Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
Con atto notificato il 24 giugno 1996 la Banca Popolare di Napoli s.p.a, all’epoca in amministrazione straordinaria, citò in giudizio dinanzi al Tribunale di Napoli alcuni tra coloro che in anni precedenti avevano ricoperto le cariche di consigliere di amministrazione, direttore generale e sindaco della società. Furono evocati in giudizio gli amministratori sigg.ri B.I., De.Ga.Ca., De.Ri.Gi., D.G. F., L.A., M.A. e Pe.Gi., i sindaci sig.ri O.G. ed Pi.Ag., gli eredi dell’altro sindaco defunto, sig. Po.Ro., ed i direttori generali sigg.ri P.A. ed D.C.A..
Su richiesta di alcuni tra i convenuti furono poi chiamati in causa anche gli altri amministratori, sigg.ri I.A., + ALTRI OMESSI ed inoltre la società di assicurazioni UAP Italiana s.r.l., poi divenuta Axa Assicurazioni s.p.a.
Il processo, interrotto tre volte per decesso prima del sig. I., poi del sig. Pe. e quindi del sig. O., fu sempre riassunto dall’attrice e si concluse, in primo grado, quanto ai sigg.ri M., De.Ga., De.Ri., D. F., R., Pa. e po. ed agli eredi dei sigg.ri Po., Pe. ed I., con una declaratoria di estinzione per rinuncia dell’attrice agli atti del giudizio, quanto agli altri, con il rigetto delle domande per difetto di prova degli asseriti danni.
Nel giudizio di gravame, promosso dalla Banca Popolare di Ancona s.p.a. (che aveva frattanto incorporato la Banca Popolare di Napoli) nei confronti dei soli sigg.ri B., L., Pi., P., D.C. e degli eredi del sig. O., vennero ulteriormente chiamati in causa a scopo di rivalsa e garanzia, ad istanza dell’appellato sig. Pi., i sigg.ri De.Ga., D. R., M. e Di.Fi., gli eredi dei sigg.ri Pe. e Po. e la società Axa Assicurazioni.
Con sentenza depositata in cancelleria il 14 giugno 2010 la Corte d’appello di Napoli dichiarò il difetto di legittimazione passiva degli eredi del sig. O. ed estromise definitivamente dal giudizio i terzi chiamati, sigg.ri De.Ga., De.Ri., D. F. e M., gli eredi del sig. Pe. e quelli del sig. Po., nonchè la Axa Assicurazioni. Dette invece disposizioni per l’ulteriore prosecuzione della causa nei confronti degli altri appellati e, con separata ordinanza, provvide alla nomina di un consulente tecnico d’ufficio.
La corte territoriale ritenne carenti di specificità le censure rivolte dalla difesa dell’ex direttore generale sig. P. alla decisione di primo grado che non aveva accolto l’eccezione concernente l’asserito difetto di autorizzazione ad agire da parte della Banca d’Italia; ed aggiunse che, comunque, l’autorizzazione rilasciata per alcuni amministratori e sindaci consentiva di estendere l’azione anche nei confronti di altri convenuti. Il giudice d’appello condivise la pronuncia di primo grado anche laddove questa aveva escluso che la riassunzione del giudizio interrotto fosse stata inefficacemente operata dalla Banca Popolare di Napoli, ormai già incorporata dalla Banca Popolare di Ancona, posto che all’epoca tale evento non era stato dichiarato in giudizio. Dissentì invece la corte d’appello dal giudizio con cui il tribunale aveva negato valenza probatoria alla relazione redatta dagli ispettori della Banca d’Italia, e ritenne che gli accertamenti ispettivi, attesa anche la natura pubblica della funzione in essi esplicata, dovessero esser considerati strumenti idonei a fondare un’attendibile valutazione del danno cagionato dalla mala gestio degli organi della banca, ferma restando la possibilità per i convenuti di dimostrare l’inesattezza di quegli accertamenti e l’inattendibilità di quelle valutazioni.
Quanto alle azioni di rivalsa e garanzia esperite dal sig. Pi., la corte napoletana affermò che, giacchè la banca attrice aveva inteso transigere la causa con alcuni dei convenuti solo limitatamente alla quota di corresponsabilità solidale facente capo a quei medesimi convenuti, gli altri, pur non potendo approfittare della transazione parziaria, nè impedirla, avessero perso ogni interesse a chiamare in causa a scopo di regresso coloro con cui la transazione era stata raggiunta, perchè questa aveva comunque prodotto l’effetto di ridurre in proporzione la quota di responsabilità dei non transigenti. Fu altresì esclusa la fondatezza della domanda di garanzia proposta dal sig. Pi. nei confronti della Axa Assicurazioni, sia in considerazione del fatto che la copertura assicurativa risultava convenzionalmente limitata alle richieste d’indennizzo avanzate nel periodo di vigenza del contratto e che, invece, nel caso in esame, la richiesta era stata successiva, sia in considerazione di un’ulteriore clausola della polizza volta ad escludere espressamente l’assicurazione per l’attività di sindaco di società, salvo eventuale deroga inserita nelle condizioni aggiuntive, non però sottoscritte dal medesimo sig. Pi..
Avverso tale sentenza sono stati proposti separati ricorsi per cassazione da parte del sig. P., per cinque motivi, e da parte del sig. Pi., per quattro motivi.
Al primo di tali ricorsi ha replicato con controricorso la Banca Popolare di Ancona.
Al ricorso del sig. Pi. hanno pure replicato, con altrettanti controricorsi, la medesima Banca Popolare di Ancona, la Axa Assucurazioni, il sig. De.Ga., i sigg.ri Do. e P. P.M., quali eredi del sig. Pe.Gi., ed il sig. M.. Quest’ultimo ha altresì formulato, in via subordinata, tre motivi di ricorso incidentale.
Gli altri intimati non hanno svolto difese.
Sono state depositate memorie.
Motivi della decisione
1. I ricorsi proposti avverso la medesima sentenza debbono preliminarmente esser riuniti, come dispone l’art. 335 c.p.c..
2. Il ricorso principale proposto dal sig. P., come fondatamente ha eccepito il Procuratore generale nel corso dell’udienza di discussione, è da considerare inammissibile.
L’art. 360 c.p.c., comma 3 – nel testo sostituito dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, entrato in vigore il 2 marzo 2006 ed applicabile ratione temporis alla presente fattispecie – stabilisce che "non sono immediatamente impugnabili con ricorso per cassazione le sentenze che decidono di questioni insorte senza definire, neppure parzialmente, il giudizio", ed aggiunge che "il ricorso per cassazione avverso tali sentenze può essere proposto, senza necessità di riserva, allorchè sia impugnata la sentenza che definisce, anche parzialmente, il giudizio". Tale disposizione è stata emanata in attuazione della delega contenuta nella L. n. 80 del 2005, art. 2, comma 1 e dello specifico criterio direttivo enunciato alla lettera a) del successivo comma 3 del medesimo articolo, ove è espressamente prevista "la non ricorribilità immediata delle sentenze che decidono di questioni insorte senza definire il giudizio e la ricorribilità immediata delle sentenze che decidono parzialmente il merito, con conseguente esclusione della riserva di ricorso avverso le prime e la previsione della riserva di ricorso avverso le seconde".
Il legislatore delegato ha, dunque, introdotto la distinzione tra le "sentenze non definitive su questioni", assoggettandole all’impugnazione per cassazione necessariamente differita, e le sentenze non definitive su domanda, o "parziali", che sono invece suscettibili d’impugnazione immediata per cassazione ovvero, in alternativa, d’impugnazione differita con onere di riserva di ricorso (art. 361 c.p.c.). Ed è evidente che il citato art. 360, comma 3 nell’impedire il ricorso immediato per cassazione avverso le sentenze che decidono di questioni insorte senza definire neppure parzialmente il giudizio, si riferisce alle ipotesi di cui all’art. 279 c.p.c., comma 2, n. 4, il quale stabilisce che "Il collegio pronuncia sentenza: … 4) quando, decidendo alcune delle questioni di cui ai numeri 1), 2) e 3), non definisce il giudizio e impartisce distinti provvedimenti per l’ulteriore istruzione della causa".
Nel caso in esame la corte d’appello ha deciso alcune questioni, che concernono l’estromissione dal processo dei terzi chiamati e la legittimazione passiva di uno di essi e di uno dei convenuti, riguardo ai quali ha perciò senz’altro definito il giudizio. Non altrettanto è accaduto, invece, per quel che riguarda i rapporti processuali tra l’attrice ed i restanti convenuti (tra i quali il sig. P.), per i quali la decisione ha investito soltanto questioni pregiudiziali di rito (o al più, per taluni profili, questioni preliminari di merito), senza che sia intervenuta alcuna pronuncia conclusiva sul merito della domanda di risarcimento dei danni proposta dalla banca attrice, sicchè le parti sono state poi rimesse dinanzi al medesimo giudice d’appello, con separata ordinanza, per dare spazio ad ulteriore attività istruttoria. Tanto si deduce con assoluta chiarezza sia dalla motivazione sia dal dispositivo dell’impugnata sentenza: dalla motivazione, che tiene separate le questioni processuali (articolate in quattordici punti e trattate dalla pag. 25 alla pag. 36) dal merito (trattato a partire da pag. 36) e poi esplicitamente riassume le conclusioni cui il collegio è pervenuto affermando (pag. 50) che "nel merito la causa va rimessa sul ruolo, epurata dalle questioni processuali sopra esaminate, con separata ordinanza per un supplemento istruttorie, svolgendo la consulenza tecnica d’ufficio", e dal dispositivo, che fa precedere le statuizioni dei primi due capi, riguardanti il difetto di legittimazione passiva e l’estromissione dal giudizio di alcuni soggetti, dall’espressione "definitivamente pronunciando", ed inserisce invece l’espressione "non definitivamente pronunciando" nel terzo capo, che afferisce al merito della domanda di risarcimento del danno proposta nei confronti del sig. P. e di altri convenuti.
Così facendo, l’impugnata sentenza ha pertanto operato una separazione delle cause riguardanti, da un lato, sia i rapporti tra l’attrice e gli eredi del convenuto sig. O. sia i rapporti facenti capo ai terzi chiamati – rapporti sui quali è intervenuta la decisione definitiva – e, dall’altro lato, quelli tra l’attrice e gli altri convenuti, destinati a proseguire dopo la decisione delle questioni pregiudiziali.
I profili di merito ai quali nella motivazione della sentenza si fa cenno, quanto alla domanda di risarcimento dei danni rivolta nei confronti del sig. P. e degli altri convenuti in analoga posizione, consistono in considerazioni di ordine generale sul tema dell’azione di responsabilità e nell’affermazione della particolare rilevanza probatoria che la corte d’appello reputa sia da attribuire alla relazione degli ispettori della Banca d’Italia, prodotta in causa. Per quel che più specificamente si riferisce alla responsabilità dei direttori generali, e quindi del predetto sig. P., la sentenza aggiunge (alla pag. 46) che "non vi sono evidenze per definire immediatamente la questione nel merito" e che "non emergono dati per dissociare immediatamente le sorti del P. da quelle degli altri". Espressioni, queste, che confermano in modo inequivoco come nessuna pronuncia di merito, neppure parziale, sia stata ancora emessa su una qualsiasi domanda proposta in causa nei confronti del suddetto sig. P., avendo la corte napoletana preso in esame le questioni cui s’è fatto cenno soltanto al fine di spiegare perchè essa ha ritenuto di non potersi adeguare alle conclusioni assolutorie cui era pervenuto il tribunale ed ha ravvisato la necessità di disporre una consulenza tecnica.
Decisione, quest’ultima, che evidentemente non equivale ad una definizione neppur parziale del giudizio di merito.
Perciò, mentre per la parte in cui può definirsi definitiva la sentenza della corte d’appello è senz’altro suscettibile d’immediato ricorso per cassazione, per l’altra parte – quella investita dal ricorso principale del sig. P. – essa invece non lo è.
Donde l’inammissibilità di siffatto ricorso.
3. Il ricorso del sig. Pi., essendo rivolto contro il capo della sentenza impugnata che ha definitivamente deciso sulle domande proposte dal medesimo ricorrente nei confronti dei terzi chiamati, è invece ammissibile. Non è però fondato.
Tre dei quattro motivi di tale ricorso – il primo e gli ultimi due – si riferiscono all’estromissione dal processo di alcuni tra gli amministratori della società nei cui confronti il ricorrente aveva esercitato azione di regresso e manleva per l’eventualità in cui egli fosse condannato al risarcimento dei danni pretesi dalla banca attrice; l’altro motivo – il secondo – attiene, invece, all’estromissione della società assicuratrice, del pari chiamata in causa a scopo di garanzia.
Conviene esaminare i due profili separatamente.
3.1. La corte d’appello ha disposto l’estromissione dal giudizio di coloro che già nel corso del primo grado avevano raggiunto un accordo transattivo con la società attrice. La circostanza che uno dei sindaci (l’attuale ricorrente) non avesse aderito alla transazione ed avesse tenuto ferma la propria domanda di eventuale regresso nei confronti dei litisconsorti non è stata reputata sufficiente ad impedire l’uscita definitiva di questi ultimi dal processo. La predetta transazione è stata infatti intesa come limitata alle sole quote dei condebitori che la hanno stipulata, con la conseguenza che gli altri eventuali condebitori non transigenti non potrebbero avvalersene. Secondo la corte d’appello essi non hanno neppure più interesse alla suaccennata domanda di regresso, perchè l’intervenuta transazione ha sciolto il vincolo di solidarietà passiva e l’esposizione debitoria di coloro che non hanno aderito alla transazione, qualora ne fosse accertata la responsabilità, risulterebbe comunque ridotta in misura corrispondente alla quota di coloro che hanno invece transatto (sentenza impugnata: pagg. 29-31).
A siffatti rilievi il sindaco ricorrente, sig. Pi., obietta che la sua domanda di regresso presupponeva, e presuppone, l’accertamento del grado di responsabilità specificamente ascrivibile a ciascuno degli amministratori ed agli altri sindaci che si assume abbiano cagionato danno alla società, violando i doveri inerenti alla loro carica, onde la transazione raggiunta da alcuni di costoro con la medesima società non basterebbe a giustificarne l’estromissione definitiva dal giudizio, trattandosi inoltre di posizioni inscindibili: donde la violazione dell’art. 102 c.p.c., denunciata nel primo motivo, e quella degli artt. 1301 e 1311 c.c., denunciata tanto nel terzo quanto nel quarto motivo.
3.1.1. Non è condivisibile però l’assunto secondo il quale ci si troverebbe qui in presenza di un’ipotesi di litisconsorzio necessario tra gli amministratori, i sindaci ed i direttori generali della società che ha agito per il risarcimento dei danni da mala gestio nei confronti di alcuni di coloro che ricoprivano tali cariche, stipulando poi una transazione solo con taluni tra i convenuti. E’ stato già ripetutamente affermato da questa corte che l’azione di responsabilità promossa contro gli organi di società, a norma degli art. 2393 e 2394 c.c., da luogo ad un’ipotesi di litisconsorzio facoltativo, poichè la responsabilità per fatti di mala gestio determina il sorgere di un’obbligazione solidale passiva e ciò consente al creditore danneggiato di agire in giudizio anche contro uno solo dei responsabili; con la conseguenza che, se l’azione sia stata promossa contro più convenuti e si verifichi una causa di estinzione riferibile ad uno soltanto dei rapporti processuali così instaurati, questa non si estende anche agli altri (cfr., in argomento, Cass. 25 luglio 2008,. n. 20476, e Cass. 26 marzo 1981, n. 1760).
E’ vero che il principio secondo cui la domanda di risarcimento dei danni cumulativamente proposta nei confronti di più soggetti corresponsabili di un fatto illecito da luogo a cause scindibili, per effetto del vincolo di solidarietà passiva configurabile tra gli autori dell’illecito, soffre una parziale eccezione quando l’accertamento della responsabilità di uno di essi presupponga necessariamente quello della responsabilità degli altri (in tal senso Cass. 14 luglio 2009, n. 16391). Proprio per questo si è talora affermato che l’azione di responsabilità cumulativamente esercitata contro più amministratori e sindaci, pur introducendo una pluralità di cause alla stregua della pluralità dei titoli dedotti in giudizio, pone le cause medesime in relazione d’inscindibilità allorchè la condotta addebitata a ciascuno sia definibile come illecita solo in stretto collegamento con la valutazione della condotta dell’altro: il che può accadere, in particolare, ove ai sindaci sia imputato di non avere doverosamente vigilato sulla condotta colpevole degli amministratori (si vedano Cass. 1 marzo 1995, n. 2298, Cass. 7 maggio 1993, n. 5263, Cass. 22 giugno 1990, n. 6278, e Cass. 9 marzo 1988, n. 2355). Ciò significa che, ad esempio, ove sia stata in primo grado esclusa la mala gestio degli amministratori e siano stati perciò assolti dalla domanda anche i sindaci, non si potrà impugnare quest’ultima statuizione senza rimettere altresì in discussione la posizione degli amministratori e l’illiceità della loro condotta, appunto perchè questa costituisce l’indispensabile presupposto della responsabilità per omessa vigilanza addebitata ai sindaci.
Non se ne ricava però che, in caso di azione originariamente rivolta contro una pluralità di amministratori e sindaci della società, tutti costoro – nessuno escluso – debbano necessariamente esser parti in ogni successivo grado del giudizio. Tanto meno se ne ricava che non sia possibile una transazione la quale, per essere stata raggiunta dalla società attrice solo con alcuni tra i convenuti, sciolga il vincolo di solidarietà passiva e valga a porre fine agli specifici rapporti processuali facenti capo ai transigenti senza toccare gli altri. La dipendenza tra i diversi rapporti processuali che impone la presenza nel giudizio d’appello degli amministratori prosciolti dalla domanda, quando l’atto d’appello dei sindaci (o nei confronti dei sindaci) rimetta in discussione l’illiceità delle loro condotte gestorie, discende dall’impossibilità di pervenire ad una diversa conclusione su tale punto senza che ciò contraddica la statuizione con cui, tanto nei riguardi degli amministratori che dei sindaci, si era concluso il precedente grado di giudizio. Ma, come la società attrice certamente può sin da principio agire solo contro alcuni degli amministratori ed alcuni dei sindaci cui sia imputabile la violazione dei rispettivi doveri, così certamente essa può poi transigere la causa e rinunciare all’azione promossa contro alcuni di essi, com’è appunto accaduto nella fattispecie in esame, non implicando ciò alcun accertamento (positivo o negativo) di mala gestio che rischi di porsi in contraddizione con l’esito del giudizio destinato a proseguire nei confronti dei sindaci e degli amministratori rimanenti.
3.1.2. Al tema ora discusso si lega, però, un’ulteriore questione, che nasce quando alcuni tra i soggetti convenuti in responsabilità dalla società – nella specie uno dei sindaci – abbia proposto una domanda di regresso nei riguardi degli altri convenuti con i quali la società medesima ha transatto la lite.
Conviene a questo proposito richiamare quanto recentemente stabilito dalle Sezioni unite di questa corte con la sentenza n. 30174 del 30 dicembre 2011. Vi si è affermato il principio secondo cui il debitore che non sia stato parte della transazione stipulata dal creditore con altro condebitore in solido non può profittarne se, trattandosi di un’obbligazione divisibile ed essendo stata la solidarietà prevista nell’interesse del creditore, l’applicazione dei criteri legali d’interpretazione dei contratti porti alla conclusione che la transazione ha avuto ad oggetto non l’intero debito ma solo la quota di esso riferibile al debitore che ha transatto; in caso contrario il condebitore ha diritto ad profittare della transazione senza che eventuali clausole in essa inserite possano impedirlo. Si è poi ulteriormente precisato che, qualora risulti che la transazione ha avuto ad oggetto solo la quota del condebitore che la ha stipulata, il residuo debito gravante sugli altri debitori in solido è destinato a ridursi in misura corrispondente all’ammontare di quanto pagato dal condebitore che ha transatto solo se costui ha versato una somma pari o superiore alla sua quota ideale di debito; se, invece, il pagamento è stato inferiore alla quota che faceva idealmente capo al condebitore che ha raggiunto l’accordo transattivo, il debito residuo gravante sugli altri coobbligati deve essere ridotto in misura proporzionale alla quota di chi ha transatto.
Alla stregua di tale principio, dal quale non si ha motivo di discostarsi, è agevole osservare, per un verso, che nel presente caso la transazione raggiunta tra la società attrice ed alcuni tra gli amministratori, direttori generali e sindaci asseritamente responsabili verso detta società ben poteva riguardare – come la corte di merito ha accertato essere in fatto accaduto – unicamente le quote di debito facenti capo a coloro che quella transazione hanno stipulato, senza che per questo gli altri convenuti vi si potessero opporre o potessero volerne profittare; per altro verso, che gli effetti di tale transazione sulla residua posizione debitoria di questi ultimi (nell’eventualità che venga in futuro accertata la loro responsabilità verso la società) dipendono dal rapporto tra quanto corrisposto dai condebitori transigenti e la quota ideale di debito ad essi imputabile.
Stando così le cose, è evidente come, per stabilire l’entità dell’eventuale residua responsabilità dell’attuale ricorrente, è effettivamente ineludibile che sia accertato se, ed in quale misura, tale responsabilità potesse gravare anche sugli altri soggetti che abbiano concorso nella produzione del danno da risarcire. Solo in tal modo sarà infatti possibile valutare quale sia il grado delle eventuali rispettive colpe, e quindi quale la quota ideale di responsabilità e di debito originariamente facente capo a ciascuno;
e, se è vero che l’art. 1298 c.c., comma 2 al pari del successivo art. 2055, u.c. fa presumere che tali quote di debito siano uguali, è altrettanto vero che si tratta di una presunzione relativa, superabile mediante la prova del contrario: di modo che, in presenza della domanda di uno dei corresponsabili volta a far graduare la propria colpa e quella degli altri condebitori solidali, non basta lo scioglimento del vincolo di solidarietà passiva, per effetto della transazione raggiunta tra questi ultimi ed il creditore, a far venire meno l’interesse del primo a tale accertamento.
Tuttavia, la necessità di dar corso al suindicato accertamento non implica che il giudizio d’appello debba svolgersi anche in contraddittorio con i corresponsabili i quali, per la loro parte, hanno già raggiunto una transazione con la società che sostiene di essere stata danneggiata. Quell’accertamento sarà ormai destinato soltanto a determinare, come s’è detto, la misura residua del debito che graverà sull’odierno ricorrente, qualora ne sia acclarata la responsabilità, ma in nessun modo potrà più riflettersi sulla posizione dei corresponsabili che hanno stipulato la transazione. Si è già sottolineato, infatti, come tale transazione, riguardando la sola quota di debito che faceva capo ai transigenti, abbia ormai provocato lo scioglimento della solidarietà passiva tra costoro e gli altri condebitori: sicchè questi ultimi, mentre vedranno ridursi l’ammontare del loro debito nei termini già dianzi chiariti, non potranno più vantare alcun diritto di regresso verso i primi.
Ne consegue che l’accertamento del grado di responsabilità ascrivibile a ciascuno di coloro che hanno concorso a cagionare il danno, ove dimostrato, è destinato a rimanere circoscritto ai rapporti processuali ancora in essere: dovrà necessariamente riferirsi anche alle condotte tenute dai soggetti ormai estromessi dal giudizio, ma rivestirà carattere meramente incidentale, senza alcuna necessità di ulteriore partecipazione di quei soggetti al giudizio medesimo.
3.2. Tutt’altra questione è quella riguardante l’estromissione dal giudizio della società assicuratrice, disposta dalla corte d’appello in base al duplice rilievo che la pattuita copertura assicurativa risultava espressamente limitata alle richieste d’indennizzo avanzate nel periodo di vigenza della polizza, la quale era stata invece già disdettata quando la richiesta di cui in questa causa si tratta fu formulata, e che da tale copertura era comunque esclusa la responsabilità per attività di sindaco di società (sentenza impugnata: pag. 49).
Il ricorrente sig. Pi., nel secondo motivo, si duole di tale decisione, ravvisandovi la violazione dell’art. 1362 c.c. e segg. e 1917 c.c., poichè sostiene che tanto la corretta interpretazione della volontà manifestata dalle parti del contratto, quanto la disposizione del citato art. 1917, condurrebbero alla conclusione secondo cui non la richiesta d’indennizzo, bensì il fatto dal quale tale richiesta trae origine, deve esser ricompreso nel periodo di vigenza della polizza.
3.2.1. La doglianza è però inammissibile, perchè non censura entrambe le due, autonome, rationes decidendi sulle quali è fondata la decisione impugnata. Nulla infatti il ricorrente dice in ordine alla circostanza che, come rilevato dalla corte d’appello, la polizza assicurativa in esame non copre il rischio derivante da attività di sindaco di società.
Un tale rilievo è certamente di per sè solo sufficiente ad escludere la fondatezza della pretesa azionata con la chiamata in causa della società assicuratrice. In difetto di censura espressa sul punto, e non potendo evidentemente questa corte comunque riesaminare il testo della polizza ed il tenore delle clausole in essa contenute, l’accertamento al riguardo compiuto dal giudice di merito è destinato a restare fermo: il che rende superflua ogni ulteriore discussione sul diverso tema sollevato nel motivo di ricorso di cui s’è detto.
4. La reiezione del ricorso del sig. Pi. esonera dall’esame del ricorso incidentale del sig. M., che è stato proposto solo in via subordinata.
5. L’esito del giudizio di legittimità comporta la condanna tanto del sig. P. quanto del sig. Pi. al pagamento delle spese di tale giudizio, liquidate come in dispositivo, in favore di ciascuno dei diversi controricorrenti.
P.Q.M.
La corte, riuniti i ricorsi, dichiara inammissibile quello proposto dal sig. P., rigetta quello proposto dal sig. Pi., dichiara assorbito quello proposto dal sig. M. e condanna sia il sig. P. sia il sig. Pi. al pagamento delle spese del giudizio di Legittimità, liquidate, in favore di ciascuno dei controricorrenti, in Euro 5.000,00 per onorari e 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.
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