Cassazione civile anno 2005 n. 1826 Controricorso Dichiarazione giudiziale di paternità e maternità naturali

FILIAZIONE MANDATO

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Svolgimento del processo
Con ricorso depositato il 6 ottobre 1999 I. P. M. chiedeva al Tribunale di Frosinone di dichiarare ammissibile P azione per la dichiarazione della paternità naturale che intendeva proporre in proprio nei confronti di V. S.. Con decreto del 18 febbraio 2000 il Tribunale ammetteva la ricorrente alla proposizione dell’azione.
Proposto reclamo dallo S., con decreto del 3 maggio – 26 giugno 2001 la Corte di Appello di Roma lo rigettava, osservando in motivazione che andava disatteso il motivo di gravame diretto a sostenere l’improponibilità della domanda per intervenuto giudicato, atteso che il precedente decreto in data 22 febbraio 1994 dello stesso Tribunale, non reclamato, che aveva dichiarato inammissibile l’azione costituiva una pronunzia emessa allo stato degli atti, che non impediva la proposizione di una nuova domanda fondata su circostanze ed elementi probatori nuovi, per tali intendendosi quelli che non hanno comunque formato oggetto di valutazione nel precedente giudizio, a prescindere da ogni questione circa l’imputabilità alla parte interessata dell’omessa conoscenza giudiziale. Rilevava che nella specie erano stati prospettati elementi che, pur preesistenti, non erano stati sottoposti all’esame del precedente giudice, costituiti da una sentenza contumaciale elvetica, non riconoscibile in Italia, che aveva dichiarato lo S. padre presunto dell’istante e da alcune deposizioni testimoniali già raccolte dallo stesso giudice svizzero, e che d’ altro canto non risultava che il precedente provvedimento di inammissibilità fosse stato preceduto dall’inchiesta sommaria, essendo state sentite soltanto le parti.
Osservava altresì nel merito che gli elementi offerti all’esame della Corte valevano a dimostrare il fumus boni iuris, tenuto conto che la madre della ricorrente aveva dichiarato di aver avuto una relazione con lo S. nel periodo presumibile del concepimento e che lo stesso reclamante aveva ammesso di aver avuto ripetuti rapporti sessuali con la predetta, non rilevando in contrario alcune imprecisioni nelle dichiarazioni dei testi escussi, in quanto suscettibili di chiarimento nella successiva fase di merito. Avverso tale decreto ha proposto ricorso per Cassazione lo S. deducendo un unico motivo illustrato con memoria. Resiste con controricorso la M.

Motivi della decisione
Va preliminarmente rilevata, in accoglimento dell’eccezione formulata dal ricorrente in sede di memoria illustrativa, la inammissibilità del controricorso, per essere stata la procura speciale apposta in calce alla copia notificata del ricorso per Cassazione.
Costituisce invero orientamento consolidato di questa Suprema Corte che la procura speciale per resistere al ricorso per Cassazione redatta in calce o a margine della copia notificata del ricorso non è valida nè per la proposizione del controricorso nè per la formulazione di memorie, non offrendo alcuna certezza della anteriorità del conferimento del mandato rispetto alla notifica dell’atto di resistenza (v., di recente, Cass. 2004 n. 9916; 2002 n. 11133; 2002 n. 7998).
Con l’unico motivo di ricorso, denunciando violazione o falsa applicazione degli artt. 324 c.p.c. e 2909 c.c. in relazione all’art. 274 c.c., si deduce l’errore della Corte di Appello per aver ritenuto che gli elementi nuovi che consentono la proposizione di una nuova domanda di ammissibilità dell’azione, dichiarata inammissibile con un precedente provvedimento divenuto definitivo, siano anche quelli che, seppur conosciuti e deducibili nel precedente giudizio, non siano stati in concreto dedotti. Si osserva al riguardo che il provvedimento emesso ai sensi dell’art. 274 c.c., in quanto idoneo al giudicato, copre il dedotto e il deducibile e che il giudicato sostanziale così formatosi preclude ogni domanda che, ove accolta dal giudice, produrrebbe un risultato incompatibile con l’accertamento compiuto nel provvedimento assistito dal giudicato.
Si rileva altresì che il requisito della novità va comunque riferito ai fatti oggetto della prova, e non agli strumenti attraverso i quali questi sono rappresentati in giudizio, e che pertanto nè la sentenza svizzera, peraltro non riconoscibile in Italia perchè contraria all’ordine pubblico italiano, nè i verbali che hanno raccolto per rogatoria le deposizioni assunte in quel procedimento, in quanto meramente rappresentativi della conoscenza dei fatti da parte dei testi, potevano configurarsi come elementi probatori nuovi. Si aggiunge che la Marcello ben avrebbe potuto indicare detti testi come persone informate sui fatti sin dal momento della proposizione della prima istanza anche ove non avesse avuto notizia che essi avevano già reso dichiarazioni nell’ambito del processo svizzero. Il motivo di ricorso così sintetizzato è infondato.
Questa Suprema Corte ha in più occasioni affermato che il provvedimento camerale in tema di ammissibilità dell’azione per la dichiarazione giudiziale di paternità, reso dalla Corte di Appello in sede di reclamo, ha carattere decisorio e definitivo e pertanto, ove non impugnato con ricorso per Cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., acquista autorità di giudicato, precludendo la riproposizione della domanda, salvo che sulla base di circostanze ed elementi nuovi (Cass. 2002 n. 7674; 1990 n. 1438; 1986 n. 590; 1981 n. 933).
Nell’ambito di tale orientamento si è precisato che vanno considerati elementi nuovi sia "quelli oggettivamente tali, siccome sopravvenuti al precedente provvedimento definitivo, sia quelli segnati da un profilo soggettivo di novità, in quanto preesistenti, ma non sottoposti all’esame del primo giudice e diretti a superare il quadro di riferimento della prima pronunzia (così Cass. 2002 n. 7674, cit.). A tale indirizzo ritiene il Collegio di dover dare continuità, perchè coerente con la natura e la funzione del provvedimento emesso ai sensi dell’art. 274 c.c., rivolto – come è noto – alla rimozione di un limite all’esercizio della domanda di accertamento della filiazione, e quindi all’attribuzione di un potere di natura processuale alla parte istante, cui prima della pronuncia definitiva del decreto di ammissibilità non è consentito chiedere l’accertamento giudiziale della filiazione naturale.
Da tale natura e funzione consegue che il decreto che non ravvisi la sussistenza di specifiche circostanze giustificative dell’azione, in quanto emesso sulla base degli elementi offerti alla delibazione del giudice, costituisce un giudicato non sostanziale, ma meramente formale (v. sul punto S.U. 1990 n. 1398, in motiv.) afferente ad una pronuncia allo stato degli atti, e specificamente all’attendibilità degli elementi offerti, che non preclude la riproposizione della domanda con allegazione di circostanze diverse, preesistenti o sopravvenute. Tale definizione del requisito della novità delle circostanze deducibili nel nuovo giudizio comporta l’irrilevanza di ogni indagine circa la causa della mancata precedente allegazione – e quindi, nella specie, circa il momento di conoscenza da parte della Marcello dell’esistenza del procedimento e della sentenza elvetica – così come rende ininfluente la distinzione posta dal ricorrente tra fatti da provare e strumenti per la loro rappresentazione in giudizio, spiegando il precedente giudicato efficacia preclusiva solo in ordine a pretese fondate su elementi probatori già offerti all’esame del primo giudice.
Il ricorso deve essere in conclusione rigettato. Non vi è luogo a pronuncia sulle spese processuali, stante l’inammissibilità del controricorso e la mancata partecipazione del difensore della Marcello all’udienza di discussione.

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