso in favore delle Q. della porzione immobiliare di pertinenza delle prime, accanto, ovviamente alla reiterata volontà di riacquisirne la giuridica disponibilità".
La doglianza non ha pregio.
Ad avviso del Collegio, occorre in premessa puntualizzare e ribadire che nel caso di specie, ai fini dell’usucapione, non è richiesta – come rilevato dal giudice d’appello – alcuna forma d’interversio possessionis, da parte del comunista in possesso del bene comune in forma esclusiva, utile ai fini dell’usucapione. Secondo questa S.C.:
"Il coerede che dopo la morte del "de cuius" sia rimasto ne possesso del bene ereditano, può, prima della divisione, usucapire la quota degli altri eredi, senza necessità di interversione del titolo del possesso; a tal fine, egli, che già possiede "animo proprio" ed a titolo di comproprietà, è tenuto ad estendere tale possesso in termini di esclusività, il che avviene quando il coerede goda del bene in modo inconciliabile con la possibilità di godimento altrui e tale da evidenziare una inequivoca volontà di possedere "uti dominus" e non più "uti condominus", non essendo sufficiente che gli altri partecipanti si astengano dall’uso della cosa comune". (Cass. Sez. 2, n. 7221 del 25/03/2009; Sez. 2, n. 13921 del 25/09/2002).
La Corte fiorentina ha altresì opportunamente puntualizzato che l’usucapione può avvenire senza necessità alcuna che i coeredi si disinteressino del bene, ma sul mero accertamento del possesso esclusivo del bene (v. Cass. n. 27287 del 09/12/2005). Poste tali premesse rileva il Collegio che l’esponente, anche in questa sede di legittimità, contesta la pretesa di controparte, insistendo prevalentemente su fatto che la documentazione prodotta, "proverebbe il loro persistente interesse a rivendicare a sè la contitolarità dei beni ereditari", circostanza questa che non escluderebbe nè sarebbe incompatibile con il possesso esclusivo del coerede possessore.
A questo riguardo va sottolineato che il giudice a quo ha preso in esame e prudentemente apprezzato la documentazione di cui trattasi, rilevando che la stessa "- ancorchè positivamente valutata in favore delle parti appellanti – … comunque non proverebbe un compossesso degli immobili, quale relazione di fatto e di disponibilità effettiva dei medesimi da parte degli appellanti per il periodo in interesse ai fini dell’usucapione". Il giudice d’appello ha invece ritenuto sulla base delle emergenze istruttorie analiticamente e correttamente esaminate, il possesso esclusivo degli immobili, "sia sotto il profilo della gestione dei medesimi, sia sotto il profilo della relazione di fatto con la cosa". Circa la questione della locazione a terzi dell’immobile che i ricorrenti avevano effettuato, la Corte fiorentina ha invero dato atto che essa "non è significativa quale prova del possesso uti dominus" di tale cespite, ritenendola però correttamente quale" sintomo di gestione esclusiva del bene", da valutarsi quindi insieme alle altre acquisizioni probatorie ai fini della raggiunta prova del possesso esclusivo. In sintesi dunque, le censura in esame si risolvono chiaramente in una inammissibile critica della valutazione delle emergenze istruttorie da parte del giudice di merito e sono, come tali incensurabili in questa sede, attesa la congrua motivazione, immune da vizi logici e giuridici, che può essere senz’altro condivisa. Non è inutile ricordare al riguardo che il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, …" si configura – come ha puntualizzalo questa S.C. – solo quando nel ragionamento del giudice di merito sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione. Questi vizi non possono consistere nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo a detto giudice individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova" (Cass. Sez. 5, n. 584 del 16/01/2004).
Passando all’esame del il 2 motivo, con esso l’esponente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. e art. 116 c.p.c. nonchè il vizio della motivazione, con riferimento all’accertata usucapione anche del terreno in comunione, in relazione al quale le attrici avrebbero dovuto dimostrare il loro possesso esclusivo.
La doglianza non ha pregio, in quanto il giudice dell’appello, chiaramente ha preso in esame anche il terreno stesso, che, in quella sede, era stato oggetto di specifica doglianza sia pure sotto diverso profilo ( art. 112 c.p.c.). Del resto l’istruttoria (CTU, capitoli di prova, testi) aveva riguardato tutti i beni oggetto della richiesta usucapione, compreso dunque il terreno in esame.
In conclusione ricorso dev’essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in Euro 2.200,00, di cui Euro 2.000,00 per onorario, oltre spese generali ed accessori di legge.
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