T.A.R. Lazio Roma Sez. I quater, Sent., 14-11-2011, n. 8791 Ricorso per l’esecuzione del giudicato

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con il ricorso in epigrafe la parte ricorrente espone quanto segue:

1) che egli lavora alle dipendenze dell’Amministrazione penitenziaria;

2) che con sentenza n. 12009 del 2008 il TAR Lazio accoglieva il ricorso proposto dai signori M. ed altri (tra cui il ricorrente) per vedersi riconoscere il diritto ad ottenere il computo delle due ore settimanali di servizio obbligatorio a fini di tredicesima mensilità, nonché ai fini della riliquidazione del trattamento pensionistico e di quello di buonuscita, con relativa condanna dell’Amministrazione al pagamento di quanto dovuto; in particolare il TAR accoglieva in parte la pretesa dei ricorrenti riconoscendo il loro diritto ad ottenere il computo delle due ore di servizio straordinario obbligatorio a decorrere dal 31 dicembre 1995 nella base pensionabile e sulla base di calcolo della buonuscita.

Espone altresì di avere notificato nel secondo semestre del 2010, come risultante in atti, apposita diffida affinché l’Amministrazione eseguisse la sentenza in epigrafe, posto che questa è passata in giudicato, atteso il decorso dei termini di impugnazione previsti per legge senza che la parte soccombente proponesse appello.

Conclude chiedendo pertanto che sia dichiarato l’obbligo dell’Amministrazione della Giustizia di portare ad esecuzione la prefata sentenza, oppure che sia nominato un commissario ad acta come per legge.

L’esponente aziona la pretesa ad ottenere l’esecuzione della sentenza in epigrafe, in base alla quale è stato riconosciuto il diritto nei confronti dei destinatari e dei quali fa parte, ad ottenere la determinazione della base pensionabile e della base di calcolo dell’indennità di buonuscita ricomprendendovi anche le due ore di lavoro obbligatorie e settimanali già previste dall’art. 12, commi 1, 2 e 3 del d.P.R. 31 luglio 1995, n. 395 a decorrere dal 31 dicembre 1995.

Al riguardo è dunque da rilevare che, ancorché la sentenza possa ritenersi quanto meno esecutiva non avendo parte ricorrente prodotto certificato di non interposto appello, mentre l’art. 114, comma 2 del Codice di rito prescrive che l’attore debba produrre in giudizio anche l’eventuale prova del passaggio in giudicato, la situazione di cui sopra rende la domanda di esecuzione del tutto indeterminata, laddove a fronte del riconoscimento del diritto ad ottenere il beneficio di che trattasi recato dalla sentenza in epigrafe, la relativa condanna dell’Amministrazione alla corretta determinazione delle sopra cennate basi di calcolo ai fini della pensione e della indennità di buonuscita potrà avere attuazione quando gli interessati, tra cui l’esponente, lo matureranno e cioè al momento del collocamento in quiescenza.

Sotto questo profilo potrebbe obiettarsi che l’ottemperanza sostanzia un giudizio di merito, nel quale, unico, il giudice può sostituirsi all’Amministrazione nell’adottare il provvedimento, ma tale obiezione non vale a scalfire la circostanza che era nella disponibilità della parte fornire la prova dell’intervenuta cessazione al momento della proposizione del ricorso per l’esecuzione, laddove il giudice non può di certo, neppure in sede di merito, sostituirsi all’Amministrazione quando la pretesa azionata, ancorché derivante da una sentenza asseritamente passata in giudicato, sia indeterminata o futura.

In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Sussistono tuttavia giusti motivi per la compensazione delle spese di giudizio ed onorari tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Quater)

definitivamente pronunciando:

Dichiara inammissibile il ricorso, come in epigrafe proposto.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 13-10-2011) 28-10-2011, n. 39209 Sequestro

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

In data 25 gennaio 2011 il P.M. ha disposto il sequestro probatorio di un camper marca MIZAR, targato (OMISSIS), che si trovava in possesso di C.A., ritenendo che lo stesso costituisse oggetto di una truffa perpetrata da tale B.S. ai danni dei fratelli D. e S.S.. Avverso tale provvedimento il C. ha proposto istanza di riesame, rigettata dal Tribunale di Pordenone con ordinanza dell’8 marzo 2011.

L’interessato propone ricorso per cassazione lamentando:

– la mancanza assoluta di motivazione in ordine al presupposto delle finalità perseguite col sequestro;

– la violazione dell’art. 365 c.p.p. in quanto, pur essendo anch’egli sottoposto ad indagini, non gli è stato chiesto se fosse assistito da un difensore di fiducia e non gli è stato comunque assegnato un difensore d’ufficio;

– la falsa applicazione dell’art. 324 c.p.p., u.c., essendo erronea l’affermazione secondo cui non si sarebbe potuto comunque ordinare il dissequestro del camper, essendone controversa la proprietà;

– la violazione del principio di proporzionalità della misura cautelare, applicata senza tenere conto che gli era acquirente in buona fede.

Il primo motivo di ricorso è fondato con rilievo assorbente rispetto alle ulteriori doglianze.

Va richiamato al riguardo il noto principio affermato dalle sezioni unite di questa Corte, secondo cui "anche per le cose che costituiscono corpo di reato, il decreto di sequestro a fini di prova deve essere sorretto, a pena di nullità, da idonea motivazione in ordine al presupposto della finalità perseguita, in concreto, per l’accertamento dei fatti" (Cass. sez. un. 28 gennaio 2004, n. 5876).

Nella stessa occasione è stato altresì precisato che l’omessa indicazione, nel decreto di sequestro a fini di prova, delle esigenze probatorie, il giudice del riesame non è legittimato a disegnare, di propria iniziativa, il perimetro delle specifiche finalità del sequestro, così integrando il titolo cautelare mediante un’arbitraria opera di supplenza delle scelte discrezionali che, pur doverose da parte dell’organo dell’accusa, siano state da questo radicalmente e illegittimamente pretermesse.

Nella specie, il decreto del p.m. è totalmente privo di motivazione, limitandosi ad osserva sul punto che "il mezzo in questione costituisce corpo di reato la cui acquisizione è necessaria ai fini istruttoria. L’ordinanza impugnata in merito alle censure mosse dal C. sulla carenza di motivazione, aggiunge: "non è compito del tribunale del riesame valutare se persistano le suddette esigenze istruttorie, essendo questa valutatone attribuita al P.M. ed al g.i.p. ex artt. 262 e 263 c.p.p., ma solo valutare se esistessero alla data del provvedimento".

Il provvedimento primigenio e quello successivo adottato in sede di riesame sono quindi viziati per carenza di motivazione e devono essere entrambi annullati.

La doglianze in ordine alla carenza di motivazione sulle esigenze cautelari che giustificavano l’adozione del sequestro probatorio è dunque fondata. Conseguentemente devono essere annullati l’ordinanza impugnata e il decreto di sequestro disposto dal P.M..

P.Q.M.

annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata e il decreto di sequestro, disponendo la restituzione del bene sequestrato all’avente diritto.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 15-06-2011) 16-11-2011, n. 42096

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Svolgimento del processo

M.O. è stato tratto a giudizio davanti al giudice di pace di Rimini con l’imputazione di cui all’art. 594 c.p., perchè offendeva l’onore ed il prestigio di G.F., proferendo al suo indirizzo ed in sua presenza le seguenti frasi: "… che Cazzo vuoi … tu sei matto, a te non do proprio un cazzo… Togliti dalle palle… Non sei nessuno… Tu non sei niente, sei solo un prepotente..". Allo stesso veniva anche contestato il reato di cui all’art. 612 c.p., dal quale veniva però assolto.

Per il reato di ingiurie, invece, il prevenuto veniva condannato alla pena di Euro 600 di multa.

Contro la suddetta sentenza propone ricorso per cassazione il M., evidenziando due motivi di censura:

1. con il primo motivo deduce illogicità, contraddittorietà e carenza della motivazione, nonchè travisamento della prova, in riferimento alla sussistenza del reato di ingiuria. Secondo il ricorrente gli epiteti offensivi su cui è fondata l’imputazione si basano sulla dichiarazione della persona offesa e sul riscontro costituito dalla testimonianza dell’ispettore B., ma non trovano ulteriori riscontri testimoniali;

2. con il secondo motivo di ricorso deduce illogicità, contraddittorietà e carenza della motivazione, nonchè travisamento della prova, in riferimento alla ritenuta insussistenza della scriminante di cui all’art. 599 c.p.. Secondo il ricorrente l’ingiustizia deriverebbe dal fatto che il vigile si era presentato sul cantiere chiedendo le generalità agli operai, senza fornire alcuna giustificazione e soprattutto ponendo in essere un comportamento arbitrario, quantomeno secondo il convincimento dell’imputato, il quale riteneva che nelle mansioni del predetto vigile non rientrassero i controlli in materia edilizia.

Motivi della decisione

Con entrambi i motivi di ricorso il ricorrente denuncia mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione; si tratta di motivi infondati sia per la parte in cui si contesta l’esistenza di un apparato giustificativo della decisione, che invece esiste, sia per la parte in cui pretendono di valutare, o rivalutare, gli elementi probatori al fine di trame conclusioni in contrasto con quelle del giudice del merito, chiedendo alla Corte di legittimità un giudizio di fatto che non le compete.

Esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (cfr. Cass. SS.UU. 1.06.2011, est. Fiandanese).

I motivi proposti, invece, tendono ad ottenere una inammissibile ricostruzione dei fatti mediante criteri di valutazione diversi da quelli adottati dal giudice di merito, il quale, con motivazione esente da vizi logici giuridici, ha esplicitato le ragioni del suo convincimento.

Nel controllo di legittimità, la Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, nè deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia logica e compatibile con il senso comune;

l’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, dev’essere, inoltre, percepibile "ictu oculi", dovendo il sindacato di legittimità essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze. In secondo luogo, per la validità della decisione non è necessario che il giudice di merito sviluppi nella motivazione la specifica ed esplicita confutazione della tesi difensiva disattesa, essendo sufficiente, per escludere la ricorrenza del vizio di motivazione, che la sentenza evidenzi una ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezione della deduzione difensiva implicitamente e senza lasciare spazio ad una valida alternativa (cfr. Cassazione penale, sez. 2^, 05 maggio 2009, n. 24847).

In relazione all’asserito travisamento della prova, trattasi di vizio che richiede, per la sua sussistenza, che un dato probatorio sia stato letto da parte del giudice di merito in modo tale da condurre all’affermazione dell’esistenza di una specifica circostanza oggettivamente esclusa dal risultato probatorio o alla negazione della sussistenza di una circostanza sicuramente risultante dalla prova. Deve trattarsi, quindi, di un errore che inquini la trama motivazionale dell’intero provvedimento stravolgendola al punto di disarticolarla, con la conseguenza di rendere "ictu oculi" errato il risultato decisorio raggiunto su un punto rilevante e perciò decisivo ai fini della decisione. Solo in tal caso, e sempre che dell’errore il ricorrente abbia fatto una precisa e specifica individuazione tra gli atti del processo, indicando alla Corte, con assoluto rigore, la sua precisa collocazione "topografica", è possibile al giudice di legittimità esaminare quell’atto e procedere all’annullamento della sentenza, ove sia rilevata l’esattezza della deduzione del ricorrente (Cassazione penale, sez. 6^, 13 marzo 2009, n. 26149).

Passando velocemente ad esaminare i due motivi di ricorso, si rileva, quanto al primo, che l’affermazione per cui la prova delle frasi offensive risiede nelle dichiarazioni della persona offesa e dell’ispettore B., senza alcuna ulteriore riscontro, è priva di alcun rilievo, essendo più che sufficiente a fondare un giudizio di colpevolezza la testimonianza della persona offesa, ove ne sia vagliata la sua attendibilità, tanto più se questa risulta confermata dalle dichiarazioni di altro testimone. Nè si deve dimenticare che gli altri testi escussi al dibattimento non hanno escluso la condotta ingiuriosa, ma hanno semplicemente affermato di non aver assistito o di non aver sentito cosa si dicevano le parti.

Quanto al secondo motivo di ricorso, non è assolutamente condivisibile l’affermazione del ricorrente, secondo cui emergerebbe con evidenza il comportamento arbitrario della persona offesa (cfr. pag. 5 del ricorso); in primo luogo si deve osservare che il ricorrente cerca di introdurre elementi di fatto che non sono pertinenti in questa sede, non potendo il giudice di legittimità sostituirsi al giudice di merito nella valutazione dei fatti risultanti dall’istruttoria, sui quali è stata fornita ampia e coerente motivazione. Inoltre, la censura è inammissibile per carenza degli indefettibili requisiti della specificità e della completezza, non avendo il ricorrente indicato le ragioni per le quali le dichiarazioni dei testi indicati inficerebbero e comprometterebbero, in modo decisivo, la tenuta logica e la coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale incompatibilità all’interno dell’impianto argomentativo del provvedimento impugnato.

Tanto senza considerare che, per poter stabilire se le richiamate testimonianze, asseritamente non considerate dal giudice, possano assumere effettivamente un significato probatorio pregnante, occorreva una valutazione complessiva del materiale probatorio disponibile – del tutto omessa nel ricorso – pacificamente non operabile dal giudice di legittimità sulla base della lettura necessariamente parziale suggerita dai ricorrenti. Era, cioè, necessario che venissero evidenziati gli elementi probatori tutti in ordine alla ricostruzione dei fatti, per inferirne che quelli pretesamente omessi dal giudice erano comunque idonei, con giudizio di certezza, a condurre a diversa decisione. Al contrario, non solo si pretenderebbe di vagliare in modo atomistico gli elementi probatori asseritamente omessi, ma degli stessi si offre non più che un mero stralcio, senza che, in ottemperanza al principio di autosufficienza del ricorso, siano allegati gli atti richiamati. Non vi sono, comunque, motivi per ritenere arbitrario e dunque ingiusto l’intervento del vigile; con valutazione in fatto, non censurabile in questa sede, il giudice di pace di Rimini ha, infatti, ritenuto che il vigile fosse stato comandato a svolgere quel servizio (cfr. pag. 3 della sentenza).

Per i motivi esposti, il ricorso deve essere respinto, con condanna del ricorrente il pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

T.A.R. Basilicata Potenza Sez. I, Sent., 10-01-2012, n. 17 Prove d’esame

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Svolgimento del processo

Premette il ricorrente di avere partecipato al concorso pubblico per l’assunzione con contratto a tempo indeterminato di un posto appartenente alla categoria "C1", profilo professionale: istruttore amministrativo area tecnica indetto dal Comune di Barile con delibera giuntale n.141 del 2/9/03. Dopo l’assegnazione del punteggio per i titoli (6,17) e il superamento della prima prova scritta con punti 25, l’istante ha sostenuto la seconda prova scritta, per la precisione a carattere teorico- pratico e nella seduta del 31/1/07 la commissione riscontrava, per l’elaborato contrassegnato col n.2, la presenza di "elementi identificativi". Nella seduta successiva del 10/5/07 la commissione, aprendo la busta più piccola riportante le generalità del ricorrente, specificava la consistenza degli elementi predetti presenti nell’elaborato e corrispondenti alla data di nascita del concorrente. Di qui l’esclusione dal concorso, avverso la quale il ricorrente, col presente gravame, notificato il 19/9/07 e depositato il 12/10/07, deduce quanto segue:

1.-violazione e falsa applicazione dei principi generali in materia di concorsi a pubblici impieghi ed in particolare dell’art. 14 D.P.R. n. 487 del 1994.

Premesso che rileva l’astratta idoneità del contrassegno a fungere da elemento identificativo costituendo un’anomalia rispetto alle ordinarie modalità di svolgimento delle prove scritte, nella fattispecie, l’istante dichiara di essersi espresso con modalità non anomale essendo del tutto normale che il candidato possa esprimersi indicando una data di fantasia e anche tenendo presente che la data di nascita del candidato non poteva essere conosciuta dai commissari al momento della correzione degli elaborati, non avendo essi ancora aperto la busta piccola;

2.-eccesso di potere per travisamento dei fatti e motivazione illogica.

Si sostiene l’illogicità dell’operato della commissione la quale, nel verbale n.5 del 31/1/07, avrebbe dato atto di aver iniziato a correggere i compiti della seconda prova e all’elaborato n.2 non ha dato alcuna valutazione per la presenza di non meglio precisati elementi identificativi laddove poi, nel verbale successivo del 10/5/07, avendo aperto la busta piccola, avrebbe scoperto che l’elaborato n.2 era attribuibile al D.P. precisando quale fosse l’elemento identificativo (la data di nascita);

3.- eccesso di potere per travisamento dei fatti.

Dalla lettura dell’elaborato si evincerebbe che il candidato non avrebbe indicato il numero "69" quale anno di nascita ma avrebbe trascritto un segno grafico identificabile come "09".

Si è costituito il Comune di Barile che resiste e chiede il rigetto del gravame.

Con ordinanza collegiale n.300 del 7/11/07 è stata rigettata l’istanza incidentale di sospensione cautelare del provvedimento impugnato.

Alla pubblica udienza del 4 novembre 2011 il ricorso è stato ritenuto per la decisione.

Motivi della decisione

Si può prescindere dalle eccezioni in rito sollevate dalla difesa dell’amministrazione (inammissibilità dell’impugnativa dell’esclusione per essere atto meramente applicativo del bando; improcedibilità del ricorso per difetto di notifica al controinteressato; inammissibilità per carenza d’interesse ad agire per non avere chiesto espressamente la valutazione del proprio elaborato) atteso chè il ricorso è infondato nel merito.

In fatto deve essere premesso che l’istante, in sede di svolgimento della seconda prova scritta, nell’elaborare, secondo quanto richiesto nella traccia, un esempio di permesso di costruire rilasciato in favore d’un cittadino richiedente tale atto, ha indicato, quali generalità dello stesso, le seguenti: "Pinco Pallino, nato a V. il (…)……….e residente in Venosa". A seguito di ciò la commissione, all’atto della correzione dell’elaborato, ha ravvisato la "presenza di elementi identificativi" e lo ha escluso dalla valutazione nel merito.

Ciò premesso, è anzitutto infondato il terzo motivo dato che, come si evince con chiarezza dalla copia dell’elaborato in questione, esibito dall’amministrazione, il candidato ha indicato, senza che possa esservi incertezza sul punto, il numero 69 e non 09, come sostenuto in gravame.

Con riferimento poi agli altri motivi è infondato il primo.

La giurisprudenza è notoriamente orientata nel senso che non si può qualificare come indebito segno di riconoscimento un qualsivoglia elemento suscettibile di differenziare un elaborato scritto dagli altri: altrimenti, paradossalmente, sarebbero ammissibili solo gli elaborati che fossero tutti perfettamente identici fra loro, anche nei minimi particolari, e ciò renderebbe inutile la prova, non potendosi stabilire alcuna graduatoria di valore.

Si ritiene, invece, che costituiscano indebiti segni di riconoscimento, innanzi tutto, quelli che hanno oggettivamente tale funzione (e cioè la firma o il nominativo del candidato, oppure la data di nascita, etc.); e, ancora, quei segni che sono oggettivamente anomali ed estranei alle ordinarie modalità di espressione del pensiero e di redazione di uno scritto (cfr. T.A.R. Umbria Perugia sez. I 19 gennaio 2009 n. 16). Nella specie si è quindi in presenza d’una evidente lesione del principio di "par condicio" (Cons. St., 5/2/07 n.458; id. 29/3/07 n.1454; TAR Sardegna 15/4/94 n.324) che deve necessariamente ispirare le procedure selettive pubbliche in generale. Con l’indicazione del luogo, della data di nascita e del luogo di residenza si verte di certo ad un elevato livello di riconoscibilità del candidato. "Ergo", come chiarito già in sede cautelare, rimane sfornito di plausibile giustificazione -che non sia, oggettivamente, quella di rendere possibile l’identificazione del candidato autore dell’elaborato- l’uso dei propri, reali dati anagrafici per caratterizzare la persona (Pinco Pallino), questa soltanto di fantasia, indicata dall’istante al fine di indicare, esemplificativamente, il destinatario del permesso di costruire.

Anche il secondo motivo poi è infondato atteso chè la suesposta conclusione non è in nulla pregiudicata dalla circostanza dell’avere la commissione individuato la presenza di elementi identificativi fin dalla seduta del 31/1/07 e cioè prima ancora dell’apertura delle buste piccole e dell’abbinamento dei compiti ai nominativi dei candidati. A questa modalità operativa il ricorrente assegna lo stigma dell’illogicità ma, ad avviso del collegio, a parte il fatto che possono essere ipotizzate varie spiegazioni, c’è da dire che va piuttosto messa in rilievo la circostanza che la commissione ha escluso subito l’elaborato dalla valutazione, con ciò dimostrando di avere immediatamente individuato con certezza precisi elementi identificativi.

Tutto ciò esposto il ricorso deve essere rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate in Euro 1.500,00 (Euro millecinquecento/00).

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Basilicata (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Spese a carico regolate come in motivazione

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Potenza nella camera di consiglio del giorno 4 novembre 2011 con l’intervento dei magistrati:

Michele Perrelli, Presidente

Giancarlo Pennetti, Consigliere, Estensore

Pasquale Mastrantuono, Consigliere

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.