Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
Con sentenza del 3.5.2006, la Corte di Appello di Roma, in riforma della sentenza di primo grado, dichiarava non dovuta dalla s.r.l.
X alla Fondazione Enasarco la somma di Euro 3.027,83 a titolo di contributi omessi, rilevando che le emergenze in atti non consentissero di ravvisare nei rapporti di collaborazione posti a fondamento della pretesa contributiva dell’Enasarco gli elementi destinati a connotare il contratto di agenzia, non potendo, tra l’altro, ritenersi che il fatto che il C. fosse divenuto agente della X s.r.l. nell’anno 1997 deponesse univocamente per la esistenza di un rapporto agenziale anche per l’anno precedente, circostanza anzi contraddetta da ulteriori emergenze, quali l’importo globale dei compensi percepiti dallo stesso per l’anno 1996 pari a complessive L. 19.644.673, senz’altro modesto e quindi compatibile con attività saltuaria ed episodica propria del procacciatore d’affari, anzichè dell’agente. Doveva, poi, comunque considerarsi che la volontà delle parti era nel senso di escludere un rapporto di agenzia, e che anche la deposizione resa dalla teste R. aveva confermato che il C., il S. ed il D. si limitavano a trasmettere ordini senza avere una zona prestabilita di attività. Valenza neutra doveva conferirsi, inoltre, agli elementi acquisiti ai fini della configurabilità del rapporto di agenzia anche per il 1996, rilevandosi l’occasionalità dell’attività del S., corroborata dall’assoluta esiguità di compensi, corrisposti in unica soluzione solo per il periodo giugno-luglio 1996. Anche per il D., pur in presenza di compensi corrisposti per gli anni 1997 e 1998, era da escludersi la configurabilità di un rapporto di agenzia, per mancanza di specifica area territoriale di operatività e per il tipo di attività svolta, limitata a segnalazioni occasionali di vendite.
Per la cassazione di tale decisione ricorre l’Enasarco con due motivi, illustrati con memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..
Resiste con controricorso la X srl, che espone ulteriormente le proprie difese con memoria.
Motivi della decisione
Con il primo motivo, la Fondazione Enasarco denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 1742 e 1748 c.c., anche in relazione all’art. 12 preleggi, violazione e falsa applicazione della L. 2 febbraio 1972, n. 12, art. 6 e del D.P.R. 31 marzo 1983, n. 277, art. unico nonchè violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 1742 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma, n. 3.
Rileva che la Corte del merito aveva escluso, in base ad elementi del tutto irrilevanti ai fini qualificatori, la natura del rapporto di agenzia, quali l’esiguità del compenso e la mancata individuazione di una zona prestabilita di attività, in violazione dell’art. 1742 c.c. e di quanto stabilito dal successivo art. 1748 c.c., per il quale l’agente ha diritto ad una provvigione correlata a tutti gli affari conclusi per effetto del suo intervento, e che non avrebbe attribuito la dovuta rilevanza alla misura del compenso, in alcuni casi addirittura superiore al massimale contributivo previsto per la generalità degli agenti dalle norme richiamate (D.P.R. n. 277 del 1983). Ed invero, ad onta di quanto sostenuto in motivazione, le somme percepite quali compensi erano tutt’altro che esigue, come confermato dai testi, nè poteva assumere rilevanza, ai fini considerati, la mancata designazione formale, nell’atto di conferimento dell’incarico, di una zona nell’ambito della quale l’attività dovesse essere espletata, che rileva ai fini del diritto di esclusiva, dell’indennità di clientela, del diritto alle provvigioni per gli affari direttamente conclusi, ma non a fini qualificatori. Osserva in proposito che la mancata predeterminazione non ha rilievo ai fini della regolamentazione degli aspetti essenziali del rapporto e che, peraltro, per il D. doveva ritenersi che l’ambito territoriale di competenza fosse quello al di fuori del territorio di Regioni Marche ed Abruzzi. Analogamente, evidenzia l’irrilevanza, ai fini della qualificazione del rapporto di agenzia, del nomen iuris, assumendo significatività le modalità concrete di esecuzione del rapporto. Peraltro, per il C., nel 1997, il rapporto era stato regolarizzato come agente, a dimostrazione che anche per il periodo pregresso, in presenza di analoghe modalità di svolgimento della prestazione, il rapporto dovesse essere diversamente qualificato. All’esito della parte argomentativa, l’Enasarco domanda se sia necessaria la corresponsione di provvigioni cospicue, se possa ritenersi rilevante la percezione anche episodica di compensi addirittura superiori al massimale contributivo, se sia necessaria, ai fini di configurabilità di un rapporto di agenzia, la individuazione di una zona di attività definita ed, infine, se sia necessario rifarsi al nomen iuris.
I motivi di ricorso vanno trattati congiuntamente, vertendo entrambi, sia pure sotto il duplice profilo della deduzione di un vizio di violazione di legge e di un vizio anche di motivazione, sulla esaustività della pronuncia in merito alla ritenuta individuazione di un rapporto di procacciamento di affari tra la srl X ed i lavoratori menzionati.
Caratteri distintivi del contratto di agenzia sono la continuità e la stabilità dell’attività dell’agente di promuovere la conclusione di contratti per conto del preponente nell’ambito di una determinata sfera territoriale, realizzando in tal modo con quest’ultimo una non episodica collaborazione professionale autonoma con risultato a proprio rischio e con l’obbligo naturale di osservare, oltre alle norme di correttezza e di lealtà, le istruzioni ricevute dal preponente medesimo; invece il rapporto di procacciatore d’affari si concreta nella più limitata attività di chi, senza vincolo di stabilità ed in via del tutto episodica, raccoglie le ordinazioni dei clienti, trasmettendole all’imprenditore da cui ha ricevuto l’incarico di procurare tali commissioni; mentre la prestazione dell’agente è stabile, avendo egli l’obbligo di svolgere l’attività di promozione dei contratti, la prestazione del procacciatore è occasionale nel senso che dipende esclusivamente dalla sua iniziativa. Conseguentemente, al rapporto di procacciamento d’affari possono applicarsi in via analogica solo le disposizioni relative al contratto di agenzia (come le provvigioni) che non presuppongono un carattere stabile e predeterminato del rapporto e non anche quelle – di legge o di contratto – che lo presuppongono (come nella specie l’indennità di mancato preavviso, l’indennità suppletiva di clientela e l’indennità di cessazione del rapporto) (cfr. Cass. 24.6.2005 n. 13629). La configurabilità del contratto di agenzia non trova, tuttavia, ostacolo nel fatto che l’atto di conferimento dell’incarico non abbia designato espressamente e formalmente la zona nella quale l’incarico deve essere espletato, ove tale indicazione sia evincibile dal riferimento all’ambito territoriale nel quale le parti incontestabilmente operano (cfr. Cass. 4.11.1994 n. 9063 e, con riguardo al carattere di elemento naturale e non essenziale del diritto di esclusiva nel contratto di agenzia, Cass. 5.8.2011 n. 17063).
Deve ravvisarsi nelle argomentazioni adottate dalla sentenza impugnata la violazione degli artt. 1742 e 1748 c.c., in quanto l’esiguità dei compensi percepiti dai soggetti ai quali si riferiscono i verbali di accertamento non è affatto incompatibile con il rapporto di agenzia. Ed intatti, come ha già avuto modo di affermare questa Corte, con orientamento giurisprudenziale consolidato, nel rapporto di agenzia le parti "possono prevedere forme di compenso delle prestazioni dell’agente diverse dalla provvigione determinata in misura percentuale sull’importo degli affari conclusi (come ad esempio una somma fissa per ogni contratto concluso)" (Cass. 9 ottobre 1991, n. 1588), essendo anche ammessa la previsione di un "minimo forfettario" (Cass. n. 1346 del 1975) e di un "minimo mensile" (Cass. n. 34 del 1980).
Inoltre, e soprattutto, la sentenza impugnata è basata, al riguardo, su motivazione non condivisibile, in quanto non ha considerato che il basso costo dei prodotti commercializzati aveva una incidenza sull’ammontare dei compensi, ritenuti immotivatamente esigui, caratterizzati da un sistema di acconti mensili dello stesso importo, con successivi conguagli a fine anno, incompatibile anzi, in via astratta, con l’occasionalità ed episodicità delle prestazioni.
Va, inoltre, rilevato che l’impugnata sentenza appare viziata anche nella parte in cui – come ancora evidenziato dalla difesa della ricorrente con specifica censura – ha ritenuto fosse rilevante, ai fini della individuazione della volontà delle parti la ricevuta prodotta dalla X srl nella quale il C. riconosceva che il compenso percepito era stato corrisposto "per segnalazioni occasionali di vendita".
Al riguardo, sia pure ai fini della distinzione tra lavoro autonomo e subordinato, è stato affermato che non deve prescindersi dalla volontà dei contraenti e, che, se pure sotto questo profilo va tenuto presente il "nomen iuris" utilizzato dalle parti, questo però non ha un rilievo assorbente, poichè deve tenersi conto altresì, sul piano della interpretazione della volontà delle parti, del comportamento complessivo delle medesime, anche posteriore alla conclusione del contratto (art. 1362 c.c., comma 2), la cui valutazione è necessaria anche per l’accertamento di una nuova, diversa volontà eventualmente intervenuta nel corso della relativa attuazione e diretta a modificare singole clausole e, talora, la stessa natura del rapporto di lavoro inizialmente prevista e che, pertanto, in caso di contrasto tra iniziali dati formali e successivi dati fattuali, questi assumono necessariamente un rilievo prevalente (cfr. Cass 2.4.2002 n. 4682). Nella specie, peraltro, non si ha riguardo ad una lettera di conferimento di incarico, ma ad un dato di scarsa significatività, quale una ricevuta rilasciata dal lavoratore in occasione della percezione di compensi.
D’altro lato, nella sua determinazione il Giudice a quo avrebbe dovuto tener conto, ai fini di riconoscere od escludere la sussistenza dei rapporti di agenzia, della presenza o della assenza dei connotati della "stabilità" e "continuità", e considerare se il D., il C. ed il S. fossero preposti a tutti gli affari di una certa specie per un certo tempo, in coordinazione con l’attività del preponente, circostanze decisive che avrebbero potuto condurre ad una pronunzia di segno contrario.
Tali elementi, unitamente alla circostanza dell’erogazione di acconti fissi mensili con conguagli a fine anno ed alla considerazione che l’incarico era riferito a tutti i possibili affari perseguiti dalla X s.r.l. e non già ad un singolo e determinato affare, non sono stati adeguatamente presi in esame dal giudice a quo, nonostante la loro potenziale idoneità a dimostrare l’esistenza di un rapporto di agenzia, in quanto incompatibili con un rapporto di procacciamento di affari, che – secondo l’univoco indirizzo giurisprudenziale – deve essere caratterizzato da una collaborazione professionale autonoma "in via del tutto episodica" (tra le tante, Cass. 24 giugno 2005 n. 13629; Cass., 5 giugno 1998, n. 5569 e Cass. 9686/2009). Nè può essere valorizzata la circostanza che il preponente fosse libero di accettare o meno gli affari procurati procedendo direttamente alla conclusione dei contratti con i clienti nel caso in cui decidesse di accettarli, costituendo il rapporto di agenzia con rappresentanza un’ipotesi del tutto peculiare ed essendo, al contrario, connaturale con il rapporto di agenzia la mancanza in capo agli agenti del potere di impegnare la società nei confronti di terzi.
Non appare, invece, condivisibile l’ulteriore argomento difensivo, posto dalla ricorrente a sostegno del suo assunto, secondo cui la sentenza impugnata avrebbe anche violato l’art. 2697 c.c., per aver finito con l’accogliere la domanda proposta dalla X srl, che aveva agito in via di accertamento negativo, nonostante la Società non avesse fornito alcuna prova dell’asserita esistenza dei rapporti di procacciamento di affari. Invero, va rimarcato che, in riferimento ad azioni di accertamento negativo, nell’applicare le regole di distribuzione dell’onere probatorio poste dall’art. 2697 c.c, occorre dare rilievo non al criterio dell’iniziativa processuale, bensì al criterio di natura sostanziale relativo alla posizione delle parti riguardo ai diritti oggetto del giudizio, là dove, appunto, grava su chi invoca il proprio diritto l’onere di dimostrare il fondamento che lo giustifichi (ex plurimis, Cass. 17 luglio 2008 n. 19762 ed, in senso conforme, Cass. 18.5.2010 n. 12108 e Cass 10.11.2010 n. 22862).
Per quanto precede, il ricorso va accolto e l’impugnata sentenza cassata con rinvio ad altro giudice d’appello, indicato in dispositivo, che provvedere al riesame della controversia nel rispetto dei principi di diritto sopra esplicitati. Lo stesso giudice provvederà anche alla regolamentazione delle spese di questo giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese, alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 29 maggio 2012.
Depositato in Cancelleria il 23 luglio 2012
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