Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
Con atto di citazione del 14 maggio 1993 F. e S.R., quali esercenti la potestà sul figlio minore S.M., convennero in giudizio Z.L., nella sua qualità di genitore del figlio minore Z.A., per sentirlo condannare, ex art. 2048 c.c., al risarcimento del danno prodotto dalle lesioni inferte dal predetto minore, il 21 febbraio precedente, al figlio di essi esponenti che era stato aggredito mentre si trovava nell’oratorio parrocchiale.
Resistendo il convenuto – il quale, tra l’altro, eccepì la nullità della citazione e negò la materialità del fatto posto a fondamento della domanda -, con sentenza del 5 novembre 1998 l’adito Tribunale di Bergamo lo condannò al pagamento della somma di L. 7.311.250.
In parziale accoglimento dell’impugnazione proposta dallo Z. avverso tale decisione, con la pronuncia, ora gravata, la Corte di appello ha respinto la domanda.
La Corte – premesso che era infondata la censura, con la quale era stata riproposta la questione della dedotta nullità della citazione, giacchè era fuori discussione che gli attori avevano inteso citare lo Z. quale responsabile ex art. 2048 c.c., e ritenuta provata l’aggressione subita, ad opera del figlio di costui, dal minore S. – ha ritenuto non applicabile tale norma con il rilievo che l’aggressore, nato in una normale famiglia di lavoratori e prossimo ai 18 anni, era stato educato secondo normali principi etico sociali, aveva frequentato regolarmente la scuola d’obbligo, era stato immediatamente avviato al lavoro, aveva espletato il servizio militare, talchè l’evento, verificatosi allorquando lo stesso era prossimo al compimento della maggiore età, non era riferibile a carenze educative.
Per la cassazione di tale decisione S.M., divenuto nelle more maggiorenne, ha proposto ricorso, affidato ad unico mezzo, cui lo Z. resiste con controricorso e contestuale ricorso incidentale basato su due motivi. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Motivi della decisione
1. I due ricorsi, iscritti con numeri di ruolo diversi, devono essere riuniti perchè investono la stessa sentenza (art. 335 c.p.c.).
2. Preliminare è l’esame del ricorso incidentale, con il primo motivo del quale (violazione degli artt. 320 e 2048 c.c. e dell’art. 164 c.p.c. e in subordine dei principi del contraddlttorio), si torna a dedurre la nullità della citazione o, comunque, l’improponibilità della domanda sotto il profilo che esso ricorrente era stato chiamato in giudizio non in proprio ex art. 2048 c.c. ma nella qualità di legale rappresentante del figlio minore Z.A., indicato dagli attori come responsabile dell’aggressione.
La censura è inammissibile.
La Corte territoriale, investita, come già il Tribunale, della questione, ha infatti qualificato la domanda come proposta ai sensi dell’art. 2048 c.c. con il rilievo che tale norma era stata espressamente richiamata nella citazione introduttiva, ed ha quindi aggiunto che l’accenno all’art. 320 c.c., parimenti contenuto nello stesso atto, non era invece pertinente.
Orbene, il riferimento, contenuto nell’atto di citazione, tanto all’art. 320 c.c. che all’art. 2048 c.c., ne evidenziava l’impropria formulazione, giacchè l’uno si riferisce alla rappresentanza legale dei genitori e l’altro, invece, alla responsabilità diretta degli stessi per i danni cagionati dal fatto illecito dei figli minori non emancipati.
Si trattava, allora, di scegliere quale delle due norme avesse, nel contesto della citazione, rilievo preminente e decisivo, scelta che la Corte territoriale ha operato nel senso di cui sopra con motivazione adeguata, riguardo alla quale il ricorrente ha omesso di denunciare, come avrebbe dovuto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, vizi motivazionali: donde l’inammissibilità del motivo, che allega violazioni di legge conseguenti ad una ricostruzione del contenuto dell’atto di citazione diversa da quella cui è pervenuta, incensurabilmente ed incensurata, la Corte del merito.
Deve infatti ribadirsi che l’interpretazione della domanda si risolve in un giudizio di fatto riservato al giudice del merito, sindacabile in sede di legittimità solo sotto il profilo del vizio di motivazione e non – come nella specie – per violazione di legge (in tal senso, da ultimo, Cass. n. 4754 del 2004).
3. Con il secondo motivo del ricorso incidentale, nel negare che le lesioni siano state cagionate da Z.A., si censura, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, la sentenza impugnata, affermativa del contrario, addebitandole contraddizioni ed insufficiente valutazione delle risultanze processuali.
Anche tale motivo è, ma sotto diverso profilo, inammissibile: esso investe invero una questione di fatto "se fu o non lo Z. a provocare allo S. le lesioni -, come tale rimessa al giudice del merito, che l’ha decisa con motivazione pertinente ed immune da vizi logici e giuridici, della quale il ricorrente incidentale, pur prospettando vizi motivazionali, pretende nella sostanza il riesame, inammissibile in questa sede di legittimità. 4. Con l’unico motivo del ricorso principale (violazione art. 2048 c.c. e vizi di motivazione) il ricorrente osserva che il fatto avvenne nell’oratorio non già del paese in cui viveva lo Z., come invece ed erroneamente ha affermato la Corte territoriale, ma di un paese diverso, ed addebita all’odierno controricorrente di aver mancato di vigilanza, non avendo seguito il figlio quasi diciottenne nei suoi spostamenti ed avendogli permesso di riempire di calce o cemento i normali manganelli di plastica, in vendita nei periodi di carnevale, onde renderli pesanti e pericolosi raggiunge che la festa dell’oratorio era stata organizzata per i giovani di quella parrocchia e che la sorveglianza di parroco era riferita a detti giovani; censura la sentenza impugnata nel punto in cui ha ritenuto che all’aggressore fosse stata impartita una sufficiente educazione, osservando al riguardo che l’educazione deve essere particolarmente riferita alla personalità del minore, onde correggerne i difetti, quali, nella specie, la spavalderia, l’istinto di violenza, la leggerezza e l’imprudenza, emergenti dalle modalità e dal luogo del fatto.
Il motivo è infondato.
Come questa Corte Suprema ha affermato (tra le altre con sentenze n. 15419 del 2004 e n. 9815 del 1997), e va qui ribadito, nella responsabilità ex art. 2048 c.c. sul danneggiato incombe solo l’onere di provare che il fatto illecito sia stato commesso dal minore nonchè il danno subito, mentre i genitori, per sottrarsi alla presunzione di responsabilità a loro carico, devono provare di non aver potuto impedire il fatto, intendendosi tale onere probatorio come onere di fornire la positiva dimostrazione dell’osservanza dei precetti imposti dall’art. 147 c.c. relativo ai doveri verso i figli, tra i quali quello di educare la prole; valutare se tale onere sia stato o non assolto è questione di fatto, come tale rimessa al giudice del merito, la decisione del quale è insindacabile in sede di legittimità se sorretta da adeguata e corretta motivazione (in tal senso, Cass. n. 4945 del 1997).
Nella specie, la conclusione, cui è pervenuta la Corte territoriale, secondo la quale l’odierno controricorrente aveva assolto tale onere, è supportata da un apparato argomentativo idoneo a sorreggerla, avendo essa fatto riferimento al curriculum scolastico, militare e lavorativo del soggetto nonchè al contesto familiare, il tutto ritenuto dimostrativo del fatto che al minore fosse stata impartita un’adeguata educazione.
Non si pongono in contrasto con tale conclusione le modalità del fatto: anche solo da esse il giudice del merito può bensì trarre la prova della violazione dell’art. 147 c.c. e, tuttavia, nella specie la Corte territoriale ha evidenziato che l’evento dannoso doveva essere ricondotto ad una serie causale accidentale, riferita da un lato alla sovreccitazione determinata dal desiderio di celebrare il carnevale e, dall’altro, alla inconsapevolezza della potenziale lesività delle modifiche, per di più indimostrate, apportate ai bastoni di plastica utilizzati, di per sè innocui. La stessa Corte è caduta, bensì, in errore laddove ha affermato che l’evento dannoso era stato cagionato nell’oratorio del paese di residenza dell’aggressore (mentre si verificò in quello di un paese vicino), e, tuttavia, tale errore non ha rilievo decisivo, come invece richiede l’art. 360 c.p.c., n. 5 atteso il complesso dell’apparato argomentativo, riguardato nella sua globalità. 5. Il rigetto di entrambi i ricorsi comporta la compensazione delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte, riuniti i ricorsi, li rigetta e compensa le spese del giudizio di cassazione.
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