Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
1. S.S., D.S.P. e De.Sa.St. proponevano opposizione al decreto ingiuntivo emesso dal Giudice di Pace di Roma, con il quale veniva ingiunto loro di pagare, in solido, la somma di Euro 1.777,36 all’Avv. L.A., per prestazioni professionali da questi erogate in favore del de cuius G. R.. L’opposizione veniva accolta per intervenuta prescrizione presuntiva triennale e il decreto veniva revocato.
L’appello proposto dall’Avv. L. veniva rigettato dal Tribunale di Roma (sentenza del 2 settembre 2009).
2. Avverso la suddetta sentenza l’Avv. L. propone ricorso per cassazione con tre motivi.
Gli eredi intimati resistono con controricorso.
Motivi della decisione
1. Ai fini che ancora interessano, il Tribunale, confermando la decisione del primo giudice, che aveva accolto l’eccezione di prescrizione sollevata dagli eredi, ha ritenuto integrata la prescrizione presuntiva triennale. Secondo il giudice, la suddetta presunzione viene superata solo se il debitore riconosca di aver pagato una somma minore, condizione non rinvenibile, nella specie – al contrario di quanto sostenuto dall’appellante – nella implicita ammissione degli eredi di non aver pagato il debito. Quanto alla decorrenza, il Tribunale ha ritenuto che si debba fare riferimento alla data della morte del de cuius ((OMISSIS)), atteso che il rapporto professionale cessa con la morte del cliente, quale evento idoneo a interrompere il rapporto di fiducia, al pari degli altri eventi menzionati nell’art. 2957 cod. civ..
Conseguente è il decorso della prescrizione, essendo stato il ricorso monitorio depositato nel 2003. 2. Con il primo motivo di ricorso, si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2956 e 2959 cod. civ., oltre a illogicità di motivazione.
Secondo il ricorrente, l’eccezione di prescrizione, sulla base della giurisprudenza della Corte, avrebbe dovuto essere rigettata ex art. 2959 cod. civ., stante la dichiarazione di controparte di non aver pagato i) debito, desumibile implicitamente: a) dalla dichiarazione degli eredi, nell’atto di opposizione, di non aver mai saputo nullo del giudizio cui si riferivano i compensi professionali; b) dalle contestazioni, nelle note conclusionali di primo grado, in ordine all’effettivo svolgimento dell’attività professionale e dell’entità del credito, perchè la contestazione dell’entità implica ammissione di non aver pagato.
2.1. Il motivo va rigettato; la decisione del Tribunale rispetto all’art. 2959 cod. civ., è conforme a diritto, ma la motivazione merita di essere modificata.
Di recente, la Corte di legittimità ha affermato che "la dichiarazione dell’erede, convenuto in giudizio per il pagamento di un debito del defunto soggetto a prescrizione presuntiva, di non essere informato se il debito sia stato o meno estinto dal suo dante causa, implica ammissione dell’avvenuta costituzione del rapporto da cui è sorto il credito azionato ma non anche ammissione che l’obbligazione non è stata estinta e, pertanto, non importa il rigetto dell’eccezione di prescrizione presuntiva, fatta valere" (Cass. 23 marzo 2010, n. 6940).
Nella specie, come riferisce lo stesso ricorrente, gli eredi hanno dichiarato di non essere informati in ordine al processo da cui sarebbe derivato il debito del defunto verso il professionista per le prestazioni erogate; quindi, correttamente il giudice del merito ha ritenuto operante la prescrizione presuntiva non potendo dirsi ammesso neanche il rapporto obbligatorio. Nè, come sostiene il ricorrente, ai fini del rigetto della prescrizione presuntiva ex art. 2959 cod. civ., la contestazione del quantum richiesto può valere come ammissione in giudizio che l’obbligazione non è stata estinta se, negando la conoscenza del rapporto obbligatorio nato con il de cuius, non può ritenersi ammesso neanche il rapporto obbligatorio.
La contestazione del quantum, infatti, dopo aver negato qualunque conoscenza del rapporto obbligatorio, risponde solo ad esigenze di strategia processuale, per l’ipotesi che l’eccezione di prescrizione venga ritenuta infondata.
3. Con il secondo e terzo motivo, si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2957 cod. civ., comma 2 e art. 1703 cod. civ., e segg.. In particolare, sotto un primo profilo, considerato che per le competenze dovute agli avvocati la prescrizione decorre dalla decisione della causa, dalla conciliazione, dalla revoca del mandato, sia che si consideri, quale decisione della causa, la data del decreto di perenzione, definitivo e non impugnabile, intervenuto nel 2003, sia che si consideri, quale revoca del mandato, la mancata risposta degli eredi alla lettera raccomandata loro inviata, nel 2001, quando, avuto conoscenza della morte del cliente, aveva contattato gli stessi per conoscere le loro intenzioni, il termine prescrizionale non sarebbe decorso.
Sotto un secondo profilo, qualora alla specie si ritenesse applicabile la previsione (dell’art. 2957, comma 2, ultima parte) relativa agli affari non terminati, la prescrizione non decorrerebbe dalla morte del cliente, ma dall’ultima prestazione, coincidente con l’invio della lettera agli eredi (nel 2003) per informarli della avvenuta perenzione. Atto, quest’ultimo, integrante una prestazione professionale, prevista dalle tariffe forensi.
Infine, anche a voler considerare la morte del mandante, ai sensi delle norme che regolano il mandato, non rileverebbe la data della morte, ma la conoscenza della stessa da parte del mandatario, comunicazione che gli eredi avrebbero dovuto fornire ai sensi dell’art. 1728, comma 2, mentre l’avvocato aveva appreso da proprie ricerche, con conseguente validità d gli atti compiuti nei confronti degli eredi sino alla conoscenza della morte da parte del mandatario.
3.1. I motivi, da trattarsi congiuntamente per la loro stretta connessione, devono rigettarsi.
Il giudice del merito ha fatto corretta applicazione del principio, affermato in tempi risalenti dalla Corte, secondo cui "ai fini della decorrenza del termine della prescrizione delle competenze dovute agli avvocati, procuratori e patrocinatori legali, l’affare si considera terminato non solo nei casi espressamente previsti nell’art. 2957 cod. civ., comma 2, parte prima, quali la decisione, la conciliazione, la revoca del mandato, ma anche in tutte le ipotesi in cui una causa obiettiva o subiettiva faccia venir meno il rapporto tra cliente ed avvocato, quale la morte del procuratore o difensore, la cessazione da parte dello stesso dell’esercizio della professione, l’estinzione del processo (anche per mancata riassunzione nei termine dopo la cancellazione della causa dal ruolo)" (Cass. 22 aprile 1964 n. 965).
Il principio riconduce all’art. 2957, comma 2, prima parte, e quindi agli "affari terminata" qualunque ipotesi, soggettiva o oggettiva, che faccia venire meno il rapporto tra cliente ed avvocato e, quindi, anche quella, rilevante nella specie, della morte del cliente/ mandante. Con la conseguenza che, con la morte del cliente interviene una causa soggettiva per la quale l’affare si considera terminato e decorre il termine di prescrizione.
Nè a diverse conclusioni potrebbe pervenirsi sulla base della disciplina del mandato, della quale il ricorrente richiama impropriamente dell’art. 1728 cod. civ., comma 2, che riguarda la morte del mandatario e ne disciplina l’ultrattività a tutela del mandante.
Nella specie, in ipotesi, potrebbe rilevare l’art. 1729 cod. civ., che riguarda gli atti compiuti dal mandatario prima di conoscere l’estinzione del mandato e, a tutela del mandatario, ne prevede la validità per il mandante e per eredi. Nella specie, l’affare dovrebbe considerarsi terminato con l’ultimo prestazione professionale compiuta prima di sapere della morte del mandante (art. 2957 cod. civ., comma 2, ultima parte) e il credito sarebbe prescritto, risalendo al 1997 la seconda istanza di trattazione del procedimento, compiuta prima di sapere della morte del mandante.
4. In conclusione, il ricorso va rigettato; le spese processuali seguono la soccombenza.
P.Q.M.
LA CORTE DI CASSAZIONE rigetta il ricorso; condanna L.A. al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese processuali del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 900,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.
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