Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole
Fatto
Con ricorso al Tribunale, giudice del lavoro, di Roma, notificato in data 22.9.2003, C. G., premesso di aver subito in data (Omissis) un infortunio sul lavoro, chiedeva la condanna dell’Inail alla costituzione della relativa rendita.
Con sentenza n. 533/04 de 28.9.2004 il Tribunale adito rigettava la domanda per intervenuta prescrizione.
Avverso tale sentenza proponeva appello il C. lamentandone la erroneità sotto diversi profili e chiedendo l’accoglimento delle domande proposte con il ricorso introduttivo.
La Corte di Appello di Roma, con sentenza in data 19.12.2006/12.4.2007, rigettava il gravame.
In particolare la Corte territoriale rilevava che, essendo l’infortunio occorso il (Omissis) ed essendo stata la domanda amministrativa all’Inail – volta ad ottenere le provvidenze di legge – presentata il 5.6.1985, da tale data decorreva, secondo consolidati principi giurisprudenziali, il termine prescrizionale di tre anni e 150 giorni, a nulla rilevando la circostanza che a seguito dell’infortunio l’interessato avesse patito una inabilità temporanea di 1.044 giorni, potendosi ragionevolmente presumere che la consapevolezza dell’esistenza della malattia e della sua origine professionale fosse sussistente già alla data della presentazione della domanda amministrativa. E rilevava altresì che nessuna incidenza sulla decorrenza del suddetto termine prescrizionale poteva attribuirsi al precedente esercizio, da parte del C., con citazione dinanzi al giudice ordinario, di altra domanda nei confronti del datore di lavoro, trattandosi di giudizio di convalida di sequestro con conseguente chiamata in garanzia dell’Inail da parte del convenuto – effettuata con atto di citazione notificato il 25.7.1989 – conclusosi con dichiarazione di incompetenza da parte del giudice ordinario con riferimento alla domanda nei confronti dell’Inail, e mai riassunto dinanzi al giudice del lavoro sebbene fosse stato assegnato termine a tal fine.
Avverso questa sentenza propone ricorso per cassazione C. G. con tre motivi di impugnazione.
Resiste con controricorso l’Istituto intimato.
Entrambe le parti hanno depositato memoria ex articolo 378 c.p.c..
Diritto
Col primo motivo di ricorso il ricorrente lamenta omessa, insufficiente contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per erronea qualificazione dell’oggetto del giudizio preventivamente istaurato davanti al giudice incompetente.
Rileva in particolare che erroneamente la Corte territoriale aveva affermato che tale giudizio aveva ad oggetto convalida di sequestro, atteso che in realtà in quel giudizio esso ricorrente aveva chiesto il risarcimento dei danni nei confronti dei datore di lavoro a seguito dell’infortunio patito, e la domanda azionata era stata partecipata all’Inail a seguito della chiamata in causa (in garanzia) effettuata dal predetto datore di lavoro. Pertanto erroneamente la Corte territoriale, argomentando dal rilievo che il giudizio in questione fosse solo di convalida di sequestro, non lo aveva ritenuto idoneo ad interrompere la prescrizione del diritto al risarcimento del danno.
Col secondo motivo di ricorso il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, del Decreto del Presidente della Repubblica n. 1124 del 1965, articolo 112 e degli articoli 2935 e 2943 c.c. per non avere considerato che la notificazione all’INAIL dell’atto di chiamata in garanzia dell’Inail, da parte del datore di lavoro convenuto nel giudizio risarcitorio, era fatto idoneo ad interrompere la prescrizione del diritto azionato dal ricorrente anche nei confronti dell’Inail, posto che la notificazione dell’atto di chiamata in causa estendeva al chiamato (Inail) la domanda azionata.
E pertanto erroneamente la Corte territoriale aveva ribadito l’intervenuta prescrizione atteso che la domanda dell’attore poteva ritenersi implicitamente estesa nei confronti del terzo chiamato il giudizio, e quindi la notificazione dell’atto di chiamata interrompeva la prescrizione del diritto azionato.
Col terzo motivo di ricorso il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, del Decreto del Presidente della Repubblica n. 1124 del 1965, articolo 112 e degli articoli 2935 e 2943 c.c. per non avere considerato che la prescrizione del diritto alla rendita da inabilità permanente iniziava a decorrere solo dopo il consolidarsi dei postumi permanenti.
In particolare rileva che erroneamente la Corte territoriale aveva ritenuto che il termine prescrizionale iniziasse a decorrere dalla data della domanda amministrativa atteso che la giurisprudenza di legittimità aveva costantemente ancorato l’inizio della prescrizione del diritto alla rendita da inabilità permanente al "consolidamento dei postumi permanenti", in conseguenza dell’impossibilità giuridica di far decorrere la prescrizione di un diritto – quello all’indennizzo di un quadro permanente – mentre questo diritto ancora non esisteva, a causa dell’esistenza di un quadro patologico prodromico costituito dall’invalidità temporanea.
Il ricorso non può trovare accoglimento.
Ed invero, per quel che riguarda i primi due motivi di ricorso, che il Collegio ritiene di dover trattare unitariamente essendo tali motivi strettamente connessi, osserva il Collegio che il giudizio incoato dal ricorrente nei confronti del datore di lavoro aveva per oggetto la richiesta di risarcimento dei danni a seguito dell’infortunio patito, e cioè concerneva l’esistenza di un diritto diverso dal diritto alle prestazioni previdenziali erogate dall’Istituto assicuratore.
Da ciò consegue che la chiamata in giudizio dell’Inail da parte del datore di lavoro, per essere garantito in relazione alla domanda risarcitoria esercitata nei suoi confronti dal lavoratore, ha un petitum ed una causa petendi diversi rispetto a quelli propri della azione del lavoratore volta al conseguimento delle prestazioni previdenziali.
Osserva in proposito il Collegio che il principio dell’estensione automatica della domanda dell’attore al chiamato in garanzia da parte del convenuto trova applicazione allorquando la chiamata del terzo sia effettuata al fine di ottenere la liberazione dello stesso convenuto dalla pretesa dell’attore, in ragione del fatto che il terzo si individui come unico obbligato nei confronti dell’attore ed in vece dello stesso convenuto; il che si verifica allorquando il convenuto evocato in causa estenda il contraddittorio nei confronti di un terzo assunto come l’effettivo titolare passivo della pretesa dedotta in giudizio dall’attore. Il suddetto principio non opera invece allorquando il chiamante faccia valere nei confronti del chiamato un rapporto, diverso da quello dedotto dall’attore quale causa petendi, come avviene nell’ipotesi di chiamata di un terzo in garanzia, propria o impropria (Cass. sez. 3, 1.6.2006 n. 13131; Cass. sez. 3, 8.6.2007 n. 13374).
D’altronde, in base al principio generale posto dall’articolo 2943 c.c., non ogni domanda ha effetto interattivo della prescrizione, ma soltanto quella con cui l’attore chiede il riconoscimento e la tutela dello specifico diritto del quale si eccepisca poi la prescrizione; e certamente nessuna domanda di costituzione della rendita per inabilità permanente aveva, nel suddetto giudizio conclusosi con sentenza declaratoria di incompetenza, azionato il Cu. nei confronti dell’Inail.
A ciò deve aggiungersi, comunque, che la disposizione posta dall’articolo 2945 c.c., comma 2 intesa a non far correre la prescrizione nel tempo richiesto per la realizzazione del diritto in via giurisdizionale, non può trovare applicazione quando lo stesso creditore, dopo aver posto in giudizio una determinata domanda, non la coltivi; circostanza verificatasi nel caso di specie laddove la Corte territoriale ha evidenziato che, avendo il giudice di primo grado concesso il termine di sei mesi per la riassunzione del giudizio nei confronti dell’Inail davanti al giudice del lavoro, tale riassunzione non risultava essere avvenuta. E pertanto deve escludersi qualsivoglia effetto permanente alla dedotta interruzione della prescrizione, in ipotesi verificatasi con l’istaurazione del giudizio, in data 25.7.1989, dinanzi a giudice incompetente.
I suddetti motivi di ricorso non possono pertanto trovare accoglimento, ed in tale statuizione rimane assorbito il terzo motivo di ricorso ove si osservi che, essendo stata l’azione – per il conseguimento della rendita da inabilità permanente – incoata il 22.9.2003, il relativo diritto, anche alla stregua della prospettazione di parte ricorrente secondo cui l’azione avrebbe potuto essere iniziata solo dopo il decorso del periodo di tre anni e 150 giorni dal consolidamento dei postumi invalidanti verificatosi al termine del periodo di 1044 giorni di invalidità temporanea, e cioè dal 17,2.1993, si era ormai prescritto.
Il motivo è comunque infondato.
Dispone il Decreto del Presidente della Repubblica n. 1124 del 1965, articolo 122 che "l’azione per conseguire le prestazioni di cui al presente titolo si prescrive nel termine di tre anni dal giorno dell’infortunio o da quello della manifestazione della malattia professionale".
Sul punto questa Corte ha avuto modo di evidenziare (Cass. sez. lav., 18.8.2004 n. 16178) che la "manifestazione", quale fatto normativamente previsto dall’indicato articolo 112, è la forma oggettiva che assume il fatto, nel suo essere manifesto, e che consente al fatto stesso di essere conosciuto; è, in definitiva, Soggettiva possibilità che il fatto sia conosciuto dal soggetto interessato, e cioè la sua "conoscibilità". E tale conoscibilità coinvolge l’esistenza della malattia, ed i suoi caratteri di professionalità ed indennizzabilità.
Alla stregua di quanto sopra deve escludersi l’esistenza, nell’impugnata sentenza, del dedotto vizio di violazione di legge, atteso che l’interpretazione della disposizione in parola fornita dalla Corte territoriale è assolutamente conforme al contenuto normativo della disposizione in questione.
Ed invero i giudici di merito, applicando correttamente i principi sopra esposti, hanno ritenuto che la consapevolezza dell’esistenza della malattia e della sua origine professionale potesse ragionevolmente presumersi sussistente già alla data della domanda amministrativa, atteso che, senza tale consapevolezza, l’istanza sarebbe stata palesemente infondata e pretestuosa.
Dovendosi altresì rilevare, in ordine alla ritenuta consapevolezza, che trattasi di una valutazione di merito in relazione alla quale, avendo la Corte territoriale evidenziato, in maniera coerente e corretta, le ragioni che rendevano pienamente contezza dei proprio convincimento e dell’iter motivazionale attraverso cui era pervenuta alla suddetta conclusione, resta escluso qualsiasi controllo in sede di legittimità.
Il ricorso va pertanto rigettato.
Nessuna statuizione va adottata per quel che riguarda le spese di giudizio, ricorrendo le condizioni previste per l’esonero del soccombente dal rimborso a norma dell’articolo 152 disp. att. c.p.c., nel testo originario, quale risultante a seguito della sentenza costituzionale n. 134 del 1994, non essendo applicabile al presente giudizio la modificazione introdotta dal Decreto Legge 30 settembre 2003, n. 269, articolo 42, u.c., convertito in Legge 24 novembre 2003, n. 326, trattandosi di giudizio introdotto prima del 2 ottobre 2003 (data di entrata in vigore del decreto).
P.Q.M.
LA CORTE
rigetta il ricorso. Nulla per le spese.
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