Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
OMISSIS venne rinviato a giudizio per rispondere dei reati di cui:
A) all’art. 20, lett. b), della legge 28 febbraio 1985, n. 47, per avere eseguito, senza concessione edilizia, un ampliamento del piano seminterrato adibito a mercato, tre vani tecnici ed due tettoie in plexiglas con strutture in acciaio; B) agli artt. 17, 18 e 20 legge 2 febbraio 1974, n. 64; C) all’art. 633 cod. pen. per avere, con detti lavori, occupato una parte di suolo di proprietà condominiale.
Il giudice del tribunale di Vibo Valentia, sezione distaccata di Tropea, con sentenza del 9.5.2007 assolse l’imputato dai capi A) e B) perché il fatto non è previsto dalla legge come reato, e dal capo C) perché il fatto non sussiste.
Proposero appello le parti civili D.G.A., S.G., P. D. e P.G. chiedendo che il OMISSIS fosse dichiarato responsabile dei reati ascrittigli e condannato alla pena ritenuta di giustizia.
La corte d’appello di Catanzaro, con la sentenza in epigrafe, condannò il OMISSIS al risarcimento dei danni in favore delle parti civili da liquidarsi in separata sede.
Il Columbro propone ricorso per cassazione deducendo:
1) violazione dell’art. 591, comma 2, cod. proc. pen.. Lamenta che la corte d’appello avrebbe dovuto dichiarare inammissibile l’appello proposto dalla parte civile perché questo si limitava a chiedere l’affermazione della responsabilità penale dell’imputato e non faceva alcuno specifico riferimento agli effetti civili che si intendevano conseguire. Il riferimento della sentenza impugnata al principio della immanenza della costituzione di parte civile è del tutto inconferente, perché lo stesso opera nel caso di impugnazione proposta dal solo pubblico ministero. L’impugnazione quindi era stata proposta da soggetto non legittimato.
2) erronea applicazione dell’art. 633 cod. pen.. Lamenta che la corte d’appello si è limitata a riportare pedissequamente solo le doglianze della parte civile e le osservazioni del CT del PM arch. T., senza prendere in considerazione le osservazione dell’altro CT ing. M., il quale ha confermato che il piano interrato era stato venduto al OMISSIS a corpo e non a misura. Dal rogito notarile emerge chiaramente che la corte lato mare era stata trasferita in proprietà all’imputato. La corte d’appello si è poi basata sulle risultanze catastali, che non costituiscono prova della proprietà. Osserva quindi che le parti civili nel presente giudizio non hanno mai dato prova della proprietà condominiale della corte lato mare. La corte non ha nemmeno considerato il fatto che la concessione in variante del 18.2.1986 era stata rilasciata al costruttore e non all’acquirente OMISSIS perché al momento della richiesta (21.12.1985) l’unico soggetto legittimato a richiederla era il C. che era ancora proprietario della corte lato mare, venduta al OMISSIS successivamente, il 2.1.1986.
3) mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in relazione all’art. 192 cod. proc. pen. perché la corte d’appello ha senza motivazione ed ingiustificatamente omesso di acquisire e valutare il resoconto dei lavori eseguiti per conto del OMISSIS dal costruttore, ed alla cui acquisizione non si era opposta la parte civile.
In data 30 novembre 2009 le parti civili hanno depositato una memoria difensiva con cui chiedono la conferma della sentenza impugnata.
Motivi della decisione
Il primo motivo è fondato con conseguente assorbimento degli altri motivi.
In relazione al reato di cui all’art. 633 cod. pen. il giudice di primo grado aveva affermato che, a causa della divergenza esistente tra la planimetria allegata al progetto e la planimetria originale esistente presso il catasto (la quale peraltro presentava una abrasione), non era possibile stabilire, sulla base della documentazione acquisita nel processo penale, se l’area occupata fosse di proprietà condominiale o di proprietà esclusiva dell’imputato. Per questa ragione aveva assolto il OMISSIS dal reato in questione con la formula perché il fatto non sussiste, mentre lo aveva assolto dal reato edilizio perché il fatto non costituisce reato per il motivo che per le opere eseguite era sufficiente la sola DIA.
Contro questa sentenza avevano proposto appello le sole parti civili, chiedendo che la corte d’appello volesse “in riforma della impugnata sentenza, dichiarare OMISSIS responsabile dei reati allo stesso ascritti e condannarlo alla pena che riterrà di giustizia”.
L’imputato aveva eccepito che, in mancanza di impugnazione da parte del pubblico ministero, l’appello delle sole parti civili era inammissibile perché l’impugnazione aveva investito esclusivamente la statuizione relativa alla responsabilità penale dell’imputato e con essa era stata chiesta soltanto la dichiarazione di responsabilità penale dell’imputato e la sua condanna alla relativa pena, mentre nessuna specifica doglianza era stata formulata in ordine all’azione civile esercitata nel processo penale ed in ordine alla disattesa domanda di risarcimento del danno.
La corte d’appello ha rigettato questa eccezione ed ha ritenuto ammissibile l’appello rifacendosi al principio della immanenza della costituzione di parte civile. Ha invero ritenuto che la domanda risarcitoria contenuta nell’atto di costituzione di parte civile e ribadita nelle conclusioni rassegnate in primo grado, che restavano valide in ogni stato e grado del processo, consentivano il formarsi di un petitum sul quale il giudice poteva pronunciarsi anche nei gradi successivi.
Il richiamo al principio dell’immanenza della costituzione di parte civile è chiaramente erroneo ed inconferente, perché il punto da valutare era la questione preliminare della ammissibilità dell’impugnazione proposta dalle sole parti civili.
La corte d’appello non ha tenuto presente la circostanza rilevante che nella specie il pubblico ministero non aveva proposto nessun gravame contro la sentenza di primo grado. Il principio dell’immanenza della costituzione di parte civile opera invece proprio quando la sentenza di assoluzione sia stata impugnata soltanto dal pubblico ministero, e comporta che “il giudice di appello, che su gravame del solo pubblico ministero condanni l’imputato assolto nel giudizio di primo grado, deve provvedere anche sulla domanda della parte civile che non abbia impugnato la decisione assolutoria” (Sez. Un., 10.7.2002, n. 30327, Guadalupi, m. 222001). In altre parole il detto principio fa salva la domanda civile per il risarcimento del danno o per le restituzioni proposta dalla ammessa parte civile solo nel caso in cui l’appello avverso una sentenza di assoluzione sia stato proposto soltanto dal pubblico ministero: in tal caso il giudice d’appello che emetta una sentenza di condanna può pronunciare sull’azione civile anche in mancanza di una specifica impugnazione della parte civile.
Qualora l’impugnazione sia stata invece proposta dalla sola parte civile, per stabilire se la stessa sia ammissibile vengono in considerazione altre regole. L’art. 568, comma 3, cod. proc. pen. dispone che il diritto di impugnazione spetta soltanto a colui al quale la legge espressamente lo conferisce, senza quindi possibilità di integrazioni analogiche. L’art. 576, comma 1, cod. proc. pen. dispone poi che “la parte civile può proporre impugnazione… ai soli effetti della responsabilità civile contro la sentenza di proscioglimento pronunciata nel giudizio”.
Quindi, “anche dopo le modificazioni introdotte dall’art. 6 della legge 20 febbraio 2006 n. 46 all’art. 576 cod. proc. pen., la parte civile ha facoltà di proporre appello, agli effetti della responsabilità civile, contro la sentenza di proscioglimento pronunciata nel giudizio di primo grado” (Sez. Un., 29.3.2007, n. 27614, Lista, m. 236539).
Resta però sempre la regola che l’impugnazione della parte civile è ammessa “ai soli effetti della responsabilità civile”. Da ciò deriva che “l’impugnazione proposta dalla parte civile avverso la sentenza di proscioglimento è inammissibile se non contiene un espresso e diretto riferimento agli effetti civili che vuol conseguire” (Sez. II, 20.5.2008, n. 25525, Gattuso, m. 240646). Ciò comporta che “le richieste di quelle parti in causa, che riguardano esclusivamente l’affermazione di responsabilità degli imputati prosciolti, senza alcun richiamo alla specificità dell’azione risarcitoria, rendono improponibile l’impugnazione, in quanto si domanda al giudice adito di delibare in merito ad un effetto penale che esula dai limiti delle facoltà riconosciute dalla legge alla parte civile” (sent. cit., in motivazione, punto 2.1).
Più specificamente, è stato affermato che “in tema diparte civile, è ammissibile l’impugnazione proposta dalla parte civile avverso la sentenza di assoluzione (art. 576 cod. proc. pen.) preordinata a chiedere l’affermazione della responsabilità dell’imputato, quale logico presupposto della condanna alle restituzioni e al risarcimento del danno, con la conseguenza che detta richiesta non può condurre ad una modifica della decisione penale, sulla quale si è formato il giudicato in mancanza dell’impugnazione del P.M., ma semplicemente all’affermazione della responsabilità dell’imputato per un fatto previsto dalla legge come reato, che giustifica la condanna alle restituzioni ed al risarcimento del danno. L’impugnazione della parte civile deve, in tal caso, fare riferimento specifico, a pena di inammissibilità, agli effetti di carattere civile che si intendono conseguire e non limitarsi alla richiesta concernente l’affermazione della responsabilità dell’imputato, che esulando dalle facoltà riconosciute dalla legge alla parte civile renderebbe inammissibile l’impugnazione” (Sez. II, 31.1.2006, n. 5072, Pensa, m. 233273).
Il principio che l’appello proposto esclusivamente dalla parte civile è inammissibile qualora l’impugnazione si limiti solo alla richiesta concernente l’affermazione di responsabilità dell’imputato e non faccia riferimento, in modo specifico e diretto, agli effetti di carattere civile che si intendono conseguire, è stato più volte ribadito dalla giurisprudenza di questa Corte: cfr., ad es., anche Sez. III, 23.5.2007, n. 35224, Guerini, m. 237399; Sez. V, 30.11.2005, n. 9374, Princiotta, m. 233888; Sez. II, 30.1.2003, n. 11863, Bernardi, m. 225023; Sez. II, 24.10.2003, n. 897/04, Cantamessa, m. 227966; Sez. I, 4.3.1999, n. 7241, Pirani, m. 213698.
È vero che, accanto a questo orientamento di gran lunga prevalente, si riscontrano anche alcune massime che sembrano in senso contrario, ritenendo che le richieste della parte civile possono desumersi anche implicitamente dai motivi quando da questi emerga in modo in equivoco la richiesta formulata e che la specificazione della domanda risarcitoria o restitutoria può anche essere differita al momento della formulazione delle conclusioni in dibattimento (Sez. V, 23.9.2009, n. 42411, Longo, m. 245392; Sez. V, 2.7.2009, n. 31904, Ruberia, m. 244499).
Questo Collegio, tuttavia, ritiene di dovere confermare e ribadire l’orientamento interpretativo prevalente. E ciò sia perché una richiesta della parte civile appellante al giudice del gravame, riguardante esclusivamente l’affermazione della penale responsabilità dell’imputato si risolve in una domanda che esula dai limiti delle facoltà riconosciute dalla legge alla parte civile. Sia perché, trattandosi di giudicare, in mancanza di impugnazione del pubblico ministero, soltanto su un rapporto di natura civilistica, valgono le regole ermeneutiche concernenti l’azione civile, e non quella penale. Sia anche perché la giurisprudenza di questa Corte – in un caso in un certo senso speculare – ritiene inammissibile il ricorso proposto nel merito dall’imputato avverso una sentenza che abbia dichiarato non doversi procedere per prescrizione e lo abbia condannato al risarcimento del danno in favore della parte civile, quando con il ricorso l’imputato si limita a censurare la mancata assoluzione nel merito e non abbia invece investito in modo specifico e diretto la statuizione civile di condanna al risarcimento del danno. Sembrerebbe quindi incongruo usare due diversi criteri di valutazione a seconda che si tratti di impugnazione dell’imputato o di impugnazione della parte civile.
Nella specie, con l’atto di appello, le parti civili sembrano aver impugnato la sentenza del giudice del tribunale di Vibo Valentia, sezione distaccata di Tropea, sostituendosi al pubblico ministero in funzione soltanto della affermazione della responsabilità penale dell’imputato. Nell’atto di appello manca qualsiasi riferimento, anche indiretto, alle statuizioni di carattere civile che le parti civili, con la costituzione, avrebbero dovuto intendere perseguire anche nel giudizio di appello. Esse invece si sono limitate a chiedere esclusivamente l’affermazione della responsabilità penale dell’imputato per i reati ascrittigli e la sua condanna alla pena ritenuta di giustizia. Al giudice di appello, quindi, le parti civili hanno avanzato solo la richiesta di deliberare in merito alla responsabilità ed agli effetti penali, ossia una richiesta che esulava dalle facoltà loro riconosciute.
L’appello proposto dalle parti civili era quindi inammissibile anche perché proposto da soggetti non legittimati in violazione dell’art. 568, comma 3, cod. proc. pen. essendo stato proposto solo dalla parte civile esclusivamente ai fini dell’affermazione della responsabilità penale dell’imputato.
La sentenza impugnata della corte d’appello di Catanzaro deve quindi essere annullata senza rinvio.
Si ritiene di non dover pronunciare condanna delle parti civili alla refusione, in favore dell’imputato, delle spese sia del grado di appello sia di questo grado – come richiesto dal ricorrente – perché, considerato il rilevato contrasto giurisprudenziale, appare equo compensare integralmente tra le parti dette spese.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione annulla senza rinvio la sentenza impugnata.
Compensa integralmente tra le parti le spese dei gradi di appello e di cassazione.
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