Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
Il Tribunale di Roma, dopo che con decreto 13 febbraio 1999 era stata ritenuta ammissibile l’azione, con sentenza del 27 giugno 2008, dichiarava che K.P., nata a (OMISSIS), è figlia naturale di G.P.P., deceduto il (OMISSIS).
L’impugnazione di B.L., già coniuge ed erede del G., è stata respinta dalla Corte di appello di Roma, la quale con sentenza del 14 luglio 2010 ha osservato: a)che la K. era attivamente legittimata ad esercitare l’azione pur se aveva utilmente esperito disconoscimento della paternità di K.W. (sentenza 8319/1999 del Tribunale di Roma) perchè non le era stato imposto l’uso del cognome materno in luogo di quello del padre disconosciuto;e perchè, d’altra parte, l’uso erroneo del cognome K. non aveva comportato alcuna incertezza identificativa in ordine al suo stato di figlia di M.A.M., nonchè di destinataria della pronuncia di disconoscimento del K., già coniuge della madre; b) che all’utile esercizio dell’azione di riconoscimento non ostava la sentenza definitiva 26 maggio 1958 del Tribunale di S. Marino, resa efficace in Italia,che aveva dichiarato nullo il matrimonio tra il K. e la M. per impotentia coeundi di quest’ultima, in quanto la statuizione ivi assunta sul suo perdurante status di figlia legittima della coppia non costituiva giudicato sulla sua paternità; nè poteva impedirne il disconoscimento attuato con la successiva decisione 8319/99 del Tribunale di Roma.
Per la cassazione della sentenza la B. ha proposto ricorso per 4 motivi cui resiste K.P. con controricorso.
Motivi della decisione
Con il primo motivo del ricorso B.L., deducendo violazione dell’art. 100 cod. proc. civ. censura la sentenza impugnata per avere attribuito a K.P. la legittimazione attiva a promuovere l’azione rivolta ad ottenere la dichiarazione di paternità del defunto marito G.P. senza considerare che costei aveva vittoriosamente esperito azione di disconoscimento della paternità di K.W.; per cui, a seguito di questo giudizio non poteva più esistere un soggetto avente il nome K.P.;
mentre se tale nome derivava dalla decisione 3 maggio 1958 del Commissario di San Marino,che le aveva attribuito lo stato di figlio legittimo del K., l’art. 253 cod. civ. più non le consentiva di ottenere il riconoscimento della paternità del G. in contrasto con lo stato suddetto.
Con il secondo motivo, deducendo violazione degli artt. 2909, 250 e 254 cod. civ. addebita ai giudici di merito di avere disatteso il giudicato costituito dalla decisione 3 maggio 1958 del Tribunale di San Marino che non aveva soltanto dichiarato la nullità del matrimonio tra i coniugi K.W. ed M.A.M. (madre della K.), ma aveva statuito altresì che quest’ultima era figlia legittima del K.; per cui a nulla rilevava che trattavasi di una sentenza straniera posto che la L. n. 218 del 1995 ha introdotto il principio del suo riconoscimento automatico in Italia;e perchè d’altra parte la decisione era stata dichiarata efficace in Italia con sentenza 15 gennaio 1959 della Corte di appello di Roma.
Mentre la successiva azione di disconoscimento di paternità del K. favorevolmente esperita dalla controparte era inidonea a toglierle efficacia, in quanto nella materia vige il principio che il conflitto fra giudicati si risolve a favore della certezza giuridica formatasi per prima.
Con il terzo, deducendo violazione degli artt. 6, 235 e 253 cod. civ. censura la sentenza di appello per aver statuito in maniera illogica che la K.poteva assumere il cognome del padre in luogo di quello della madre M.A.M., posto che se il cognome K. era legittimo, la sostituzione non poteva essere disposta,mentre se illegittimo, il nome effettivo della K. era M., sicchè la controversia era stata inutilmente proposta da altra persona: perciò a nulla rilevando che la precedente sentenza che ne aveva accolto la richiesta di disconoscimento della paternità del K. avesse omesso di statuire sul mutamento di cognome, non potendo ex lege detta decisione attribuirle un cognome diverso da quello della madre,e comunque modificarle il cognome del padre legittimo " K." con quello del padre naturale.
Con il quarto, deducendo violazione degli art. 231, 250 e 254 cod. civ. in relaz. all’art. 30 Cost. (censura la sentenza impugnata per avere escluso il contrasto di giudicati con la precedente decisione del Tribunale di San Marino assumendo che quest’ultima non aveva affrontato la questione della paternità della K. sotto il profilo biologico,senza considerare la giurisprudenza di legittimità fermissima nel sostenere che la paternità suddetta non è un valore assoluto e comunque da privilegiare, essendo subordinato alle disposizioni di legge che ben possono preferire invece quella legale:
come era avvenuto nel caso concreto, in cui gli stessi coniugi K. – M. avevano espressamente riconosciuto la filiazione legittima di K.P.. Tutte queste censure sono infondate.
Non è anzitutto esatto che la K. difetti di legittimazione attiva a promuovere l’azione di cui all’art. 269 cod. civ. per avere conservato detto cognome pur dopo il giudizio di disconoscimento di K.W. con l’obbligo di assumere il cognome materno o altro cognome, poichè la relativa questione può acquistare rilievo per gli effetti dell’art. 262 cod. civ. in ordine alla priorità del riconoscimento di ciascuno dei genitori, nonchè alle ipotesi in cui è consentita l’assunzione del cognome paterno,e soprattutto alla specifica e peculiare tutela del diritto del figlio all’identità personale. Non anche nell’azione per la ricerca della paternità attribuita dal combinato disposto degli art. 269 e 270 cod. civ. "a colui che si pretende essere figlio" (quale che ne siano il cognome e gli altri dati identificativi che lo caratterizzano) del genitore del quale si intende provare il dato biologico della procreazione;e spetta, quindi alla K., qualunque sia il cognome che avrebbe dovuto assumere ex lege, per il solo fatto che la stessa,ottenuto il disconoscimento giudiziale della paternità dell’uomo che era coniugato con la madre M.A.M. al tempo del suo concepimento,ha intrapreso questo giudizio per il riconoscimento dello status di figlia naturale dell’avv. P.P. G..
Diverso problema è, poi, quello di stabilire se la conservazione del cognome K. abbia avuto conseguenze in merito alla corretta identificazione della sua persona:
tuttavia mai posta in dubbio, nè dalla B., nè da alcun giudice neppure nelle numerose precedenti controversie tra le parti in cui la stessa aveva sempre mantenuto il nome " K.P.":
perciò non influendo neppure, come osservato dalla sentenza impugnata, sulla validità degli atti processuali, peraltro mai contestata sotto questo profilo dalla ricorrente;la quale dal cognome suddetto ha invece preteso di trarre conferma dello stato di figlia legittima dell’ex coniuge della madre acquisito dalla K., in quanto attribuitole dalla sentenza 3 maggio 1958 del Commissario di S. Marino che si era in tali sensi pronunciata sul suo rapporto di filiazione con K.W. ed era ormai passata in giudicato.
Ma anche quest’assunto è inconsistente,avendo la decisione dato atto nell’ultima proposizione della motivazione,successiva alle statuizioni sulla nullità del matrimonio (le uniche riprodotte nel dispositivo) esclusivamente del dato cronologico incontestato,ma oggettivamente neutro che la contro-ricorrente era "nata e concepita durante il matrimonio"; sicchè dallo stesso ha tratto la (sola) conseguenza che poteva conservare anche dopo l’annullamento lo stato filiale anteriormente acquistato che era quello di figlia legittima delle parti: così come del resto dispone l’art. 128 cod. civ. per il quale (comma 2) "gli effetti del matrimonio valido si producono anche rispetto ai figli nati o concepiti durante il matrimonio dichiarato nullo" (tranne che il matrimonio sia contratto in malafede da entrambi i coniugi e la nullità dipenda da bigamia o incesto).
Neppure è vero, poi, che in quella sede dette parti abbiano compiuto il riconoscimento ex art. 254 cod. civ. della paternità di K. W. nei confronti di P., essendosi, invece; limitate a stabilire un accordo in merito all’affidamento ed al mantenimento della minore: conclusivamente rimasta nel medesimo stato di "figlio legittimo" acquisito antecedentemente a quel giudizio, ed a prescindere dallo stesso, per il solo fatto di essere stata concepita in costanza del matrimonio tra la M. ed il K..
D’altra parte, nessuna statuizione detta decisione poteva contenere sul menzionato rapporto di filiazione, in quanto il suo oggetto era costituito esclusivamente dalla declaratoria di nullità del matrimonio in questione, e l’accertamento compiuto dal giudice di S. Marino ha riguardato esclusivamente la patologia denunciata dal K. per dimostrarne l’invalidità,provocata dalla dedotta "impotentia coeundi" della moglie: come ha, del resto, riconosciuto la stessa ricorrente, senza tuttavia avvedersi che anche le considerazioni del provvedimento sulle residue possibilità, in tale situazione, di rapporti sessuali e perfino di fecondazione della donna che ne è affetta erano connesse alla finalità suddetta, perciò non riguardando affatto la vicenda del concepimento della a K. ad esse estranea (e neppure menzionata indirettamente) ma intendevano definire in linea generale, come dimostra anche il richiamo alla giurisprudenza della tassazione italiana, la nozione di inettitudine al congiungimento carnale, comprendendovi anche gli amplessi verificabili soltanto con notevoli sofferenze e/o tramite rapporti anormali,e pur se agli stessi segua lo stato di gravidanza della moglie. Sicchè il giudicato derivante da detta decisione non può che operare soltanto entro i rigorosi limiti costitutivi di detta azione e sull’attribuzione (o non attribuzione) del bene della vita in essa conteso (Cass. 17078/2007; 9043/2011): e quindi, nella fattispecie, come correttamente osservato dalla Corte di appello (pag. 6), coprire la dichiarata nullità del matrimonio con efficacia ex tunc, estendendosi alla causa invalidante dello stesso secondo l’accezione di essa recepita dal giudice di S. Marino, e precludendo la possibilità di allegare e provare fatti contrastanti (Cass. 2862/1984). Ma non investire rapporti giuridici che non ne hanno formato oggetto di accertamento effettivo, specifico e concreto (Cass. 2594/2010; 28042/2009) quali le questioni attinenti alla filiazione di K.P., nonchè al conseguente status nei confronti di ciascuno dei genitori, rimaste del tutto estranee al giudizio definito con la sentenza 3 maggio 1958, in relazione al quale significativamente la pronuncia si è limitata a prendere atto che detto status "restava" quello antecedente alla declaratoria di nullità dalla quale non doveva considerasi in alcun modo modificato.
Ed allora anche dopo il giudizio suddetto lo status di figlia della K. ha continuato ad essere disciplinato (così come lo era prima) dalla nota presunzione legale di paternità di cui all’art. 231 cod. civ. a norma della quale il marito della madre è padre del figlio da essa concepito durante il matrimonio (art. 232 cod. civ.); che secondo la costante giurisprudenza di questa Corte può essere vinta e rimossa soltanto con l’azione di disconoscimento di cui all’art. 235 cod. civ. e, quindi, da parte dei soggetti, nei termini ed alle condizioni all’uopo previste (Cass. 547/1996; 9463/1995; 658/1988).
Sicchè a questi principi si è puntualmente attenuta la sentenza impugnata allorchè ha rilevato che proprio di detta azione si era avvalsa l’attrice per contestare la legittimità della presunzione suddetta in capo a K.W., indipendentemente dal fatto che vi fosse stata declaratoria di nullità del matrimonio tra quest’ultimo e la madre (Cass. 658/1988 cit.; 5661/1986), ottenendo dal Tribunale di Roma sentenza in data 12 maggio 1999 (pur essa passata in giudicato),che ha dichiarato "che K.P. non è figlia legittima di K.W. …".
Soltanto detta sentenza conseguentemente ha comportato il superamento della presunzione, nonchè la perdita del relativo status con effetto assoluto, ed ha costituito nel contempo per il disposto dell’art. 253 cod. civ. il necessario presupposto di ammissibilità per la dichiarazione giudiziale di paternità nei confronti dell’avv. G.P.P. perciò correttamente considerata dalla decisione impugnata non preclusa a causa della precedente pronuncia del giudice di S. Marino. Alla conferma della sentenza impugnata segue(in aderenza al principio legale della soccombenza la condanna della B. al pagamento delle spese processuali, liquidate come da dispositivo.
Nel caso di diffusione si omettano le generalità e gli altri dati identificativi delle parti.
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in favore della controricorrente in complessivi Euro 3.200, 00 di cui Euro 3.000,00 per onorario di difesa, oltre a spese generali ed accessori come per legge.
Così deciso in Roma, il 12 aprile 2012.
Depositato in Cancelleria il 8 giugno 2012
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