Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole
Svolgimento del processo
1. Con sentenza della corte d’assise d’appello di Catania in data 25.5.2010, veniva riformata, solo in punto pena, la sentenza di condanna del gup del tribunale di Ragusa in data 15.7.2009 che, all’esito del giudizio abbreviato, aveva condannato G. V. alla pena di anni quattordici di reclusione per il reato di omicidio, in danno di I.S., commesso il (OMISSIS), a seguito di un incidente stradale, la cui causalità andava riportata al G., rivale in amore della vittima. La corte d’assise d’appello riduceva la pena ad anni dodici di reclusione, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche, ribadendo il giudizio sulla solidità di un quadro probatorio deponente nel senso che il sinistro a seguito del quale perse la vita l’ I., andava ritenuto artatamente provocato dal G. che, marciando ad elevata velocità (80-90 km/h), aveva speronato il ciclomotore della vittima, in pessime condizioni di manutenzione e quindi di sicurezza, aveva fatto cadere il menzionato a lato dell’autovettura, travolgendolo e proiettandolo in avanti. Venivano valorizzate in tal senso: 1) le dichiarazioni della giovane donna contesa, G.D., che aveva riferito come il G. non avesse accettato il suo allontanamento e fosse mal disposto verso I. – che riteneva a torto che avesse preso il suo posto -, avendolo ripetutamente minacciato di morte; 2) le dichiarazioni di C. G. che riferiva in ordine a messaggi SMS che il G. aveva inviato alla giovane, con cui minacciava di ammazzare il rivale ed i messaggi che aveva inviato all’ I., per farlo desistere dalle presunte attenzioni sulla giovane; 3) le dichiarazioni di M.A., che dichiarava che il giorno del fatto, dalle ore 17,40 alle ore 18,20, aveva notato distintamente l’auto Ford Fiesta del G., parcheggiata davanti al luogo di lavoro della vittima, con a bordo l’imputato, che aveva cercato di nascondersi alla vista di terzi; 4) le indicazioni dello stesso imputato che ammetteva di aver atteso l’ I., assumendo però di averlo voluto solo spaventare, avvicinandolo da tergo, ma errando i tempi della manovra. Significativi poi venivano ritenuti i messaggi di morte via SMS che erano stati acquisiti e che soprattutto a detta del giudice di primo grado, lasciavano ampiamente presupporre una volontà omicidiaria da realizzare con il mezzo dell’auto.
Condivisibile veniva poi ritenuta la ricostruzione dell’incidente operata dal CT del Pm, ing. D., che in buona sostanza aveva accreditato la ricostruzione dei fatti offerta dall’imputato, attraverso dati scientifici facenti leva sull’energia cinetica dispiegata dall’auto, a seguito dell’attrito e sulla deformazione dei due mezzi, quindi sullo strisciamento e sull’impatto del ciclomotore e del suo conducente con il suolo ed il muro posto lungo il ciglio della strada.
Secondo i giudici di appello, la morte dell’ I. -seguita a lesioni cerebrali- doveva essere ricondotta alla volontà dolosa dell’imputato, poichè scientificamente era stato provato che i due mezzi, al momento dell’urto tenevano una velocità molto differente e che era stata l’energia dell’auto ad avere urtato da tergo il motociclo in modo deflagrante, ancorchè la velocità del ciclomotore fosse molto contenuta ed il motociclista tenesse rigorosamente la sua destra. Aveva avuto una sua parte anche il fatto che l’ I. portava con sè un sacco di 25 chili di gesso, che aveva determinato verosimilmente una difficoltà di equilibrio e sicuramente la tenuta di velocità molto modesta. Veniva desunto quindi che se solo G. avesse voluto non investire, ma spaventare come da lui addotto, avrebbe avuto tutto lo spazio per farlo ed avrebbe dovuto operare a velocità molto più contenuta. Veniva quindi ritenuto il ricorrente animato da dolo omicidiario, nella forma quanto meno eventuale. Non venivano ritenuti ravvisabili i presupposti per fare luogo alla concessione dell’attenuante della provocazione, poichè nessuno dei messaggi che l’ I. aveva mandato in risposta all’imputato, presentava profili di minaccia, diversamente dai messaggi che invece G. aveva inviato, sia alla ragazza, che alla vittima. La corte poi sottolineava che i motivi di gelosia che animavano l’imputato erano del tutto infondati , poichè in realtà tra l’ I. e la giovane Gu. non era nata alcuna relazione sentimentale.
2. Avverso tale pronuncia, ha proposto ricorso per Cassazione la difesa, con due distinti ricorsi.
L’avv. Antonino Mollica ha dedotto:
2.1 errata applicazione dell’art. 575 c.p., anzichè degli artt. 586 o 584 c.p.. Nella motivazione della sentenza non sarebbe stato preso in considerazione che l’accettazione del rischio morte da parte dell’imputato non era conseguenza certa. Sarebbe stato erroneo tirare le fila sulla base del solo dato della sommatoria delle velocità dei due veicoli, laddove la velocità dell’auto fu indicata dal G. in 90 km/h, ma senza ponderazione, posto che non guardava il contachilometri; ancora non fu adeguatamente valutato che la vittima era provvista di casco e che tale circostanza avrebbe dovuto escludere ab origine un intento omicida , profilandosi più aderente alla realtà l’ipotesi del reato preterintenzionale, ovvero quella della morte quale conseguenza di altro delitto.
2.2 manifesta illogicità della motivazione, in relazione alla mancata concessione dell’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 2: la difesa si duole che la corte d’appello non abbia colto che l’aspetto provocatorio starebbe nel fatto che la vittima abbia cercato di accreditare i sospetti del G., venendo così ad accendere uno stato d’ira nell’imputato che lo avrebbe spinto al delitto.
2.3 manifesta illogicità della motivazione, in relazione alla mancata riduzione della pena nella massima estensione, per effetto dell’art. 62 bis c.p.: essendosi discostati dalla riduzione massima, i giudici avrebbero dovuto dare conto in motivazione della scelta operata con un onere rafforzato di motivazione. L’avv. Michele Sbezzi ha dedotto:
2.4 difetto e illogicità della motivazione. Il CT avrebbe manifestato in alcuni passaggi della sua relazione che l’imputato aveva voluto urtare solo di striscio l’offeso, adombrando addirittura che lo stesso non fosse stato in grado di prevedere , concludendo poi che l’evento morte non sarebbe stato prevedibile e previsto dall’agente. Quindi viene contestato l’improvvido scostamento che sarebbe stato operato dai giudici di merito (che pure hanno aderito alle conclusioni del CT) nel passaggio motivazionale in cui non solo si dice che la manovra era finalizzata a colpire violentemente il ciclomotore, ma anche che il G. si configurò nettamente la morte dell’ I.. Non sarebbe stata valutata l’opzione interpretativa offerta dalla difesa sull’ipotesi di omicidio preterintenzionale.
2.5 Difetto di motivazione quanto alla mancata valutazione nella massima estensione delle circostanze attenuanti generiche, atteso che sulla pena base di anni ventuno di reclusione, è stata operata una riduzione di soli tre anni, senza dar conto della scelta operata che potrebbe esser frutto di un mero errore di calcolo.
Motivi della decisione
I motivi a sostegno di entrambi i ricorsi sono manifestamente infondati. La valutazione operata dai giudice di merito sulla qualificazione del reato non si presta alle censure avanzate, essendo stato correttamente argomentato che se solo l’imputato avesse voluto un evento di minore impatto , avrebbe impresso all’auto da lui condotta una minore velocità ed avrebbe evitato di chiudere la vittima in uno spazio ridottissimo rispetto al muro a secco che si snodava lungo il ciglio della carreggiata. Con motivazione aderente ai dati disponibili e rigorosa sotto il profilo logico, sono stati ritenuti rivelatori dell’animus necandi dell’imputato , quanto meno in via e-ventuale, il fatto che intenti omicidiari erano stati chiaramente manifestati dall’imputato all’indirizzo della vittima, la circostanza che l’imputato attese la vittima a lungo all’esterno del suo luogo di lavoro e gli tese un agguato, la violenza dell’impatto tra auto e motorino a cagione della forte velocità del mezzo condotto dall’imputato, tanto da essere la posizione terminale del motorino stata calcolata a distanza di 35,50 metri dal punto d’urto.
Su questa base inferenziale solida, perchè scientificamente testata, i giudici di merito hanno correttamente ritenuto inequivocabilmente integrata l’ipotesi di reato in contestazione, con motivazione assolutamente conforme al dato normativo, che ha portato ad escludere che si potesse accedere a ipotesi di minore gravità, quali quelle suggerite dalla difesa in termini di omicidio preterintenzionale o di morte quale conseguenza di altro delitto. Basti ricordare che il criteri distintivo tra omicidio volontario ed omicidio preterintenzionale risiede nel fatto che nel secondo caso la volontà dell’agente esclude ogni previsione dell’evento morte , che si determina per fattori esterni ed il cui accertamento deve fondarsi su elementi oggettivi desunti dalle concrete modalità della condotta:
nel caso di specie i giudici di merito hanno escluso un’interferenza causale impropria nella determinazione dell’evento, riconoscendo invece i dati suindicati altamente rivelatori di una netta configurabilità dell’omicidio volontario.
Il fatto che la vittima indossasse il casco (dato che va ritenuto pacifico, poichè in tale senso depose il teste C. correttamente non fu valorizzato nel senso suggerito dalla difesa (per accreditare l’ipotesi dell’omicidio preterintenzionale), in quanto come osservato, lo scontro fu talmente violento da determinare la caduta del casco medesimo, come venne riscontrato e poi perchè la morte come conseguenza di lesioni cerebrali è soltanto una delle possibili cause di decesso in episodi gravemente pluritraumatici, quale quello che coinvolse l’ I..
Neppure è ammissibile la doglianza sulla mancata concessione dell’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 2, in quanto la corte territoriale ha sottolineato che agli atti non vi è traccia di alcun messaggio intimidatorio proveniente dalla persona offesa nei confronti dell’Imputato, a dispetto di un elevato numero di contatti sms con cui l’imputato manifestava sia alla giovane Gu., che all’ I. la degenerazione del suo stato d’animo. Pertanto, secondo il giudice a quo non erano ravvisabili nè il dato oggettivo costituente il fatto ingiusto altrui, nè quello soggettivo costituito dallo stato d’ira collegato al fatto ingiusto della vittima, visto che i motivi di gelosia dell’imputato erano del tutto ingiustificati, non essendo intercorso tra l’ I. e la giovane menzionata alcun legame sentimentale. Esauriente è quindi stata la motivazione sul punto, per cui non si giustifica la ripetizione della deduzione svolta nel precedente grado.
Infine, non è ravvisabile alcuna forzatura del dato normativo nella contenuta riduzione operata a seguito della concessione delle circostanze attenuanti generiche, avendo la corte territoriale, in accoglimento del motivo d’appello, concesso dette attenuanti, senza peraltro sottovalutare l’oggettiva ed indubbia gravità del fatto commesso", in relazione alla giovanissima età della vittima ed alla sua personalità, dato questo che ampiamente ha supportato la valutazione operata, sottraendola a censure deducibili in questa sede.
Alla dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi, segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali; a tale declaratoria, riconducibile a colpa del ricorrente, consegue la sua condanna al versamento di somma che congruamente si determina in Euro 1000,00 a favore della cassa delle ammende, giusto il disposto dell’art. 616 c.p.p., così come deve essere interpretato alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 186/2000.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di Euro 1,000,00 a favore della cassa delle Ammende.
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