Cass. civ. Sez. I, Sent., 13-07-2012, n. 12017 Riserva e reclami dell’appaltatore

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Nell’esecuzione dell’appalto del 15 maggio 1979 con atto aggiuntivo del 10 novembre 1980, stipulati dal Comune di Fabriano e dalla s.p.a.

Coedi per costruire la locale stazione dei carabinieri per il prezzo di L. 463.216.340, l’appaltatrice iscriveva tempestive e specifiche riserve per L. 212.511.633 oltre interessi ai sensi della L. n. 741 del 1981, nei registri di contabilità, ribadendole nel certificato d’ultimazione dei lavori del 26 settembre 1981 e nel verbale e certificato di collaudo del 6 maggio 1982.

In assenza di contestazione a tali riserve dalla direzione dei lavori e dalla stazione appaltante, la s.p.a. Coedi aveva convenuto in giudizio il Comune di Fabriano dinanzi al Tribunale di Ancona chiedendo che, preso atto delle riserve, l’adito giudice accertasse la illegittimità dell’attribuzione ad essa della responsabilità del ritardo di giorni 68 nella consegna dei lavori, non essendo nel bando il termine finale dei lavori di giorni 270, aggiunto a penna dopo l’aggiudicazione della gara.

Si chiedeva al Tribunale di accertare che il ritardo dell’appaltatrice era dovuto alla mancata rispondenza dei lavori appaltati al progetto e agli interventi arbitrari del committente, le cui omissioni e negligenze avevano provocato interruzioni nei lavori, con prolungamento e necessità di rifacimento di parte di essi, non imputabili alla società attrice.

Si domandava pertanto la condanna del Comune di Fabriano a risarcire all’attrice i danni liquidati in L. 76.200.000 per le due sospensioni ingiustificate dei lavori disposte dal committente e per altre perdite da questo determinate e a far proseguire i lavori in base alla perizia di variante proposta dalla società appaltatrice.

Dopo tre relazioni del c.t.u. ing. M.G. e la produzione di varia documentazione contabile dei lavori, il Tribunale di Ancona accoglieva parzialmente la domanda e condannava l’ente locale a pagare, a titolo risarcitorio, alla Coedi s.p.a. Euro 8396,57, oltre interessi legali dalla domanda e svalutazione monetaria per la parte in cui questa era superiore agli interessi, compensando le spese del grado tra le parti.

L’appello della Coedi s.p.a. avverso la sentenza del tribunale denunciava l’erronea applicazione del R.D. n. 385 del 1885, art. 54essendo emersa dalla terza relazione del c.t.u. la fondatezza delle domande oggetto delle riserve, in rapporto ai danni prodotti da sospensioni dei lavori disposte dal comune, apparendo certo l’omesso esame della documentazione dei lavori versata in atti, in quanto la conclusione del Tribunale sulla irrilevanza di tali documenti si giustificava solo con la loro omessa valutazione.

Su tale omissione era basata la irrilevanza ritenuta in primo grado della terza relazione del c.t.u., che aveva riconosciuto, in base ai documenti contabili dei lavori, un credito dell’impresa che si chiedeva alla Corte d’appello di rilevare in riforma della pronuncia di primo grado e per effetto del gravame della s.p.a. Coedi.

L’appello era invece respinto con la sentenza di cui in epigrafe la quale non teneva conto della relazione del direttore dei lavori, contenente la proposta ragionata di risoluzione della controversia.

Le mancate controdeduzioni della direzione dei lavori alle riserve apposte dall’impresa, sono state violative dell’obbligo del committente pubblico di controdedurre sulle stesse, dimostrando la sostanziale ammissione da esso con tale condotta dei crediti pretesi dalla società appaltatrice.

La Corte d’appello di Ancona ha rigettato il gravame dell’impresa e compensato le spese di cause, ritenendo che ai fini probatori, come esattamente deciso in primo grado, non aveva rilievo alcuno la relazione del collaudatore e la mancata contestazione delle riserve stesse da parte dell’ente appaltante, essendo impugnabile anche solo in sede giudiziaria tutto quanto preteso con la tempestiva iscrizione della riserva da considerare mera condizione di ammissibilità dell’azione, senza rilievo probatorio.

Ad avviso della corte di merito la riserva non costituisce titolo della fondatezza in ogni caso della domanda dell’impresa, rilevando solo sul piano procedurale ai fini di impedire la preclusione della stessa.

Per la cassazione di tale sentenza, del 3 dicembre 2005, notificata alla COEDI s.p.a, il 2 febbraio 2006, è stato proposto da questa società ricorso di due motivi, notificato il 18 – 21 marzo 2006, cui replica, con controricorso notificato il 27 aprile – 3 maggio dello stesso anno, il Comune di Fabriano.
Motivi della decisione

1. Deve preliminarmente rigettarsi l’eccezione, sollevata in udienza, di inammissibilità del controricorso, per essere indicata, nella procura a margine a margine di questo, come oggetto del ricorso cui l’atto replica, una sentenza della Corte di appello di Ancona, con numero diverso da quello della pronuncia oggetto della richiesta di cassazione.

Come ripetutamente affermato da questa Corte, la procura in calce o a margine del ricorso o del controricorso, in quanto costituisce corpo unico con tali atti, è sempre "speciale", con la conseguenza che, come non occorre alcun riferimento specifico al giudizio cui si riferisce per la sua validità, così non rilevano eventuali errori di fatto in essa contenuti su elementi che concorrono a identificare la sentenza impugnata già indicata nel ricorso e oggetto anche del controricorso che replica all’atto di impugnazione, facendo inequivoco riferimento al giudizio di cassazione derivato dal ricorso cui l’atto resiste (Cass. 7 marzo 2012 n. 3602, 14 novembre 2011 n. 23777, 7 febbraio 2009 n. 26504).

1.1. Il primo motivo del ricorso della società denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e del R.D. 25 maggio 1895, n. 350, artt. 11, 52, 54, 62, 63 e 100 oltre che della L. 10 dicembre 1981, n. 741, art. 5 sui collaudi, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per il disconoscimento nella sentenza impugnata del rilievo probatorio degli atti di riserva di cui alle citate norme del regolamento sulla contabilità dei lavori pubblici dello Stato, anche per carenze motivazionali su detti punti.

La sentenza di appello, reiterando la motivazione di quella del tribunale, ribadisce che la iscrizione delle riserve dall’appaltatore nel registro di contabilità, confermate nel conto finale e nel verbale di collaudo e non contestate nè contraddette dalla direzione dei lavori per conto della committente, non costituisce elemento di prova delle pretese dell’impresa e non esonera l’appaltatore dal dimostrare la fondatezza delle sue domande iscritte con la riserva, costituendo questa solo una condizione della domanda da proporre al giudice in base alle norme regolamentari richiamate nel motivo di ricorso.

La committente può anche rinunciare al diritto di eccepire la decadenza dell’appaltatrice per mancata tempestiva deduzione della riserva in rito, ma nessuna delle parti dell’appalto può far desumere conclusioni di merito sulla fondatezza della eccezione o domanda contenuta nella riserva stessa, dalla mancata tempestiva contestazione di essa dal direttore dei lavori o dalla stazione appaltante, dando a quanto dedotto o eccepito in riserva rilievo o efficacia probatoria, ai sensi dell’art. 2697 c.c..

Con il motivo di ricorso, si deduce la violazione di questa ultima norma codicistica in materia di onere della prova e delle norme indicate del R.D. 25 maggio 1895, n. 350, in rapporto alle questioni da ciascuno di esse regolate, con riferimento agli articoli di esso 11 (differenze dei luoghi riscontrate all’atto della consegna dei lavori), 52 (registro contabilità), 54 (riserve e eccezioni di cui a detto registro), 62 (certificato di ultimazione dei lavori), 63 (conto finale dei lavori), 100 (relazioni collaudatore) e 107 (osservazioni dell’impresa al certificato di collaudo).

Il ricorrente chiede di accertare quale sia il rilievo da dare alla mancata contestazione delle riserve, iscritte nel registro di contabilità, nel conto finale e nel verbale di collaudo, alla luce della L. n. 741 del 1981, art. 5, comma 1, per il quale la collaudazione dei lavori deve avvenire entro sei mesi dalla data di ultimazione di essi.

1.2 In secondo luogo si lamenta l’omesso esame da parte dei giudici di appello della documentazione in atti ed in particolare di una delle relazioni del c.t.u., con la conseguente incomprensibilità delle conclusioni dei giudici di merito sulla rilevanza della mancata contestazione alle riserve dell’appaltatore dalla direzione dei lavori, anche alla luce della terza relazione tecnica del c.t.u..

2. Nessun rilievo possono avere nel caso il quesito di diritto e la sintesi conclusiva che chiudono i due motivi di ricorso, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., norma inapplicabile alla fattispecie, in quanto non ancora in vigore alla data di pubblicazione della sentenza oggetto del ricorso, che è infondato e da rigettare.

2.1. In ordine al primo motivo di ricorso, questa Corte (S.U. 5 aprile 2005 n. 6992) ha rilevato che la eventuale definizione in via amministrativa e ai sensi del R.D. n. 350 del 1895 delle controversie tra appaltatore e direttore dei lavori, sorte in base alle domande e eccezioni apposte nelle riserve formulate in corso d’opera dall’impresa, dopo le quali il direttore dei lavori iscrive le sue controdeduzioni, non comporta che il giudizio iniziato dall’impresa dinanzi all’A.G.O. sulle stesse questioni abbia ad oggetto l’annullamento del provvedimento emesso all’esito della riserva, relativo ai soli rapporti tra impresa e direzione lavori.

Il giudice adito deve infatti accertare soltanto la fondatezza o meno delle pretese dell’appaltatore nei confronti della P.A. committente (sulla delibera amministrativa di risoluzione delle riserve, cfr.

pure Cass. 23 maggio 2008 n. 13426).

Se la eventuale delibera, positiva o negativa, della stazione appaltante, sulle pretese dell’impresa di cui alle riserve non preclude l’esame dai giudici delle questioni poste in queste e l’accertamento dei fatti su cui le stesse si fondono, è evidente che quanto dedotto con le domande ed eccezioni di cui alle riserve stesse anche se non impugnato nè contestato dal direttore dei lavori, non vincola in sede giudiziaria.

Anche a non rilevare la inapplicabilità al caso ratione temporis del principio di non contestazione di cui all’art. 115 c.p.c., come novellato dalla L. n. 69 del 2009, tale principio assume rilievo solo nei processi pendenti e tra parti costituite, mentre il direttore dei lavori che non contesta la riserva è terzo e la sua condotta non può in alcun modo vincolare la stazione appaltante in sede processuale in ordine ai fatti a base delle domande dell’appaltatore che solo questo deve dimostrare.

Quanto precede esclude che possa assumere un qualsiasi rilievo probatorio quanto dedotto o chiesto in sede di riserva, con la quale l’impresa sollecita solo la P.A. appaltante ad emettere una delibera che eviti il giudizio, provvedimento irrilevante in sede processuale, dove non si chiede di annullare detta deliberazione, ma solo di accertare, secondo le regole ordinarie, la sussistenza dell’inadempimento dell’una o dell’altra parte del rapporto, per dar luogo alla condanna dell’inadempiente al risarcimento del danno.

Solo l’accertamento dal giudice dell’inadempimento della stazione appaltante obbliga questa a dare prova liberatoria con la deduzione del caso fortuito o della forza maggiore che hanno determinato la sua condotta contestata da controparte, con la conseguenza che esattamente il comportamento delle parti in ordine a quanto scritto in riserva e non contestato nel corso della esecuzione dell’appalto, non può assumere rilievo probatorio di alcun tipo in sede giurisdizionale per provare l’inadempimento dell’una o dell’altra parte.

La mancata contestazione delle pretese dell’appaltatore iscritte con le riserve da parte della direzione dei lavori, se può avere un rilievo limitato in sede di risoluzione delle controversie dell’impresa con il direttore dei lavori nella fase amministrativa, di certo non ne ha sul piano giudiziario e per la formazione della prova, per la quale si applicano le ordinarie regole sull’onere della prova in ordine all’inadempimento delle obbligazioni, per cui chi è inadempiente deve dare prova liberatoria del suo comportamento, per non rispondere della sua condotta (Cass. 17 gennaio 2001 n. 567).

In tale contesto non può che ritenersi infondato il primo motivo di ricorso per le stesse ragioni per le quali la Corte d’appello ha correttamente respinto il primo motivo di gravame con adeguata motivazione, che nega rilievo probatorio alle pretese iscritte in riserva in ordine ai fatti in esse richiamati e non contestati dal direttore dei lavori, che non possono rilevare come fatti accertati in sede giudiziario anche senza una prova certa di essi.

2.2. Il denunciato difetto di motivazione è anche esso infondato, mancando in ricorso ogni elemento da cui possa desumersi l’omesso esame della terza relazione del c.t.u., sulla quale la impugnazione comunque non da specifiche notizie per accertare la rilevanza stessa di tale omissione e il carattere decisivo del documento per giungere ad una diversa risoluzione della controversia.

3. In conclusione, deve quindi rigettarsi il ricorso perchè infondato e le spese del giudizio di cassazione devono porsi a carico della ricorrente per il principio di soccombenza e liquidarsi a favore del controricorrente, nella misura di cui in dispositivo.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rimborsare le spese del giudizio di cassazione al controricorrente, che liquida in Euro 2.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della prima sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 12 giugno 2012.

Depositato in Cancelleria il 13 luglio 2012
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