Fluttuazione regolare e periodica dell’attività economica.
Da sempre l’economia capitalista ha conosciuto fasi alterne di espansione e di recessione che ne hanno caratterizzato lo sviluppo; tale consapevolezza spinse alcuni autori nel secolo scorso ad adottare l’espressione «ciclo», con ciò sottintendendo la regolarità del fenomeno e la possibilità di distinguere, al suo interno, un certo numero di fasi.
La prima (fase di espansione), è caratterizzata da un aumento continuo del volume di produzione, dell’occupazione dei fattori produttivi, del livello generale dei prezzi e del reddito globale.
L’espansione globale dell’attività produttiva è provocata dalle attese di un nuovo o maggiore profitto (esempio: invenzione di un nuovo prodotto, abolizione di talune barriere al commercio, scoperta di procedimenti di produzione meno costosi ecc.).
La seconda (fase di crisi), è il momento nel quale s’interrompe il movimento ascensionale ed ha inizio il regresso (o punto di inversione superiore, detto anche crisi). Tale periodo è caratterizzato dal tracollo dei prezzi di alcuni beni.
La terza fase (fase di contrazione o recessione), è caratterizzata da una sempre più accentuata diminuzione del volume di produzione, dell’occupazione dei fattori produttivi, del livello generale dei prezzi e del reddito globale.
Infine, la quarta ed ultima fase (fase di ripresa) è caratterizzata da una nuova espansione, in quanto il volume di produzione, sotto la spinta di un nuovo o maggior profitto, tende a riprendere un andamento ascensionale.
Studi di statistica e storia economica hanno individuato tre tipi di ciclo, diversi per durata ma caratterizzati dal succedersi, al loro interno, delle quattro fasi prima richiamate:
— ciclo Kondrat’ev (v.) costituito da periodi di 45-50 anni;
— ciclo Juglar (v.) di durata media di 8 anni e con una durata effettiva da 6 a 10 anni;
— ciclo Kitchin (v.) della durata di circa 40 mesi e con oscillazione limitata.
Tale ciclità, se può trovare conferma nell’analisi dei dati statistici riguardanti il secolo scorso, sembra molto meno sostenibile per il XX secolo. In ogni caso, anche se attraverso le analisi statistiche è possibile determinare dei trend, esse non possono fornire alcun aiuto nel determinare le cause che provocano queste fluttuazioni. Sia gli economisti classici (v.) che quelli neoclassici (v.) non forniscono alcuna spiegazione del fenomeno delle fluttuazioni cicliche del sistema capitalistico in quanto la generale accettazione della legge degli sbocchi (v.) rendeva inconciliabili le ipotesi di fasi di sviluppo dell’economia alternate a fasi di depressione. I classici, ad eccezione di Marx (v. M-D-M), ed i neoclassici, quindi, imputavano le fluttuazioni cicliche a fattori esogeni rispetto al sistema economico, in particolare all’azione dei governi nella sfera economica.
La prima compiuta teoria delle fluttuazioni cicliche risale a Schumpeter (v.) che, riprendendo le osservazioni di Marx, giunse alla definizione di una teoria dello sviluppo economico basata sul ruolo della innovazione (v.) tecnologica. Schumpeter inserisce la propria teoria all’interno dei cicli di breve, medio e lungo periodo e individua quattro fasi diverse all’interno del ciclo economico: l’innovazione, l’espansione, la recessione e la depressione.
In tal modo, pur appena accennata, la teoria di Schumpter individua nell’alternarsi di fluttuazioni originate da innovazioni l’essenza stessa del capitalismo.
Dopo il tentativo di Schumpeter l’analisi teorica abbandona l’ipotesi di una rigida ciclicità delle fluttuazioni e si concentra, invece, sulle cause dei momenti di espansione e di depressione dell’attività economica. In tal senso, tutte le moderne teorie non possono prescindere dall’analisi di Keynes (v.). Tra le teorie post-keynesiane volte a fornire una spiegazione del ciclo sulla base dell’azione di forze endogene al sistema economico è, infatti, da ricordare l’analisi dell’interrelazione fra acceleratore (v.) e moltiplicatore (v.) proposta da autori quali Samuelson (v.) e Hicks (v. Ceiling and floor).
Le teorie monetariste, invece, hanno tentato di fornire una spiegazione del fenomeno delle fluttuazioni attraverso un’analisi che individua come fattore principale di perturbazione del sistema economico le variazioni dell’offerta di moneta (v.). Secondo i monetaristi, infatti, gli interventi delle autorità monetarie intese a stabilizzare il ciclo sarebbero vanificati dai ritardi temporali (lags) con cui operano le politiche economiche e, soprattutto, dalla circostanza per cui gli operatori anticipano sistematicamente l’operatore pubblico (v. Aspettative razionali).
Teorie più recenti sull’origine delle fluttuazioni hanno preso in considerazione l’interazione fra la durata della legislatura e le politiche economiche (v. Ciclo elettorale). Altri autori, invece, insistono sulla intrinseca stabilità del sistema e sulla origine esogena delle crisi economiche (v. Sunspot equilibria).