Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 11-11-2010) 04-01-2011, n. 161 Custodia cautelare

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Svolgimento del processo e motivi della decisione

1. Il Tribunale di Catanzaro ha respinto la domanda di riesame dell’ordinanza del GIP dello stesso Tribunale che ha disposto l’applicazione della misura cautelare della custodia in carcere, avanzata da P.L..

2. Ricorre per cassazione l’indagato lamentando che il Tribunale, nel valutare le esigenze cautelari, non ha considerato il tempo trascorso dai fatti, l’assenza di collegamento con circuiti criminali, nè la circostanza che in ordine ad uno degli illeciti, quello di cui al capo D2, è intervenuta sentenza irrevocabile. Il Tribunale, inoltre, ha apoditticamente affermato, in assenza di reale motivazione, che misure cautelari meno severe di quella carceraria non sarebbero idonee a fronteggiare le esigenze specialpreventive.

3. Il ricorso è manifestamente infondato. L’ordinanza reca ampia ed appropriata motivazione conforme ai principi ed immune da vizi logico- giuridici. Si evidenzia che la misura cautelare è stata adottata in riferimento a numerosi illeciti afferenti al traffico di stupefacenti; che l’indagato è socialmente pericoloso per la manifestata abilità nel procurarsi e nel rivendere lo stupefacente;

che risultano stabili contatti con ambienti criminali; che si mostra altresì una notevole capacità organizzativa. In presenza di tale spiccata attitudine a delinquere, non rileva il tempo trascorso dal fatto, mentre la pena arroganda viene pronosticata sicuramente non lieve e certamente non sospendibile. In conclusione, nessuna misura cautelare diversa dalla custodia in carcere potrebbe stornare il pericolo di recidiva. Tale argomentato apprezzamento, come si è anticipato, si rivela palesemente immune da qualunque censura, essendo le valutazioni di legge rapportate alla spiccata attitudine a delinquere. D’altra parte, neppure si comprende quale rilievo possa assumere l’opinata condanna in ordine al reato di cui al capo D2, visto che la misura cautelare non è stata emessa in ordine a tale illecito.

Il ricorso è quindi inammissibile a causa della sua manifesta infondatezza.

Segue, a norma dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di Euro 300,00 a titolo di sanzione pecuniaria, non emergendo ragioni di esonero.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 300,00 in favore della Cassa delle ammende.

La Corte dispone inoltre che copia del presente provvedimento sia trasmessa al Direttore dell’Istituto penitenziario competente, perchè provveda a quanto stabilito dall’art. 94 disp. att. cod. proc. pen., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. III, Sent., 24-02-2011, n. 4486 Responsabilità civile

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Svolgimento del processo

C.C. proponeva appello nei confronti di L.P. e della Milano Assicurazioni s.p.a. avverso la sentenza n. 117/2002 del tribunale di Taranto, per sentire, in riforma dell’appellata sentenza, affermare l’esclusiva responsabilità del L. nella causazione di un sinistro stradale per scontro tra autoveicoli, in cui esso attore riportava lesioni personali e rimaneva coinvolta anche la vettura di S.G., che era stato parte nel giudizio di primo grado, poi abbandonato a seguito di intervenuto risarcimento.

La corte di appello di Lecce, sez. dist. di Taranto, con sentenza depositata il 25.7.2005, rigettava l’appello e confermava la sentenza di primo grado in merito alla ricostruzione dell’ incidente, ritenendo che esso si era verificato per colpa esclusiva dell’attore, ciò essenzialmente sul rilievo che lo S. aveva rinvenuto sulla sua autovettura vernice azzurra di colore corrispondente a quella dell’auto del C. e che l’auto dello S., secondo i rilievi dei C.C., non presentava danni alla parte posteriore tali da giustificare un tamponamento della stessa da parte dell’auto del L., secondo la versione dell’attore.

Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione il C..

Resiste con controricorso la Milano Assicurazioni s.p.a., che ha anche presentato memoria.
Motivi della decisione

1.1. Con il primo motivo di ricorso il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2054 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 per non avere il giudice di appello applicato la presunzione del pari concorso di colpa, pur in presenza dell’impossibilità di accertare con sicurezza le modalità dell’incidente.

2. Il motivo è infondato.

La presunzione di colpa posta, ex art. 2054, comma 2, a carico dei conducenti di veicoli per la ipotesi di scontro tra i medesimi ha funzione meramente sussidiaria, ed opera solo se non sia possibile accertare, in concreto, le rispettive responsabilità. Pertanto, ove risulti che l’incidente si è verificato per colpa esclusiva di uno dei conducenti, e che, quindi, nessuna colpa è ravvisabile nel comportamento dell’altro, quest’ultimo resta senz’altro esonerato dalla presunzione de qua, e non sarà, conseguentemente, tenuto a provare di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno (Cass. 11/06/1997, n. 5250).

Avendo la corte di appello ritenuto, in conformità della decisione di primo grado che l’incidente si era verificato per colpa esclusiva del C., correttamente non ha applicato la presunzione di cui all’art. 2054 c.c., comma 2, che ha funzione solo sussidiaria.

3. Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente lamenta il vizio motivazionale dell’impugnata sentenza nella ricostruzione dell’incidente e nell’affermazione dell’esclusiva responsabilità del C., segnatamente per aver fondato tale ricostruzione sulla deposizione dello S. che era parte in causa, in quanto conducente della terza vettura coinvolta, senza tener conto del rapporto dei C.C..

4. Il motivo è infondato.

Osserva questa Corte in linea di principio che l’interrogatorio formale reso in un processo con pluralità di parti, essendo volto a provocare la confessione giudiziale di fatti sfavorevoli alla parte confidente e ad esclusivo favore del soggetto che si trova, rispetto ad essa, in posizione antitetica e contrastante, non può essere deferito, da una parte ad un’altra, su un punto dibattuto in quello stesso processo, tra il soggetto deferente ed un terzo soggetto, diverso dall’interrogando, non avendo valore confessorio le risposte, eventualmente affermative, dell’interrogato alle domande rivoltegli.

Invero, la confessione giudiziale produce effetti nei confronti della parte che la fa e della parte che la provoca, ma non può acquisire il valore di prova legale nei confronti di persone diverse dal confidente, in quanto costui non ha alcun potere di disposizione relativamente a situazioni giuridiche facenti capo ad altri, distinti soggetti del rapporto processuale e, se anche il giudice ha il potere di apprezzare liberamente la dichiarazione e trame elementi indiziari di giudizio nei confronti delle altre parti, tali elementi non possono prevalere rispetto alle risultanze di prove dirette (Cass. 03/12/2004, n. 22753).

Nella fattispecie la sentenza di appello non ha assegnato un valore confessorio alle dichiarazioni dello S., ma le ha solo liberamente apprezzate ai fini della ricostruzione dell’ incidente.

La Corte ha, altresì, anche tenuto conto del rapporto dei C.C., rilevando che l’errata indicazione in esso della direzione di marcia dei veicoli non mutava il quadro probatorio della vicenda, in quanto da tale rapporto emergeva che il veicolo dello S. non presentava danni da tamponamento, come avrebbe dovuto essere secondo la versione dell’attore del tamponamento di tale auto da parte dell’auto del L..

4. In ogni caso con la censura il ricorrente mira anche ad una diversa valutazione degli elementi probatori rispetto all’apprezzamento degli stessi effettuato da parte del giudice del merito in ordine alla ricostruzione delle modalità dell’incidente e al comportamento delle persone alla guida dei veicoli in esso coinvolti, che concretizzandosi in un giudizio di mero fatto resta insindacabile in sede di legittimità. Alla cassazione della sentenza, per vizi della motivazione, si può giungere solo quando tale vizio emerga dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito, quale risulta dalla sentenza, che si riveli incompleto, incoerente e illogico, e non già quando il giudice del merito abbia semplicemente attribuito agli elementi valutati un valore e un significato difformi dalle aspettative e dalle deduzioni di parte.

(Cass. 15/04/2004, n. 7201; Cass. 14/02/2003, n. 2222; Cass. 25.8.2003, n.12467).

5. Il ricorso va pertanto rigettato.

Il ricorrente va condannato al pagamento delle spese del giudizio di cassazione sostenute dalla resistente.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione sostenute dalla resistente, liquidate in complessivi Euro 1700,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 12-01-2011) 11-02-2011, n. 5121

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Svolgimento del processo

Con sentenza della Corte d’Assise di Salerno in data 11.12.2008, M.M. veniva condannato alla pena dell’ergastolo perchè riconosciuto responsabile del delitto di omicidio volontario aggravato, commesso il (OMISSIS).

A seguito di appello proposto dall’imputato, la Corte d’Assise d’Appello di Salerno, con sentenza in data 2.2.2010, riconosciuta l’attenuante del vizio parziale di mente equivalente alle contestate aggravanti, rideterminava la pena in anni ventiquattro di reclusione.

Su ricorso dell’imputato, la Corte di Cassazione, con sentenza in data 14.7.2010, annullava la detta sentenza in data 2.2.2010, con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d’Assise d’Appello di Salerno.

In data 30.7.2010 M. ha chiesto alla Corte d’Assise d’Appello di Salerno di essere scarcerato, previa declaratoria di estinzione del reato ascrittogli per prescrizione. La suddetta Corte, con ordinanza in data 19.8.2010, ha rigettato l’istanza, rilevando che alla data dell’ordinanza il termine di prescrizione non era decorso in quanto, salvo più completo esame degli atti della precedente fase, risultava che il corso della prescrizione era rimasto sospeso dal 17.7.2007 all’8.11.2007, a seguito di istanza di rinvio del difensore che dichiarava di aderire alla proclamata astensione degli avvocati dalle udienze.

Avverso l’ordinanza suddetta ha proposto ricorso per Cassazione personalmente l’imputato, osservando che il termine massimo di trentanni, applicabile al caso di specie in base alla normativa previgente, era decorso alla data della emissione dell’ordinanza impugnata, perchè l’art. 160 c.p. prescrive che i termini di cui all’art. 157 c.p., a seguito di atti interrativi, non possono essere prolungati oltre i termini di cui all’art. 161 c.p.p., comma 2, e quest’ultima disposizione prescrive che in nessun caso l’interruzione della prescrizione può comportare l’aumento di più di un quarto del tempo necessario a prescrivere.
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato, in quanto i delitti puniti con la pena dell’ergastolo sono imprescrittibili sia in base alla nuova che alla vecchia disciplina sulla prescrizione.

L’attuale disciplina della prescrizione, introdotta con legge 5.12.2005 n. 251, prevede, dell’art. 157 c.p., u.c., che la prescrizione non estingue i reati per i quali la legge prevede la pena dell’ergastolo, anche come effetto dell’applicazione di circostanze aggravanti. Nel testo previgente del suddetto articolo non era contenuta la suddetta espressa previsione, ma si deve ritenere che, anche per i delitti commessi antecedentemente all’entrata in vigore della nuova normativa e puniti con pena perpetua – per effetto della pena edittale o del concorso con la medesima di aggravanti ad effetto speciale -, non sia applicabile l’istituto della prescrizione, in quanto tale istituto era previsto unicamente in relazione ai reati puniti con le pene della reclusione, della multa, dell’arresto e dell’ammenda (V. Cass. Sez. 1, sent. n. 41964 del 22.10.2009, Rv. 245080).

La giurisprudenza di questa Corte ha precisato che, ai fini della imprescrittibilità dei reati in parola, è irrilevante il concreto trattamento sanzionatorio conseguente al riconoscimento di attenuanti o diminuenti e/o al giudizio di comparazione; nè può trovare applicazione la disposizione (ora abrogata) contenuta nel testo previgente dell’art. 157 c.p. (nel caso di concorso di circostanze aggravanti e di circostanze attenuanti si applicano anche a tale effetto le disposizioni dell’art. 69 c.p.), in quanto norma di disciplina della prescrizione, destinata ad operare nel relativo ambito, costituito, per l’appunto, dalla classe dei reati prescrivibili, cioè punibili con pene detentive temporanee o con pene pecuniarie (V. Cass. Sez. 1, sent. n. 223 del 10 marzo 2010, imputato Di Girolamo).

Non essendo quindi soggetto a prescrizione il delitto contestato a M.M., perchè punibile con la pena dell’ergastolo, il ricorso deve essere respinto.

Al rigetto del ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 21-01-2011) 01-03-2011, n. 7915 Intercettazioni telefoniche

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ha chiesto l’annullamento con rinvio.
Svolgimento del processo

La Corte d’Appello di Catania, con decreto 21/01/2010, rigettava l’appello proposto da R.R. avverso il decreto emesso il 17.03.2009 dal Tribunale della stessa città, con cui gli era stata applicata la misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale di P.S. con obbligo di soggiorno per anni due e mesi sei.

Riteneva il giudice distrettuale che: – la misura adottata era giustificata dal fatto che il proposto, già condannato per molteplici reati, era stato, con OCC del 26.10.2006, raggiunto da gravi indizi di appartenenza ad associazione mafiosa, con conseguente verificarsi di una pericolosità qualificata ex L. n. 575 del 1965; – irrilevante nel procedimento di era la inutilizzabilità dei risultati intercettivi dichiarata nel procedimento penale per motivi puramente formali; – parimenti irrilevante era la circoscrizione "a tutto il (OMISSIS)" della contestazione del delitto associativo fatta dal P.M. nel procedimento penale, non ricorrendo elementi per ritenere esaurita l’associazione o la colleganza con essa del R..

Propone ricorso per cassazione quest’ultimo, deducendo:

1)- che l’inutilizzabilità delle intercettazioni dichiarata nel procedimento penale si riverbera anche sul procedimento di prevenzione;

2)- l’inadeguata motivazione sulla attualità della pericolosità alla stregua dell’arco temporale coperto dalla contestazione del delitto associativo e del comportamento tenuto dal ricorrente negli ultimi anni.
Motivi della decisione

Il ricorso è fondato in relazione al primo motivo del ricorso (con conseguente assorbimento del secondo motivo).

Le Sezioni Unite di questa Corte, infatti, con sentenza n. 13426 del 25/03/2010, Cagnazzo, hanno statuito che l’inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni, accertata, sotto qualsiasi profilo, nel giudizio penale, ha effetti anche nell’ambito del procedimento di prevenzione.

Il decreto impugnato deve, pertanto, essere annullato con rinvio al giudice di merito, che procederà a nuova deliberazione, attenendosi al principio suenunciato.
P.Q.M.

Annulla il decreto impugnato e rinvia per nuova deliberazione alla Corte d’appello di Catania.

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