Cass. civ. Sez. III, Sent., 26-06-2012, n. 10611 Alberghi, pensioni e locande

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso ex art. 447 bis c.p.c., Gi.Gi. convenne dinanzi al Tribunale di Ravenna G.P.L. e G. F., quali eredi di G.A. e S.L., per sentirli condannare al pagamento della somma di Euro 66.406,00 a titolo di rimborso del corrispettivo dei lavori di manutenzione e riparazione straordinaria dell’albergo Hotel Crystal di (OMISSIS), da lui anticipati, nonchè delle ulteriori somme di Euro 13.110,00 per dotazioni aziendali mancanti e di Euro 2.395,12 per rinnovo per l’anno 2006 della concessione dell’area di parcheggio privato a servizio dell’hotel.

Esponeva l’attore: di aver condotto in gestione l’azienda alberghiera in forza di un contratto annuale di affitto, sottoscritto il 5 novembre 1999 e dei successivi contratti che avevano prorogato la durata del rapporto sino al 30 ottobre 2006; che l’azienda era stata conferita senza la completezza degli arredi e delle attrezzature, a causa della pregressa gestione, con la conseguente necessità per il ricorrente di affrontare cospicue spese, anche di manutenzione straordinaria, per la messa a norma e la gestione quotidiana, con l’accordo della proprietà di rimborso successivo.

Nonostante le richieste nessun pagamento era intervenuto, anzi era stata intimata la disdetta.

Si costituivano i resistenti per opporsi alla domanda e proporre domanda riconvenzionale di danni, in relazione alla quale non era chiesta l’udienza di cui all’art. 418 c.p.c..

In corso di giudizio veniva eccepito il difetto di legittimazione passiva dei resistenti, ritenendosi invece titolare dei rapporti in giudizio l’Hotel Crystal s.n.c. di G.P. e G. F. che era la regolarizzazione della società di fatto gestita dai genitori e che aveva ad oggetto l’esercizio dell’azienda alberghiera.

Il Giudice emetteva, ai sensi dell’art. 281 sexies c.p.c., la sentenza n. 422/09 che accoglieva l’eccezione in oggetto.

Avverso tale decisione ha proposto appello il G., deducendo l’erroneità della sentenza e insistendo in tutte le argomentazioni svolte in primo grado.

La Corte d’Appello, dopo aver dichiarato la legittimazione passiva degli eredi G., decideva nel merito accogliendo l’appello proposto da Gi.Gi. e condannava G.P.L. e G.F., in solido, nella loro qualità di eredi di G. A. e S.L., a corrispondere la complessiva somma di Euro 89.641,15, oltre accessori.

Propongono ricorso per cassazione G.F. e G.P. L. con cinque motivi.

Resiste con controricorso Gi.Gi..

Le parti hanno presentato memorie.

Motivi della decisione

Con il primo motivo del ricorso i ricorrenti denunciano "Nullità della sentenza impugnata e/o del giudizio di secondo grado per omessa declaratoria di inammissibilità dell’appello proposto dal sig. Gi.Gi. per non avere parte appellante depositato i motivi di ricorso in appello nel termine di cui all’art. 434 c.p.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 4".

Gi.Gi. in data 26 ottobre 2009 ha proposto appello avverso la sentenza del Tribunale con riserva dei motivi, ai sensi e per gli effetti dell’art. 433 c.p.c., comma 2.

Secondo i ricorrenti, poichè il deposito dei motivi di appello non è avvenuto nel termine perentorio fissato dall’art. 434 c.p.c., l’appello avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile.

Il motivo è infondato.

Nel rito locatizio, pure se esso è improntato a quello del lavoro, non è ammesso l’appello con riserva dei motivi (Cass., 8 settembre 1990).

Allo stesso modo, però, del rito del lavoro, se l’atto, con cui si indicano i motivi (susseguente all’inammissibile appello con riserva dei motivi) contenga, invece, tutti i requisiti del ricorso per l’appello ed esso risulti anche tempestivamente depositato, ben può il giudice adito ritenere il gravame ammissibile e decidere (Cass., 6 marzo 2004, n. 4615; Cass., 24 giugno 1998, n. 6274), con la conseguenza ulteriore che, se già dopo l’atto d’appello con riserva dei motivi vi sia stata la costituzione del convenuto, non occorre i fissare nuova udienza di discussione (Cass., 23 aprile 1992, n. 4877).

Nella fattispecie in esame il deposito della sentenza di primo grado è stato effettuato l’8 gennaio 2010. Da tale data decorreva il termine annuale per il deposito dei motivi. Essendo avvenuto tale deposito il 10 febbraio 2010 è stato rispettato il termine annuale.

Inoltre l’atto con l’indicazione dei motivi conteneva tutti gli elementi dell’atto impugnatorio, quanto ad esposizione del fatto, specifica indicazione delle censure proposte e richiesta di riforma della decisione di primo grado.

Con il secondo motivo si denuncia "Violazione e falsa applicazione delle norme di diritto in materia di legittimazione passiva processuale per le società di persone e/o di fatto esercenti un’attività alberghiera ai sensi e per gli effetti degli artt. 2082, 2195, 2247 e 2284 cod. civ., con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3".

Secondo parte ricorrente dal contratto d’affitto d’azienda, stipulato il 5 novembre 1999 si evince che G.A. e S.L. vi intervennero in nome e per conto della Comunione di gestione G.A. e S.L., registrata presso l’ufficio del registro di Ravenna in data 23 gennaio 1978 al n. 1123 e iscritta presso la C.C.I.A.A. di Ravenna al n. 91263.

Ritengono altresì i ricorrenti che le domande proposte da Gi.

G. nei confronti di P.L. e G.F. in proprio avrebbero dovuto essere indirizzate nei confronti della società "Hotel Crystal s.n.c. di Giunchi Pier Luigi e Giunchi Fabio", succeduta alla Comunione di Gestione G.A. e S. L.. Gli eredi di G.A. e S.L. erano privi di legittimazione passiva perchè non erano i soggetti personalmente obbligati nei riguardi di Gi.Gi..

Il motivo è infondato in quanto il rapporto locatizio è iniziato e terminato con le persone fisiche, G.A. e S. L., ancora in vita nell’ottobre 2006, data della cessazione dell’affitto per mancato rinnovo all’ultima scadenza e non con la società.

Alla morte della S., l'(OMISSIS), quando il rapporto era già cessato, sono subentrati nella gestione i figli assieme al padre ancora in vita, mentre quest’ultimo è deceduto il 19 gennaio 2007.

L’accertamento tecnico preventivo è stato avviato nei confronti della comunione ed è stato regolarmente notificato al padre.

Solo dopo la morte di entrambi i coniugi i figli, subentrati quali eredi, hanno provveduto a regolarizzare la società con l’atto del 7 dicembre 2007.

Essendo cessato il rapporto di locazione nell’ottobre 2006, Gi.

G. ha correttamente proposto ricorso nei confronti dei figli, nella qualità di eredi.

In altri termini, il rapporto locatizio è iniziato e terminato con le persone fisiche e quindi non con la società per cui i figli sono legittimati a stare in giudizio personalmente.

La Comunione di gestione non è una società ma una comunione legale tra i coniugi regolata dall’art. 177 c.c..

Con il terzo e quarto motivo che per il loro stretto collegamento devono essere esaminati congiuntamente, si denuncia rispettivamente:

3) "Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto controverso e decisivo per il giudizio in relazione alle domande formulate nel ricorso ex art. 447 bis c.p.c. e reiterate nel ricorso in appello in violazione del combinato disposto degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5"; 4) "Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto controverso e decisivo per il giudizio in relazione al valore probatorio ed all’ammissibilità nel giudizio di merito delle risultanze peritali d’ufficio acquisite nell’ambito del giudizio di accertamento tecnico preventivo in base al combinato disposto degli artt. 696 e 698 c.p.c. con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5".

Sostengono i ricorrenti che sin dall’inizio avevano contestato nel merito sia le pretese creditorie di Gi.Gi. sia le risultanze e la stessa efficacia probatoria della c.t.u. depositata nel giudizio di a.t.p.. La sentenza impugnata, si afferma, è errata perchè è stata emessa senza alcun previo accertamento della fondatezza delle domande di Gi.Gi., rimaste prive di qualsiasi riscontro probatorio sull’an. I motivi sono infondati.

Qualora il giudice di merito fondi la sua decisione sulle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, facendole proprie, affinchè i lamentati errori e le lacune della consulenza determinino un vizio di motivazione della sentenza è necessario che essi si traducano in carenze o deficienze diagnostiche, o in affermazioni illogiche e scientificamente errate o nella omissione degli accertamenti strumentali dai quali non si possa prescindere per la formulazione di una corretta diagnosi, non essendo sufficiente la mera prospettazione di una semplice difformità tra le valutazioni del consulente e quella della parte circa l’entità e l’incidenza del dato patologico.

Al di fuori di tale ambito, la censura di difetto di motivazione costituisce un mero dissenso diagnostico non attinente a vizi del processo logico, che si traduce in una inammissibile richiesta di revisione del merito del convincimento del giudice (Cass., 17 aprile 2004, n. 7341).

Nel caso in esame la Corte d’Appello, accogliendo le risultanze dell’a.t.p., ha ritenuto che Gi.Gi. aveva dovuto eseguire miglioramenti continui, pur essendo a suo carico, da contratto, la sola manutenzione ordinaria, per mantenere il livello conseguito dalla struttura alberghiera (tre stelle) sostenendo i costi per le opere di manutenzione straordinaria, di dotazione strumentale, di attrezzature, di beni mobili e arredi che dovevano gravare sui proprietari.

Tale convincimento è insindacabile in sede di legittimità.

Con il quinto motivo si denuncia "Violazione e falsa applicazione delle norme di diritto in materia di ripartizione dei debiti ereditari tra gli eredi ai sensi del combinato disposto degli artt. 752 e 754 cod. civ., con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3".

Secondo i ricorrenti la Corte d’Appello ha errato nel condannare Gi. e G.P. in solido nella loro qualità di eredi di G.A. e S.L. a corrispondere per il titolo di cui alla motivazione, la complessiva somma di Euro 89.641,15, oltre accessori.

Il motivo è fondato.

Ciascun erede è tenuto a soddisfare il debito ereditario esclusivamente prò quota e cioè in ragione della quota attiva in cui succede, e pertanto non può essere condannato in solido con i coeredi al pagamento del debito stesso (Cass., 16 dicembre 1971, n. 3681).

In conclusione, devono essere rigettati i primi quattro motivi ed accolto il quinto per cui, decidendo nel merito gli eredi P. L. e G.F. devono essere condannati al pagamento pro quota della somma di Euro 89.641,15, con gli interessi e la rivalutazione di legge.

Tenuto conto della particolare complessità della vicenda processuale si ritiene sussistano giusti motivi per la compensazione delle spese dell’intero giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta i primi quattro motivi del ricorso, accoglie il quinto e decidendo nel merito condanna G.P.L. e G.F. al pagamento pro quota della somma di Euro 89.641,15, con gli interessi e la rivalutazione di legge.

Compensa le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, il 19 aprile 2012.

Depositato in Cancelleria il 26 giugno 2012

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