Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 02-02-2011) 15-03-2011, n. 10364 Ricorso

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza 11 maggio 2010, il Tribunale di Bologna ha applicato a R.D. la pena concordata (anni uno, mesi due di reclusione ed Euro quattromila di multa) per il reato previsto dagli artt. 81 cpv. cod. pen., D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 5, (T.U. stup.).

Per l’annullamento della sentenza, l’imputato ha proposto ricorso per Cassazione deducendo violazione di legge: rileva che alcune sostanze non superavano i limiti quantitativi stabiliti con i decreti ministeriali e non avevano effetto drogante e, pertanto, non dovevano essere incluse nelle condotte antigiuridiche.

Tanto premesso, deve osservarsi come la deduzioni difensiva non trovi conforto nel testo della sentenza impugnata che precisa il dato ponderale ed il principio attivo dei vari stupefacenti, trovati nella illecita disponibilità dell’imputato; da tali elementi si può desumere che il quantitativo della droga fosse modesto (per cui è stata riconosciuta la speciale attenuante), ma non di irrilevante entità. Inoltre, l’imputato – chiedendo di essere giudicato a sensi dell’art. 444 segg. cod. proc. pen. – ha rinunciato a fare valere le sue eccezioni difensive ed a contestare l’accusa: pertanto, non può mettere in discussione con il ricorso in Cassazione i termini di un accordo che lo stesso ha sollecitato e che il Tribunale, all’esito che sindacato che la legge gli demanda, ha ritenuto conforme a giustizia. Per gli esposti motivi, la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il proponente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma – che reputa equo fissare in Euro millecinquecento – alla Cassa delle Ammende.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento di Euro millecinquecento alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

T.A.R. Toscana Firenze Sez. I, Sent., 24-03-2011, n. 512 Giustizia amministrativa

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ato nel verbale;
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. I ricorrenti furono assunti dal Ministero della Difesa, con contratti triennali ai sensi della legge 20 settembre 1962, n. 1483, come ricercatori e programmatori, e poi transitarono in ruolo a seguito di concorso interno. Hanno svolto le proprie funzioni presso il Centro Ricerche Esperienze e Studi per le Applicazioni Militari (CRESAMex centro Applicazioni Militari Energia Nucleare) nel campo dell’energia nucleare. Con appositi decreti emanati nel febbraio 1981, in applicazione della legge 11 luglio 1980, n. 312, vennero inseriti nei ruoli civili della difesa (settima qualifica funzionale, con decorrenza a fini giuridici 1 gennaio 1978).

Intervenne poi la contrattualizzazione del rapporto di impiego alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, di cui al d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, e con il DPCM 30 dicembre 1993, n. 593 il personale del CRESAM fu compreso nel comparto di contrattazione degli enti di ricerca. Questo ente, con decreto ministeriale 28 aprile 1994, fu trasformato in Centro Interforze Studi per le Applicazioni Militari (CISAM) ed anch’esso, con la stipulazione del contratto collettivo quadro per la definizione dei comparti di contrattazione in data 2 giugno 1998, fu compreso nel comparto degli enti di ricerca.

Con il presente gravame, notificato il 15 settembre 2000 e depositato il 22 settembre 2000, i ricorrenti lamentano che il Ministero non abbia loro esteso la disciplina contrattuale del comparto ricerca, pur dopo atto di diffida ritualmente notificato, e chiedono quindi l’accertamento del loro diritto all’applicazione delle norme derivanti dalla contrattazione collettiva di tale comparto a partire dal C.C.N.L. 1° gennaio 1994, con attribuzione della qualifica e dell’anzianità maturata, e condanna dell’intimata Amministrazione ad operare la liquidazione conseguente ed il pagamento delle differenze stipendiali, oltre a rivalutazione monetaria ed interessi legali dalla maturazione dei singoli ratei fino al saldo.

In subordine, ove venisse riconosciuta l’applicazione delle norme suddette limitatamente ad un minor periodo, chiedono l’accertamento del loro diritto a mantenere il miglior trattamento economico anche per il periodo successivo in cui venisse dichiarata l’applicazione della disciplina del comparto ministeri fino al riassorbimento.

In ulteriore subordine chiedono l’annullamento del silenzio rifiuto formatosi sulle diffide notificate, con declaratoria dell’obbligo dell’Amministrazione di provvedere in merito.

A sostegno delle proprie affermazioni deducono che l’art. 8 del citato DPCM 593/1993 ha espressamente ricompreso il personale del CRESAM nel comparto degli enti di ricerca; quanto al periodo successivo al decreto ministeriale di trasformazione dell’ente emesso il 28 aprile 1994, essi richiamano l’art. 1, comma 4, del contratto collettivo della ricerca. In ogni caso il nuovo ente derivante dalla trasformazione del CRESAM avrebbe mantenuto gli stessi scopi di ricerca e sperimentazione per cui i ricorrenti furono assunti, e si sarebbe verificata una successione tra enti.

In subordine i ricorrenti affermano il loro diritto a non vedersi ridotti i benefici retributivi conseguiti con l’applicazione del contratto del comparto ricerca, in base al divieto di riforma peggiorativa del trattamento economico dei dipendenti pubblici.

L’Avvocatura dello Stato, costituita per l’Amministrazione intimata, dichiara la disponibilità all’applicazione delle disposizioni della contrattazione collettiva per il comparto ricerca limitatamente al periodo 1 gennaio 199428 aprile 1994, e per il resto replica puntualmente alle deduzioni dei ricorrenti evidenziando in particolare il diverso ruolo svolto dal CISAM rispetto al CRESAM, e deducendo che l’inserimento di quest’ultimo nel comparto ricerca ad opera del contratto collettivo quadro sarebbe avvenuto in modo specifico "ad personam".

I ricorrenti hanno instaurato anche un contenzioso civile per il riconoscimento delle loro pretese che, in punto di giurisdizione e per quanto interessa nella presente sede, si è concluso con la sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite n. 7159/2010 che ha dichiarato la giurisdizione del giudice amministrativo per le domande relative al periodo che termina con il 30 giugno 1998.

All’udienza del 9 febbraio 2011 la causa è stata trattenuta in decisione.

2. Il ricorso é fondato e deve essere accolto nei termini che seguono.

2.1 Va rilevato in via preliminare che il ricorso é tempestivo rispetto alla generale scadenza posta dall’art. 69, comma 7, d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, in base al quale le controversie in materia di rapporti di lavoro alle dipendenze di pubbliche amministrazioni relative a questioni antecedenti il 30 giugno 1998 devono essere proposte a pena di decadenza entro il 15 settembre 2000, e in tal caso restano attribuite alla giurisdizione esclusiva amministrativa. Al fine della corretta discriminazione del limite temporale per individuare la giurisdizione in materia deve farsi riferimento alla data di notifica dell’atto introduttivo del giudizio e non a quella del successivo perfezionamento del rapporto processuale che si realizza con il suo deposito (C.d.S. VI, 08 agosto 2008 n. 3909). Il ricorso in esame è stato notificato il 15 settembre 2000 e, pur essendo stato depositato successivamente, deve quindi essere ritenuto ammissibile.

2.2 L’Amministrazione ha dichiarato la propria disponibilità all’applicazione delle disposizioni derivanti dalla contrattazione collettiva per il comparto ricerca limitatamente al periodo 1 gennaio 199428 aprile 1994, sicché in questi termini deve essere dichiarata cessata la materia del contendere.

2.3 La pretesa dei ricorrenti per il periodo successivo, e fino al 30 giugno 1998, data a partire dalla quale interviene nella materia la giurisdizione del giudice ordinario, appare fondata. Tale conclusione è motivata dall’inserimento del CISAM nel comparto ricerca da parte dell’art. 7 dell’Accordo quadro per la definizione dei comparti stipulato il 2 giugno 1998: contrariamente alle deduzioni della difesa erariale, da tale articolo non si evince che l’inserimento sia stato attuato in modo specifico, in deroga ai criteri seguiti nella definizione dei comparti. La categoria degli "enti scientifici, di ricerca e sperimentazione" non è posta, in tale disposizione, quale categoria generale alla luce della quale individuare i singoli enti da inserire nel comparto; essa invece individua una serie specifica di enti, e precisamente quelli di cui al punto 6 della tabella allegata alla legge 20 marzo 1975, n. 70. Essa identifica cioè in modo puntuale e specifico alcuni degli enti che l’accordo quadro inserisce nel comparto in questione, e infatti nell’elencazione del citato art. 7 dell’Accordo, alla stessa fanno seguito altri diversi enti tra cui il CISAM. La definizione dei comparti in sede di contrattazione collettiva ha quindi inteso prendere atto delle funzioni svolte dai singoli enti. D’altronde, in base alle norme in materia di disciplina del rapporto di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni di cui al d.lgs. 29/1993, applicabile ratione temporis, compete in via esclusiva alla contrattazione collettiva individuare e definire concretamente la normativa applicabile alle singole categorie di lavoratori, e in particolare l’individuazione dei comparti di contrattazione. In tale funzione non può sostituirsi il potere unilaterale delle amministrazioni datrici di lavoro.

Si aggiunga che le funzioni del CISAM, come definite dal DM 28 aprile 1994, attengono pienamente alla ricerca, essendo individuate all’art. 2 del medesimo decreto in studi, verifiche ed applicazioni di carattere militare, nonché preparazione tecnico professionale del personale della difesa nei settori dell’energia nucleare, dell’ottica e della compatibilità elettromagnetica, oltre ad attività di certificazione collaudo delle apparecchiature dei mezzi di interesse della difesa.

3. Per i motivi sopradescritti il ricorso deve essere accolto, con accertamento del diritto dei ricorrenti all’applicazione delle norme derivanti dalla contrattazione collettiva del comparto ricerca a partire dal 28 aprile 1994 e fino al 30 giugno 1998 e attribuzione della qualifica e dell’anzianità maturata, e condanna dell’intimata Amministrazione alla liquidazione conseguente ed al pagamento delle differenze stipendiali, oltre a rivalutazione monetaria ed interessi legali dalla maturazione dei singoli ratei al saldo.

Le spese processuali possono essere compensate in ragione dei ripetuti mutamenti normativi intervenuti all’epoca dei fatti nella disciplina del rapporto di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni.
P.Q.M.

il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Prima) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, in parte lo accoglie e in parte dichiara cessata la materia del contendere, nei sensi di cui in motivazione.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. II, Sent., 11-07-2011, n. 15180 Risoluzione del contratto per inadempimento Fusione, concentrazione ed incorporazione

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Svolgimento del processo

1. – Con sentenza depositata il 12 giugno 2002, il Tribunale di Roma dichiarò risolto, come previsto dalla clausola risolutiva espressa, per inadempimento relativo al mancato pagamento delle rate scadute, il contratto di compravendita con patto di riservato dominio intervenuto tra la Cooperativa Agricola San Romualdo a r.l. e la Cassa per la Formazione della Proprietà Contadina, poi incorporata dall’I.S.M.E.A., Istituto per Studi, Ricerche e Informazioni sul Mercato Agricolo, e condannò la predetta cooperativa acquirente a rilasciare il fondo oggetto della compravendita.

Avverso tale sentenza propose appello la Cooperativa, osservando che tra le parti era intercorso un accordo volto a rideterminare le rispettive obbligazioni. Inoltre, per il periodo successivo al 1998, fece valere la sospensione dei pagamenti in virtù della L. n. 61 del 1998, art. 12 a seguito degli eventi sismici che avevano interessato la zona. L’I.S.M.E.A., costituitosi in giudizio, eccepì che la notifica dell’appello effettuato nei confronti della Cassa, già estinta per effetto della L. n. 419 del 1999, non aveva impedito il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado. Nel merito, osservò che la pronuncia del Tribunale aveva carattere ricognitivo della risoluzione avvenuta per effetto della clausola risolutiva espressa, e quindi eventuali accordi successivi al comportamento previsto dalla clausola come determinante la risoluzione non inficiavano la legittimità della sentenza appellata, che aveva accertato un inadempimento circa il pagamento di numerose rate del prezzo.

2. – Con sentenza depositata il 16 dicembre 2004, la Corte d’appello di Roma accolse il gravame.

Quanto alla eccezione di giudicato, osservò la Corte di merito che la notifica dell’atto di appello alla parte presso il procuratore costituito era regolare, trovando applicazione l’art. 300 cod. proc. civ., per cui, se il procuratore costituito omette di dichiarare in udienza o di notificare alle altre parti, fino all’udienza di discussione, l’avvenuta morte o perdita di capacità della parte da lui rappresentata, la posizione giuridica di quest’ultima resta stabilizzata rispetto alle altre parti quale persona ancora esistente e capace: principio confermato con riferimento agli enti pubblici soppressi ex lege.

Nel merito, la Corte, premesso che, dopo la prima udienza nel 1997 relativa al giudizio avente ad oggetto la risoluzione di diritto, le parti non si erano presentate per due udienze consecutive, sicchè la causa era stata cancellata dal ruolo, e riassunta dalla Cassa solo nel 1999, osservò che, durante questa fase di quiescenza, la Cooperativa San Romualdo aveva ricevuto comunicazione della ricapitalizzazione del debito accumulato, e fece riferimento a due lettere dalle quali emergeva la esistenza di un accordo tra le parti con la previsione di un pagamento di L. 600.000.000, imputato prevalentemente agli interessi di mora, nonchè l’avvenuto pagamento delle spese legali e la volontà della Cassa di procedere alla cancellazione della trascrizione della citazione.

Tali comportamenti erano concludenti e univoci nel senso della esistenza di un accordo risolutivo della controversia. La circostanza che la Cassa avesse accettato la somma di L. 600.000.000 e la ricapitalizzazione del debito per il futuro, non lasciava dubbi sulla effettiva intenzione della Cassa di voler rinunciare alla clausola risolutiva espressa. Quindi, secondo la Corte, il giudice di primo grado non si sarebbe dovuto fermare al dato indicato nell’atto di citazione circa l’inadempimento, ma avrebbe dovuto farsi carico dei comportamenti successivi al fine di valutare se sussistesse al momento della decisione l’inadempimento della cooperativa.

Quanto alla deduzione della parte appellata relativa all’inadempimento della cooperativa anche per l’anno 1998, quindi successivamente all’accordo, osservò il giudice di secondo grado che, a prescindere dalla richiesta di applicazione del beneficio previsto dalla L. n. 61 del 1998, art. 12 bis, a seguito del terremoto che aveva colpito la zona delle Marche, con sospensione del pagamento delle rate fino a cinque anni, richiesta regolarmente avanzata dalla cooperativa, comunque si trattava di distinta causa petendi rispetto a quanto indicato nella citazione, in cui si parlava di inadempimento fino al 1997.

Per la cassazione di tale sentenza ricorre l’ISMEA sulla base di tre motivi, illustrati anche da successiva memoria. Resiste con controricorso la Coop. Agricola San Romualdo.
Motivi della decisione

1. – Con il primo motivo di ricorso, si deducono violazione e falsa applicazione dell’art. 136 cod. proc. civ., e segg., nonchè degli artt. 300, 330, 324, 327, 163 e 164 cod. proc. civ., e dell’art. 2909 cod. civ., inesistenza della notificazione dell’atto di appello, nullità e inammissibilità dell’appello, nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa punti decisivi della controversia prospettati dalle: parti o rilevabili di ufficio.

Si rileva che la Cassa per la Formazione della Proprietà Contadina, costituendosi nel giudizio di primo grado, aveva eletto domicilio presso la propria sede legale in (OMISSIS), e non presso il proprio difensore avv. Maria Luisa Spina. Durante il giudizio, era stato emanato il D.Lgs. n. 419 del 1999, che, all’art. 6, disponeva l’accorpamento della Cassa nell’ISMEA. A seguito della sentenza di primo grado, la Cooperativa aveva convenuto in giudizio innanzi alla Corte d’appello di Roma l’Ente soppresso, in luogo dell’ISMEA, suo successore a titolo universale ex lege, che aveva sede legale in (OMISSIS), notificando l’atto di appello presso l’avv. Spina, nonostante l’Ente stesso, peraltro non più esistente, non avesse eletto domicilio colà.

Pertanto, l’Istituto ricorrente, costituendosi nel giudizio di secondo grado, aveva fatto presente la nullità di tale notifica, osservando che la propria costituzione, essendo intervenuta dopo la scadenza del termine di cui all’art. 327 cod. proc. civ., non impediva il passaggio in giudicato della sentenza impugnata.

L’eccezione era stata ignorata dalla Corte territoriale. Nè il giudice di secondo grado aveva rilevato che era stato convenuto in giudizio un ente estinto.

2.1. – La doglianza risulta meritevole di accoglimento nei termini che seguono.

2.2. – Per effetto del D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 419, art. 6, comma 5 (Riordinamento del sistema degli enti pubblici nazionali, a norma della L. 15 marzo 1997, n. 59, artt. 11 e 14), la Cassa per la Formazione della Proprietà Contadina, istituita con D.Lgs. 5 marzo 1948, n. 121, fu accorpata nell’Istituto per Studi, Ricerche e Informazioni sul Mercato agricolo (ISMEA), di cui al D.P.R. 28 maggio 1987, n. 278, che, per disposto della stessa norma, subentrò ad essa nei relativi rapporti giuridici attivi e passivi.

La fusione per incorporazione di società ex lege determina, ai sensi dell’art. 2504 bis cod. civ. (nel testo vigente ratione temporis), l’automatica estinzione della società incorporata ed il subingresso per successione a titolo universale (corrispondente alla successione universale mortis causa) della società incorporante nei rapporti giuridici attivi e passivi – anche processuali – già facenti capo alla società incorporata.

Ne consegue che l’ impugnazione della sentenza proposta nei confronti della parte estinta è, in tale ipotesi, ai sensi del combinato disposto dell’art. 163 cod. proc. civ., comma 1, n. 3, e art. 164 cod. proc. civ., affetta da nullità, sanabile mediante la costituzione in giudizio del successore a titolo universale (cfr., sul punto, tra le altre, Cass., sentt. n. 20650 del 2009, n. 14066 del 2008).

Nella specie, la costituzione nel giudizio di appello dell’ISMEA dopo la scadenza del termine di cui all’art. 327 cod. proc. civ., non poteva avere – come esattamente rilevato dal ricorrente – effetto sanante per essere già passata in giudicato la sentenza impugnata.

Per di più, la notifica dell’atto introduttivo dell’appello al soggetto ormai estinto era stata eseguita presso il difensore, e non già al domicilio eletto dalla Cassa, presso la propria sede legale in (OMISSIS).

Ne consegue la inammissibilità del gravame.

4. – Conclusivamente, va accolto il primo motivo del ricorso, assorbiti gli altri. La sentenza impugnata deve essere cassata, e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ., comma 2, con la declaratoria di inammissibilità dell’appello della Cooperativa agricola San Romualdo s.r.l..

Avuto riguardo alla natura e particolarità della controversia, si ravvisa la sussistenza di giusti motivi per compensare integralmente tre le parti le spese del presente giudizio.
P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso, assorbiti gli altri.

Cassa la sentenza impugnata, e, decidendo nel merito, dichiara inammissibile l’appello proposto dalla Cooperativa Agricola San Romualdo s.r.l.. Compensa tra le parti le spese dell’intero giudizio.

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Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 07-01-2011) 03-05-2011, n. 17119 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

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mo, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo

Con ordinanza del 3.6.2010, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bari dispose la custodia cautelare in carcere di 42 persone, alcune delle quali gravemente indiziate anche del reato associativo, oltre che di ipotesi di spaccio continuato in concorso di sostanze stupefacenti, tra i quali M.S., indagato per i reati di cui agli artt. 110 e 81 cpv. c.p. e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1, in (OMISSIS).

Avverso tale provvedimento l’indagato propose istanza di riesame, e il Tribunale di Bari, con ordinanza del 24.6.2010, dichiarava la nullità dell’ordinanza impugnata, rilevando che il Gip si era limitato ad una pedissequa riproduzione della richiesta di misura cautelare avanzata dalla Procura della Repubblica di Bari, la quale a sua volta, si era limitata a riprodurre l’informativa di polizia giudiziaria.

Ricorre per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bari, Direzione Distrettuale Antimafia, deducendo l’erronea rilevazione di ufficio della insussistente nullità prevista dall’art. 292 c.p.p., comma 2, e l’omesso esercizio del potere dovere di integrazione attribuito al Tribunale del riesame dall’art. 309 c.p.p., comma 9. Rileva, al riguardo, il ricorrente che il Tribunale di Bari ha annullato il provvedimento in quanto il giudice per le indagini preliminari avrebbe svolto il processo motivazionale previsto dall’art. 292 c.p.p., lett. c) e c bis), limitandosi a far propri i contenuti dell’informativa della polizia giudiziaria a sua volta riprodotta nella richiesta cautelare del pubblico ministero, ed ha quindi ritenuto inesistente la necessaria motivazione del titolo cautelare, anche sotto il profilo delle esigenze cautelari, valutate in modo generico e cumulativo, e senza alcuna considerazione del tempo trascorso dalla commissione dei fatti, peraltro ricompresi nell’ambito dell’operatività dell’indulto. Il Tribunale ha omesso però di considerare che: 1) la richiesta cautelare del pubblico ministero riporta in calce ad ogni singola imputazione provvisoria le pagine in cui viene trattata quella singola imputazione; 2) la richiesta cautelare in questione non si è affatto limitata a riprodurre l’informativa della polizia giudiziaria, come dimostra il fatto che non è stata accolta la richiesta di misura nei confronti di alcuni indagati, e le misure richieste sono state calibrate considerando le posizioni di ogni singola persona; 3) sono state redatte dalla polizia giudiziaria, con l’annotazione di indagine n. 484/268-1 del 4.10.2007, le schede personali relative ad ogni singola persona interessata dalla richiesta cautelare, e le schede in parola, aggiornate al settembre 2007, costituiscono acquisizioni investigative rilevanti in relazione alla valutazione delle esigenze cautelari relative ad ogni singola persona sottoposta alle indagini. Il giudice per le indagini preliminari, dopo aver richiamato, a pagina 27 dell’ordinanza i gravi indizi relativi alle provvisorie imputazioni, così riportando nel provvedimento cautelare una serie di dati in puro fatto, già scrutinati e valorizzati dal pubblico ministero, ha poi testualmente affermato che "quanto sopra ritrova la totale condivisione di questo GIP che, quindi, si richiama alla richiesta medesima ad ogni effetto di legge. Anche riguardo alle richieste cautelari si condividono pienamente le considerazioni svolte dai p.m. richiedenti", le affermazioni in questione, pur nella loro stringatezza, non consentono in alcun modo di ritenere insussistente il vaglio critico e di sostenere che il giudice della cautela abbia acriticamente riportato nel provvedimento custodiale genetico documenti di polizia giudiziaria affastellati dal pubblico ministero. D’altra parte, attesa la dimostrata certa presenza, ancorchè in nuce, nel provvedimento del g.i.p. di un apparato argomentativo fondante lo scrutinio e l’accoglimento delle tesi accusatorie del pubblico ministero, il Tribunale del riesame avrebbe potuto e dovuto integrare il provvedimento genetico, nelle parti ritenute insufficientemente motivate.

Chiede pertanto l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata.
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato, e va pertanto rigettato.

Ben è vero che – secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale citato dal ricorrente e condiviso dal Collegio – il coordinamento dell’art. 292 c.p.p., comma 2, lett. c) e c) bis (in base al quale a pena di nullità, rilevabile anche d’ufficio, il giudice nell’ordinanza cautelare deve esporre le specifiche esigenze cautelari e la necessità della custodia in carcere, esponendo i motivi per i quali non sono stati ritenuti rilevanti gli elementi forniti dalla difesa) e quello dell’art. 309 c.p.p., comma 9 (in base al quale il tribunale può anche confermare il provvedimento cautelare per ragioni diverse da quelle indicate nella motivazione dei provvedimento stesso) va stabilito nel senso che al tribunale del riesame deve essere riconosciuto il ruolo di giudice collegiale e di merito sulla vicenda "de libertate", e pertanto allo stesso non è demandata tanto la valutazione della legittimità dell’atto, quanto la cognizione della vicenda sottostante e, quindi, primariamente, la soluzione del contrasto sostanziale tra la libertà del singolo e la necessità coercitiva. Ne consegue che la dichiarazione di nullità dell’ordinanza impositiva è certamente l’ultima "ratio" delle determinazioni adottabili. Tale nullità, invero, può essere dichiarata solo ove il provvedimento custodiale sia mancante di motivazione in senso "grafico", ovvero ove, pur esistendo una motivazione in tal senso, essa si risolva in clausole di stile, onde non sia possibile, interpretando e rivalutando l’intero contesto, individuare le esigenze cautelari il cui soddisfacimento si persegue (cfr., tra le tante, Cass. Sez. 2, sent. n. 39383/2008 Rv. 241868).

Inoltre, quando un provvedimento non si limita a richiamare altro atto, ma ne recepisca graficamente il contenuto, non può certo dirsi che "manchi" di motivazione, dovendo, piuttosto, equipararsi la situazione al caso di motivazione "per relationem", e cioè del provvedimento che richiami il contenuto di diverso atto, facendone propria la motivazione. E sulla motivazione "per relationem" da parte del G.I.P. alla richiesta del P.M si sono espresse le SS.UU. di questa Corte, con la sentenza n.17 del 21 giugno 2000, ritenendola legittima, semprechè l’atto di riferimento sia conosciuto o conoscibile dall’interessato, la motivazione, contenuta nell’atto di riferimento, risulti congrua rispetto all’esigenza di giustificazione propria al provvedimento di destinazione e sia chiaro che il decidente abbia preso cognizione del contenuto delle ragioni del provvedimento di riferimento ritenendole coerenti alla sua decisione.

Orbene – tanto premesso – rileva il Collegio che, nella specie, l’atto richiamato dal Giudice per le indagine preliminari, integralmente riprodotto, è costituito dall’informativa di polizia giudiziaria, già recepita nella richiesta di misura avanzata dalla Procura, e che espone, secondo un mero ordine cronologico, l’esito delle intercettazioni telefoniche e delle altre attività di polizia giudiziaria.

In assenza di una qualsivoglia, seppur sintetica, analisi effettuata dal Giudice del riesame, per ogni singolo indagato, a fronte degli elementi indicanti l’attività di spaccio e, dove ravvisato, del suo collocamento all’interno dell’associazione per delinquere, nonchè delle esigenze cautelari in riferimento al tempo dei commessi reati in riferimento agli episodi di spaccio (reati collocati, peraltro, per il M. in un arco temporale non recente, e che va dal secondo semestre (OMISSIS)) e alle condotte degli indagati in epoca successiva al deposito dell’informativa di polizia giudiziaria nel giugno 2007, correttamente il Tribunale del Riesame ha ritenuto di non poter integrare la motivazione dell’impugnato titolo custodiale. Nè l’avrebbe potuto, e dovuto fare, sulla scorta delle "schede personali" di cui al ricorso, relative ad ogni singola persona e redatte dalla polizia giudiziaria nel settembre 2007 (e quindi quasi tre anni prima dell’ordinanza custodiale del 3.6.2010), dal momento che le stesse, pur costituendo acquisizioni investigative certamente rilevanti ai fini sia della richiesta della misura che del provvedimento custodiale, non possono però sostituire la valutazione degli indizi e delle esigenze cautelari, che è propria dell’ufficio requirente prima e del giudice delle indagini preliminari dopo, e che ben può esprimersi, per evidenti esigenze di economia processuale, anche "per relationem", ma che deve comunque essere attuale e contenere quel minimo di enucleazione degli elementi essenziali e individualizzati atti a consentire, da un lato, un’adeguata difesa all’indagato in riferimento alla fattispecie di reato contestata e, dall’altro, la verifica della sufficienza argomentativa ai Giudici del riesame.

Nè d’altra parte dallo stesso tenore delle deduzioni del ricorrente emerge in alcun modo che il giudice delle indagini preliminari abbia preso cognizione del contenuto sostanziale delle ragioni del provvedimento di riferimento, in ordine ad ogni singolo indagato, e le abbia quindi meditate e ritenute coerenti con la sua decisione, risultando a tal fine del tutto irrilevante il breve inciso riportato in ricorso (e riferito senza distinzione alcuna a tutti gli indagati, e ciò a prescindere dal fatto che fosse contestata l’ipotesi di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 e/o quella di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, con le relative conseguenze sul piano dell’automatismo cautelare), e definito dallo stesso ricorrente apparato argomentativo "in nuce".
P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

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