Cass. civ. Sez. I, Sent., 14-06-2012, n. 9771 Liquidazione coatta amministrativa

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1.- Con ricorso depositato il 22.4.2004 D.G.S. chiese al Tribunale di Palermo, ai sensi della L. Fall., art. 101, l’insinuazione del proprio credito di Euro 3.103,55 in privilegio, oltre interessi e rivalutazione, al passivo della liquidazione coatta amministrativa della s.p.a. Sicilcassa, sulla premessa di essere stato dipendente di quest’ultima, la quale non aveva provveduto, al mese di ottobre 1995 e a quello di ottobre 1996, a rideterminare le prestazioni del Fondo Integrativo Pensioni a lui spettanti in forza della previsione dell’art. 5, lett. B) del relativo regolamento in data 8.6.1992.

La l.c.a. si costituì ed eccepì l’inammissibilità della domanda per carenza di interesse, la prescrizione del credito ex art. 2648 c.c., l’insussistenza del medesimo e la natura privilegiata richiesta.

Con sentenza del 7.1.2008 il Tribunale rigettò la domanda in accoglimento dell’eccezione di prescrizione ma la Corte di appello di Palermo, con sentenza in data 4.11.2010, in accoglimento dell’appello proposto dal creditore insinuatosi tardivamente, ammise il credito in via privilegiata al passivo della l.c.a., previa qualificazione della domanda come diretta ad ottenere il risarcimento del danno, soggetto a prescrizione decennale.

Osservò la corte di merito che il D.G. non aveva chiesto l’insinuazione di un credito nascente da una determinazione di integrazione del F.I.P. da parte della Sicilcassa e non pagato anno per anno bensì "un credito nascente dalla mancata determinazione di tale integrazione, in violazione di un accordo contrattuale e, quindi, quale risarcimento di un danno patrimoniale subito, con conseguente applicazione della ordinaria prescrizione decennale".

Contro la sentenza della corte di appello la l.c.a. ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.

Resiste con controricorso l’intimato.

Nei termini di cui all’art. 378 c.p.c., le parti hanno depositato memorie.

2.1.- Con il primo motivo parte ricorrente denuncia violazione degli artt. 99 e 112 c.p.c., lamentando l’erronea qualificazione della domanda operata dalla corte di merito, domanda correttamente interpretata dal tribunale come richiesta di adempimento dell’obbligo nascente dal rapporto regolamentare.

2.2.- Con il secondo motivo parte ricorrente denuncia violazione dell’art. 2948 c.c., n. 4, lamentando che, correttamente interpretata la domanda come diretta ad ottenere l’integrazione del trattamento pensionistico, così come aveva operato il primo giudice con statuizione non attinta da specifico motivo di appello, la corte di merito avrebbe dovuto applicare la prescrizione quinquennale di cui all’art. 2848 c.c., n. 4.

2.3.- Con il terzo motivo parte ricorrente denuncia l’omesso esame di un punto decisivo della controversia lamentando che la corte di merito abbia omesso di affrontare la questione – riproposta con la comparsa di costituzione in grado di appello – relativa alla sopravvenuta inapplicabilità della clausola oro contenuta nell’art. 5, lett. b) del regolamento F.I.P. per effetto della scomparsa del "pari grado". Mancherebbe uno dei due valori il cui raffronto consentiva l’adeguamento del trattamento pensionistico.

2.4.- Con il quarto motivo parte ricorrente denuncia violazione del D.Lgs. n. 3 del 1992, artt. 9 e 11 e della L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 19. Lamenta che la corte di merito non abbia tenuto conto di ciò che la clausola oro di cui all’art. 5 regolamento F.I.P., originariamente legittima, per effetto delle norme innanzi richiamate era venuta meno.

3.- Secondo la giurisprudenza di questa Corte "dal rapporto pensionistico di origine contrattuale (quale quello avente ad oggetto il trattamento erogato dal fondo pensioni di un istituto di credito) non scaturisce una singola complessiva obbligazione, avente ad oggetto una prestazione unitaria da assolvere ratealmente, ma deriva una serie di obbligazioni a cadenza periodica, ciascuna delle quali realizza l’intera prestazione dovuta in quel determinato periodo. Ne consegue che, trattandosi di una prestazione da pagarsi periodicamente, la prescrizione applicabile è quella prevista dall’art. 2948 cod. civ., n. 4, restando del tutto priva di rilievo, a tal fine, la natura retributiva o previdenziale della prestazione medesima, con l’ulteriore conseguenza che l’applicabilità della suddetta disposizione di legge impedisce di ravvisare il presupposto per l’applicazione analogica, alle pensioni di fonte negoziale, del complesso di regole e principi operanti per le pensioni erogate dall’I.N.P.S. e, in particolare, del principio, desumibile dal R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827, art. 129, per cui si prescrivono in cinque anni soltanto le rate "liquidate" della pensione" (Sez. L, Sentenza n. 81 del 07/01/2002; Sez. L, Sentenza n. 8484 del 28/05/2003; Sez. L, Sentenza n. 24127 del 29/12/2004).

A tale principio consolidato si era uniformato il primo giudice del merito, correttamente qualificando la domanda di ammissione al passivo proposta dal D.G., il quale reclamava il proprio credito maturato in virtù della clausola oro di cui all’art. 5 del regolamento F.I.P. (come si evince dall’esame della domanda, consentito a questa Corte dalla natura processuale del vizio denunciato).

Sennonchè, il giudice di appello, pur in mancanza di specifica impugnazione sul punto, ha qualificato la domanda quale richiesta di ammissione di un credito per danni, determinando una vera mutatio.

Il potere-dovere del giudice di qualificare correttamente la domanda non consente di sostituire la domanda proposta con una diversa, fondata su altra "causa petendi", e dunque di introdurre nel tema controverso nuovi elementi di fatto, particolarmente in grado di appello, in cui il giudice non può esaminare una questione neppure tacitamente proposta, perchè non in rapporto con quella espressamente formulata, e di quella non costituente antecedente logico-giuridico (Sez. 1, Sentenza n. 8519 del 12/04/2006).

Pertanto, i primi due motivi di ricorso sono fondati, con conseguente assorbimento dei rimanenti motivi. La sentenza impugnata deve essere cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la Corte può decidere la causa nel merito, rigettando la domanda di ammissione al passivo.

Le spese processuali dell’intero giudizio possono essere compensate.

P.Q.M.

La Corte accoglie i primi due motivi di ricorso, dichiara assorbiti i rimanenti, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda proposta dal D.G. e compensa le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 17 aprile 2012.

Depositato in Cancelleria il 14 giugno 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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