Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
1.- All’esito di gara pubblica il Comune di Bonassola affidò alla società Moscatedil, con contratto in data 25 marzo 1998, l’appalto riguardante i lavori di riqualificazione urbana e ambientale di un’area pubblica del centro storico comunale (in particolare, pavimentazione e arredo urbano, ristrutturazione dei giardini pubblici e del campo di bocce) per il corrispettivo di L. 1.556.972.753, al netto del ribasso d’asta. Nel corso del rapporto furono eseguiti lavori aggiuntivi approvati con perizia di variante che riconobbe come dovuto un ulteriore importo di L. 63.279.920, contestato dall’impresa che chiese il pagamento di maggiori compensi a vario titolo.
2.- La società appaltatrice convenne in giudizio il Comune di Bonassola davanti al Tribunale di La Spezia e ne chiese la condanna a pagare il saldo del prezzo nonchè gli importi indicati in numerose riserve e varie somme a titolo risarcitorio.
Il Tribunale rigettò le domande concernenti le riserve, ritenendo che, trattandosi di appalto "a corpo" nel quale il prezzo era fisso e invariabile, l’esistenza di varianti non ne comportava la trasformazione in appalto "a misura"; condannò il Comune a pagare il saldo finale dei lavori, detraendo la penale dovuta dall’impresa per tre giorni di ritardo nella conclusione dei lavori, oltre interessi dalla domanda giudiziale.
3.- La suddetta sentenza, avverso la quale fu proposto appello dall’appaltatrice, fu riformata dalla Corte di appello di Genova, con sentenza del 10 ottobre 2009, notificata l’11 giugno 2010, la quale condannò il Comune a pagare il maggiore importo di L. 213.335.277 (corretto in L. 278.335.277 con ordinanza del 25 marzo 2010) per le riserve riguardanti i maggiori compensi relativi ai lavori eseguiti in variante nonchè al trasporto dei materiali, nonchè le somme dovute per il ritardo nel pagamento del settimo s.a.l. e dello stato finale e per il ritardo nello svincolo della cauzione, oltre interessi con decorrenza dalle date di maturazione dei singoli crediti; inoltre escluse la debenza della penale da parte dell’appaltatrice, rigettando l’appello incidentale del Comune che ne chiedeva l’applicazione per 136 giorni di ritardo nella conclusione dei lavori; riconobbe gli interessi moratori dalla data di maturazione del credito.
4.- Il Comune di Bonassola propone ricorso per cassazione con dodici motivi.
La società Moscatedil resiste con controricorso.
Motivi della decisione
1.- La Corte genovese, per quanto ancora rileva, ha ritenuto che la circostanza che l’appalto fosse "a corpo" non implicava che non dovessero essere compensati i lavori aggiuntivi (varianti) resisi necessari in corso d’opera e ordinati dal committente e che comunque l’appalto non escludesse l’esistenza di opere "a misura", come si desumeva dalla previsione contrattuale del computo metrico che, indicando le singole quantità e i relativi prezzi, non poteva che comportare una variazione dei corrispettivi al variare delle quantità (con riferimento all’ampliamento del capannone del campo di bocce e della superficie stradale da pavimentare); che la liquidazione del compenso dovuto dal Comune per il trasporto dei materiali fosse affetta da un errore di calcolo rettificabile; che la sospensione dei lavori disposta dall’impresa fosse giustificata non solo per i centotrentatre giorni necessari per l’approvazione della variante, ma anche (diversamente da quanto ritenuto dal tribunale) per i tre giorni occorsi per la ripresa dei lavori dopo l’approvazione, considerando il tempo tecnico necessario per la riattivazione del cantiere; che del ritardo nello svincolo della cauzione fosse responsabile la committente, per il ritardo nell’approvazione del collaudo finale.
2.- Nel primo motivo di ricorso si deduce vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5) articolato in due profili principali che si riassumono nel modo che segue.
Nel primo si deduce insufficienza della motivazione, per avere erroneamente interpretato la sentenza del tribunale come se questa avesse escluso che, trattandosi di appalto "a corpo", potessero essere compensati a parte i lavori ulteriori resisi necessari nel corso dell’esecuzione dei lavori. L’Amministrazione aveva invece riconosciuto il diritto dell’impresa di essere pagata per le varianti autorizzate ed eseguite, essendo contestato esclusivamente il criterio di contabilizzazione delle stesse.
Il secondo profilo censura l’insufficiente motivazione per avere ritenuto che il corrispettivo contrattuale fosse stato determinato "a misura" o in modo misto (in parte "a corpo" e in parte "a misura"), a tal fine valorizzando la presenza dei computi metrici. Da ciò, e senza spiegare il perchè, la sentenza impugnata aveva fatto discendere il diritto dell’impresa a ricevere un compenso determinato "a misura", superiore a quello riconosciuto dalla direzione lavori, non solo per le varianti ma per tutti lavori che, una volta eseguiti, erano stati "misurati" e pagati mediante applicazione del prezzo unitario offerto dall’appaltatore moltiplicato per le quantità effettivamente realizzate. Poichè invece il compenso era stato pattuito "a corpo", potevano essere (ed erano stati dalla direzione lavori) determinati "a misura" solo le varianti, limitatamente alle quantità variate (come ad esempio, la pavimentazione in eccedenza rispetto alla previsione del progetto, la maggiore estensione del campo da bocce e la struttura del tetto), mentre le parti di opere rimaste invariate potevano essere (ed erano state) compensate secondo il prezzo "a corpo" offerto dall’appaltatore indipendentemente dalla loro effettiva misura. Nel secondo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3) per avere la sentenza impugnata violato il principale canone interpretativo costituito dal senso letterale delle espressioni usate nel testo contrattuale che imponeva di qualificare l’appalto "a corpo", con tutte le conseguenze dovute, come risultava dalla delibera di indizione della gara, dal capitolato speciale e dagli stessi computi metri estimativi, i quali precisavano, tra l’altro, che "in caso di appalto a corpo le misure ed i relativi calcoli si intendono indicativi".
Nel terzo motivo si deduce violazione dell’art. 326 c.p.c., comma 2, della L. n. 2248 del 1865, all. F, artt. 343 e 344 e art. 1661 c.c., comma 1, 2 periodo, (art. 360 c.p.c., n. 3) sulla invariabilità del prezzo globalmente pattuito ("a corpo"), senza possibilità di procedere ad una verifica delle misure reali delle opere eseguite, mentre potevano essere compensate mediante determinazione "a misura" le sole parti variate, non anche quelle non coinvolte dalle varianti, come invece avvenuto.
2.1- I suddetti tre motivi possono essere esaminati congiuntamente e vanno accolti.
Non v’è controversia tra le parti sul fatto che il contratto di appalto fosse "a corpo": l’art. 2 (il cui testo è stato trascritto in ricorso) prevedeva che "l’importo totale dei lavori, al netto del ribasso d’asta, verrà compensato "a corpo"; tale compenso sarà fisso ed invariabile".
La L. n. 2248 del 1865, all. F, art. 326 (abrogato dal D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 256) dispone che "Per le opere o provviste a corpo, il prezzo convenuto è fisso e invariabile, senza che possa essere invocata dalle parti contraenti alcuna verificazione sulla misura o sul valore attribuito alla qualità di dette opere o provviste" (comma 2); "Per le opere appaltate a misura, la somma prevista nel contratto può variare, tanto in più quanto in meno, secondo la quantità effettiva delle opere eseguite. Per l’esecuzione loro sono fissati nel capitolato d’appalto prezzi variabili per unità di misura e per ogni specie di lavoro" (comma 3). La distinzione tra le suddette due tipologie di appalto assume rilevanza nella fase esecutiva del rapporto conseguente alla stipulazione del contratto, nel senso che, mentre nell’appalto "a misura" il corrispettivo può variare in più o in meno rispetto all’ammontare pattuito in funzione della maggiore o minore quantità di lavoro eseguito, nell’appalto "a corpo" (o a forfait) il prezzo convenuto è fisso ed invariabile in quanto riferito all’opera considerata globalmente, senza che nessuna delle parti contraente possa pretendere una modifica del prezzo convenuto, sulla base di una verifica delle quantità delle lavorazioni effettivamente eseguite. Ne consegue che l’offerente formula la propria offerta economica dopo avere determinato, sulla base dei grafici di progetto e delle specifiche tecniche contenute nel capitolato speciale d’appalto, i fattori necessari per la realizzazione dell’opera finita in ogni sua parte (quantità e costi dei materiali occorrenti, produttività e costi delle maestranze, ecc.). Ne discende la immodificabilità del prezzo "a corpo", con assunzione da parte dell’appaltatore dell’alea rappresentata dalla maggiore o minore quantità dei fattori produttivi che si rendano necessari rispetto a quella prevista nell’offerta (in tal senso è anche la deliberazione dell’Autorità di vigilanza sui lavori pubblici, 21 febbraio 2002 n. 51). Al fine di preservare l’equilibrio contrattuale, è necessario che l’appaltatore, al momento dell’offerta, possa correttamente rappresentarsi tutti gli elementi che possono influire sulla sua previsione di spesa (a norma del D.P.R. n. 10631 del 1962, art. 7, u.c., abrogato dal D.P.R. n. 554 del 1999, "Il capitolato speciale ed i disegni devono contenere gli elementi sufficienti ad individuare la consistenza qualitativa e quantitativa delle varie specie di opere comprese nell’appalto").
Solo in tal caso si può ritenere che la maggiore onerosità dell’opera rientri nell’alea normale del contratto, anche tenendo conto degli obblighi di buona fede che discendono dagli artt. 1175 e 1375 c.c. (vd. Cass. n. 18559/2011). Ciò spiega perchè il progetto debba essere immediatamente realizzabile e corredato dal computo metrico consistente nell’indicazione dei lavori, delle misure, quantità di materiali e opere per ciascuna categoria, la cui utilità è in funzione della definizione dell’oggetto dei lavori da eseguire (Cons. Stato, sez. 2^, 7 marzo 2001 n. 149); ma anche il committente dev’essere posto in grado di valutare l’eventuale anomalia dell’offerta, verificando le singole componenti o voci da cui scaturisce l’offerta finale del prezzo globale (Cons. Stato, sez. 6, 14 gennaio 2002 n. 157; sez. 6, 20 febbraio 2002 n. 1067).
L’equilibrio contrattuale può però essere alterato per effetto di variazioni o aggiunte non previste dal contratto, essendo l’appaltatore obbligato ad assoggettarsi alle modifiche della qualità e quantità dei lavori disposte dal committente non soltanto per circostanze sopravvenute, ovvero non previste e non prevedibili al momento della stipulazione, ma anche per ragioni di mera opportunità, demandate al suo insindacabile apprezzamento, semprechè le varianti non comportino aumenti superiori al quinto dell’originario corrispettivo e rispettino la natura essenziale delle opere (L. n. 2248 del 1865, all. F, art. 344 abrogato dal D.P.R. n. 207 del 2010, art. 358). Il principio di immodificabilità del prezzo "a corpo" può quindi subire una deroga, dovendo i lavori aggiuntivi essere compensati con un corrispettivo ulteriore. Infatti, la modalità di pagamento del corrispettivo "a corpo" non trasforma l’appalto in contratto aleatorio, rispondendo ad un principio generale (valido anche nell’appalto tra privati, alle condizioni di cui all’art. 1661 c.c.) la possibilità di modificare il prezzo in presenza di variazioni tipologiche e dimensionali dell’opera. Nel caso in esame, la perizia di variante disposta dal committente ha comportato una modificazione incidente in misura notevolmente inferiore al quinto (e anche al cinque per cento) dell’importo totale dei lavori al netto del ribasso d’asta, per la quale, contrariamente a quanto ritenuto dalla sentenza impugnata, il Comune di Bonassola non ha contestato il diritto dell’appaltatore al pagamento di un importo ulteriore, essendo contestato solo il criterio di calcolo. E’ su questo aspetto che questa Corte è stata sollecitata a focalizzare l’attenzione. A tal fine la Corte genovese ha sostanzialmente operato una rideterminazione "a misura" del compenso per tutti lavori eseguiti, mediante applicazione del prezzo unitario offerto dall’appaltatore moltiplicato per le quantità effettivamente realizzate.
Tuttavia, trattandosi di appalto "a corpo", solo le varianti potevano essere determinate "a misura", limitatamente alle quantità variate, mentre le parti di opere rimaste invariate dovevano essere compensate secondo il prezzo "a corpo" offerto dall’appaltatore indipendentemente dalla loro effettiva misura. Per questa tipologia di appalti, infatti, "i lavori in variante possono essere disposti esclusivamente per le opere in più o in meno rispetto alle previsioni di progetto con la conseguenza che la perizia di variante non deve rielaborare le quantità dei lavori non interessanti le variazioni supplementari o riduttive, anche se le quantità originarie, previste nei computi metrici del progetto, sono di valore differente rispetto alle quantità risultanti in fase di esecuzione;
in caso contrario si cadrebbe nell’equivoco di trasformare in sede consuntiva un appalto a corpo in un appalto a misura" (in tal senso è la citata deliberazione dell’Autorità di vigilanza; anche secondo Cons. Stato n. 149/2001 cit. un appalto "a corpo" non può divenire, in progressione e in relazione alla determinazione del prezzo, un appalto "a misura").
Contrariamente a quanto ritenuto dalla società controricorrente, la presenza del computo metrico non muta affatto la natura dell’appalto "a corpo" in appalto "a misura", avendo essa rilievo nella fase precontrattuale ai fini della rappresentazione dell’oggetto del contratto da parte dei contraenti, senza però incidere direttamente sulla determinazione del prezzo che è quello globale offerto dall’appaltatore. E’ significativo che il contratto prevedesse che "in caso di appalto a corpo le misure ed i relativi calcoli si intendono indicativi" (in altri termini, "le voci dell’analisi dei prezzi assolvono una funzione esplicativa che non innova il titolo di pagamento, costituito dall’opera in sè considerata": Cons. Stato n. 149 del 2001 cit.), sempre che il prezzo non debba subire un incremento, come avviene in presenza di ulteriori o diverse lavorazioni rispetto a quelle contemplate nel contratto. In tal caso, infatti, l’elenco prezzi analitico, che di per sè è irrilevante nell’appalto a "corpo", può acquisire rilevanza in fase di esecuzione dell’appalto, proprio per quantificare il prezzo delle varianti (Cons. Stato, sez. 6, 4 agosto 2009 n. 4903), ma senza provocare una rideterminazione generale del prezzo.
3.- Nel quarto motivo si deduce violazione della L. n. 2248 del 1865, all. F, art. 326, comma 2, e art. 1430 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3) per aver ritenuto che la liquidazione del compenso operata dal Comune per il trasporto dei materiali fosse affetta da errore di calcolo (nella indicazione dell’importo di L. 7.254.311 anzichè di L. 72.543.312), giudicato dal ricorrente insussistente e insuscettibile di rettifica in quanto, in sede di offerta, il prezzo "a corpo" era stato ritenuto dall’appaltatrice come globalmente remunerativo, anche tenuto conto della percentuale di ribasso, e idoneo a compensare eventuali errori concernenti le misure e i calcoli contenuti nel computo metrico.
3.1.- Il motivo è fondato.
Secondo dottrina autorevole, il richiamo ai prezzi unitari e ai calcoli contenuti nel computo metrico non può avere altro valore che di semplice traccia indicativa delle modalità di formazione del prezzo globale, destinata a restare nella fase precontrattuale e fuori dal contenuto del contratto. Se ne ha conferma nella L. n. 2248 del 1865, all. F, art. 330 (abrogato dal D.P.R. n. 554 del 1999, art. 231): "Fanno parte integrale del contratto i disegni delle opere che si devono eseguire, ed il capitolato speciale di appalto, esclusi tutti gli altri documenti di perizia che erano annessi al progetto".
Per l’appaltatore che partecipi alla gara per l’affidamento dell’appalto sono vincolanti solo il capitolato speciale e il progetto dell’opera. Se anche nelle analisi per la formazione dei prezzi di tariffa e nei computi metrici sia presente un errore, non v’è titolo per chiederne la revisione, perchè ciò che conta è solo il prezzo offerto dalla stazione appaltante che l’appaltatore è libero di accettare ma, se lo accetta, esso è vincolante, indipendentemente dall’esattezza o meno degli elementi valutati ai fini della sua formazione. Se così non fosse, verrebbe meno la funzione del prezzo "a corpo" che è quella di predeterminare il corrispettivo per l’opera nel suo insieme e non per le quantità di lavoro occorrenti alla sua esecuzione.
Pertanto, l’eventuale difformità fra il prezzo globale offerto e quello ottenuto applicando i prezzi unitari dell’elenco alle quantità previste dal computo metrico, da luogo, in ipotesi, ad un errore per falsa conoscenza o rappresentazione dei dati posti a fondamento del computo, ma non ad un errore di calcolo nel senso di errore materiale in operazioni aritmetiche (cioè di computo di dati correttamente presupposti), rettificabile ai sensi dell’art. 1430 c.c.. In altri termini, un errore di calcolo non può configurarsi nell’ipotesi in cui il corrispettivo sia fissato in una somma fissa e invariabile, in cui non è possibile un riferimento ad unità di misura che sono estranee alla previsione contrattuale (Cass. n. 1971 del 1953 ha escluso l’applicazione dell’art. 1430 c.c. nel caso di vendita in massa in cui il venditore è obbligato a dare e il compratore a ricevere tutta la merce in massa, identificata o identificabile, per la quale è stata stipulata la convenzione, con determinazione di un prezzo globale, ma prescindendo da ogni indicazione di peso, numero e misura).
4.- Nel quinto motivo si deduce violazione del D.L. n. 101 del 1995, art. 1, comma 4, L. n. 2248 del 1865, all. F, art. 364 del R.D. n. 350 del 1895, artt. 53 e 54 e art. 1362 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3) per avere ritenuto non necessaria l’iscrizione della riserva relativa al compenso per il trasporto dei materiali, in quanto afferente alla correzione di un mero errore di calcolo.
Nel sesto motivo, con riguardo alla medesima voce, si deduce violazione dell’art. 112 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 4), per non avere la sentenza impugnata esaminato l’eccezione riproposta in appello di tardività dell’iscrizione nei documenti contabili.
4.1.- Entrambi i motivi sono inammissibili per carenza di interesse da parte del ricorrente, essendo stata esclusa la rettificabilità del dedotto errore nel senso invocato dall’appaltatore (vd. il precedente motivo). Inoltre le doglianze riguardano una domanda formalizzata in una riserva comunque iscritta nel registro di contabilità in data 28 settembre 1998, cioè non tardivamente, come implicitamente ritenuto dalla Corte genovese che ha accolto nel merito la domanda di pagamento dell’appaltatore.
5.- Nel settimo motivo si deduce falsa applicazione dell’art. 1460 c.c. e violazione della L. n. 2248 del 1865, all. F, artt. 340 e 341 (principio di continuità negli appalti pubblici) nonchè degli artt. 1175 e 1375 c.c., per avere erroneamente ritenuto legittima la sospensione dei lavori disposta dall’appaltatrice per il ritardo nell’approvazione della perizia di variante e, di conseguenza, non dovuta la penale applicata dal Comune committente per centotrentasei giorni (compresi i tre giorni di ritardo nella ripresa dei lavori dopo la comunicazione dell’avvenuta approvazione della variante). Ad avviso del ricorrente, la sospensione unilaterale dei lavori non era giustificata e costituiva grave inadempimento contrattuale per violazione dei principi di buona fede e correttezza.
5.1.- Il motivo è fondato.
L’appaltatore di opere pubbliche non ha la facoltà di sospendere i lavori quando ravvisi la necessità di una variante al progetto originario, se non vi è alcuna necessità di ordine tecnico che impedisca la prosecuzione dei lavori progettati, e non ha diritto al risarcimento dei danni conseguenti a tale volontaria sospensione, ancorchè la richiesta variante sia successivamente adottata dalla stazione appaltante e approvata dalle autorità competenti atteso che tale approvazione non ha il valore di una ratifica della sospensione unilateralmente adottata dall’appaltatore (Cass. n. 9794^994).
Analogamente, il ritardo nell’approvazione di una variante disposta dal committente non esonera l’appaltatore dall’adempimento degli obblighi derivanti dal contratto, non potendosi pertanto riconoscere la legittimità dell’abbandono unilaterale dei lavori da parte dello stesso.
6.- Nell’ottavo motivo, concernente il danno per il ritardato svincolo della cauzione conseguente al ritardo nell’approvazione del collaudo, si deduce la violazione dell’art. 112 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 4) per omessa decisione sull’appello incidentale nel quale l’Amministrazione aveva eccepito la decadenza dell’appaltatore per mancata iscrizione della riserva.
6.1.- Il motivo è infondato.
Infatti, la sentenza impugnata, accogliendo nel merito la domanda dell’appaltatore, ha deciso implicitamente sull’eccezione di decadenza rigettandola (nel senso che non è configurabile il vizio di omessa pronuncia quando il rigetto di una domanda sia implicito nella costruzione logico-giuridica della sentenza, con la quale venga accolta una tesi incompatibile con tale domanda, v. Cass. n. 10052 del 2006).
7.- il nono motivo concerne la dedotta violazione della L. n. 741 del 1981, art. 5 (art. 360 c.p.c., n. 3) a proposito del ritardato svincolo della cauzione, ritenendo il ricorrente che nessun danno era stato subito dall’appaltatore, il quale, scaduti i termini legali per l’emissione e l’approvazione del collaudo, aveva diritto alla restituzione della cauzione e quindi il mantenimento della stessa oltre i termini era stato il frutto di una sua libera scelta.
7.1.- Il motivo è infondato.
La sentenza impugnata ha accolto la domanda risarcitoria, sul presupposto del ritardo nell’approvazione del collaudo da parte dell’Amministrazione, la quale, quindi, ne doveva sopportare le conseguenze. La decisione è conforme a diritto, anche se va corretta la motivazione, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 4, alla luce del principio secondo cui, con riferimento alla polizza cauzionale stipulata dall’appaltatore di opera pubblica con impresa di assicurazione a garanzia degli impegni assunti verso l’Amministrazione committente, il rapporto tra i contraenti è soggetto, anche in ordine alla durata del contratto, ai patti della polizza medesima, che possono prevedere la persistenza del contratto, con il consequenziale obbligo di pagamento del premio, fino alla certificazione del collaudo o della regolare esecuzione dei lavori (Cass. n. 14621/2009). Nella specie, l’art. 51 del capitolato speciale d’appalto (nel testo riportato nel controricorso) prevedeva che "la garanzia cesserà di avere effetto solo alla data di emissione del certificato di collaudo". L’impresa era quindi contrattualmente vincolata al mantenimento della garanzia e al versamento dei premi fino alla emissione vera e propria del certificato di collaudo e non al mero decorso del termine previsto dalla legge.
8.- Il decimo motivo censura il riconoscimento degli interessi di mora, anzichè di quelli legali, in violazione dell’art. 1362 c.c. e del D.P.R. n. 1063 del 1962, art. 36, comma 4, (quest’ultimo applicabile in quanto richiamato in contratto), secondo cui, sulle somme contestate e riconosciute in sede amministrativa o contenziosa, gli interessi legali cominciano a decorrere solo trenta giorni dopo la data della registrazione alla Corte dei Conti del decreto emesso in esecuzione dell’atto con cui sono state risolte le controversie.
8.1.- Il motivo è infondato alla luce del principio secondo cui la decorrenza degli interessi sulle somme spettanti all’appaltatore di opere pubbliche a far data dal trentesimo giorno successivo alla registrazione del decreto di esecuzione della decisione della controversia (D.P.R. n. 1063 del 1962, art. 36) riguarda solo le somme dovute in dipendenza di controversie definite in via amministrativa od arbitrale e non trova applicazione nei giudizi ordinari, per i quali vale il principio di diritto comune della decorrenza degli interessi legali dalla data della domanda giudiziale, in quanto la norma citata, predisposta in favore dell’Amministrazione dello Stato, ha carattere eccezionale e, quindi, non è interpretabile estensivamente (Cass. n. 5792/1982; nel senso che la suddetta norma è inapplicabile agli interessi sulle somme contestate dall’Amministrazione e attribuite all’appaltatore per effetto dell’accoglimento della domanda giudiziale da questi proposta, v. Cass. n. 4444/1993).
9.- L’undicesimo motivo concerne la dedotta violazione degli artt. 99 e 112 c.p.c. per ultrapetizione (art. 360 c.p.c., n. 4) a proposito della disposta decorrenza degli interessi (sugli importi riconosciuti dai giudici di appello come dovuti) "dal giorno della mora, che coincide con le date in cui… dovevano essere eseguiti i pagamenti", con l’effetto di avere riconosciuto interessi moratori non richiesti dalla parte e in base a un dies a quo da essa non indicato.
9.1.- Il motivo è infondato.
La sentenza impugnata ha qualificato la domanda dell’appaltatore di attribuzione degli "interessi" senza altra specificazione circa la loro natura, come domanda diretta al conseguimento degli interessi moratori di cui all’art. 1224 c.c.. Ne consegue che si è di fronte ad una interpretazione della domanda rimessa in via esclusiva al giudice del merito (Cass. n. 1701/2006). Nè nella disposta decorrenza degli interessi da data antecedente alla domanda giudiziale è ravvisabile il vizio di ultrapetizione, avendo nel giudizio di merito l’impresa chiesto gli interessi "quanto meno dalla data di approvazione dello stato finale".
10.- Il dodicesimo motivo, formulato in via subordinata, concerne la dedotta violazione degli artt. 1219 e 1224 c.c. e la falsa applicazione della L. n. 741 del 1981, art. 4 e del D.P.R. n. 1063 del 1962, artt. 35 e 36 per avere la sentenza impugnata applicato erroneamente le suddette norme riguardanti gli interessi moratori per il ritardato pagamento degli acconti e del saldo del prezzo contrattuale nella diversa ipotesi del pagamento di integrazioni del corrispettivo richieste con riserve a vario titolo; pertanto, non sussistendo un atto anteriore di costituzione in mora, gli interessi avrebbero potuto essere riconosciuti soltanto dalla domanda giudiziale, anzichè "dalle data delle singole scadenze al saldo".
10.1.- Il motivo è fondato.
Il D.P.R. n. 1063 del 1962, artt. 35 e 36 che attribuiscono all’appaltatore il diritto alla corresponsione di interessi di mora in varia misura predeterminata e con varie decorrenze in caso di ritardo dell’Amministrazione, si riferiscono esclusivamente al pagamento dell’acconto e del saldo del prezzo contrattuale e non sono analogicamente od estensivamente applicabili ad altre diverse ipotesi, come quelle del ritardato pagamento di somme giudizialmente liquidate all’appaltatore a titolo di maggior compenso, anche per varianti eseguite dall’appaltatore, nè in caso di inadempimenti ad obblighi dell’amministrazione (Cass. n. 5278 del 2007, n. 547 del 1997, n. 47561986, n. 2102 del 1982). Di conseguenza, la sentenza impugnata è incorsa nel vizio denunciato, avendo fatto decorrere gli interessi di mora (per il ritardo nei pagamenti "dipeso da fatto del debitore") "dalle date delle singole scadenze al saldo" "in cui…
dovevano essere eseguiti i pagamenti", cioè da epoca antecedente a quella della domanda giudiziale che, secondo il diritto comune, vale come atto di costituzione in mora (Cass. n. 1527/1973, n. 3398/1971).
11.- In conclusione, la sentenza impugnata dev’essere cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio della causa per un nuovo esame ad altro giudice, che si atterrà ai principi di diritto esposti nei paragrafi 2.1, 3.1, 5.1 e 10.1 e, alla luce di essi, rivaluterà le risultanze fattuali.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo, secondo, terzo, quarto, settimo e dodicesimo motivo e rigetta gli altri; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Genova, in diversa composizione, anche per la decisione sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1 Sezione civile, il 10 maggio 2012.
Depositato in Cancelleria il 7 giugno 2012
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