Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
1. Il 26 febbraio 2008 il gup del Tribunale di Ferrara, all’esito di giudizio abbreviato, dichiarava:
– P.M., P.N. colpevoli dei delitti di rapina continuata pluriaggravata continuata in pregiudizio di "Bsk Securmark", B.R., P.P., S. D., tentato omicidio plurimo, detenzione e porto illegale di armi e, ritenuta sussistente la contestata recidiva specifica, ravvisata l’unicità del disegno criminoso, applicata la riduzione per il rito, li condannava alla pena di undici anni e quattro mesi di reclusione ed Euro 2.600 di multa, oltre alle pene accessorie;
– S.O. responsabile dei delitti di rapina continuata pluriaggravata continuata in pregiudizio di "Bsk Securmark", B. R., P.P., S.D. e di ricettazione dei furgoni e, operata la riduzione per il rito, lo condannava alla pena di quattro anni, due mesi e venti giorni di reclusione ed Euro 1.400,00 di multa, oltre alle pene accessorie.
– G.F. colpevole dei delitti di rapina continuata pluriaggravata continuata in pregiudizio di "Bsk Securmark", B. R., P.P., S.D. e, ritenuta integrata la contestata recidiva reiterata specifica, ravvisata la continuazione tra i reati, applicata la diminuente per il rito, lo condannava alla pena di quattro anni e quattro mesi di reclusione ed Euro 1.400,00 di multa.
2. Il 4 febbraio 2009 la Corte d’appello di Bologna, in parziale riforma della decisione di primo grado, assolveva M. e P.N. dal reato di tentato omicidio in danno di B.R., P.P. e S.D., perchè il fatto non costituisce reato, e, ritenuta l’esistenza della diminuente dell’art. 116 c.p. con riferimento al tentato omicidio in danno di P.E. e C.A., riduceva la pena loro rispettivamente inflitta a dieci anni, quattro mesi di reclusione ed Euro 2.430,00 di multa ciascuno.
Revocava l’interdizione legale e la misura della sospensione della potestà genitoriale applicata a F.G. e S. O..
3. Da entrambe le sentenze di merito emergeva che il (OMISSIS) sei uomini armati, viaggianti a bordo di due mezzi rubati, su cui erano state apposte targhe rubate, avevano tentato di impossessarsi, del denaro trasportato da un furgone portavalori della ditta "BSK Securmarc", esplodendo numerosi colpi di fucile kalasnikov all’indirizzo della cabina di guida del portavalori e minacciando il conducente, posizionando dell’esplosivo al plastico sulla porta del caveau all’interno del furgone portavalori e facendolo parzialmente esplodere. In tale contesto si erano impossessati, con le modalità sopra descritte, di armi, caricatori, munizioni, di un cellulare, di un portafoglio, di somme di denaro, sottraendoli alle guardie giurate P.P. e S.D., nonchè di un plico contenente mille/00 Euro in monete da 2. L’azione non conseguiva pienamente il suo obiettivo a causa della mancata completa esplosione e conseguente non apertura del vano ove il denaro era custodito. Durante l’azione venivano esplosi alcuni colpi di kalasnikov all’indirizzo di una volante della Polizia, condotta da P.E. e C. A., nel frattempo intervenuta.
I giudici fondavano l’affermazione di penale responsabilità degli imputati sulla base dei seguenti elementi: a) dichiarazione auto ed etero accusatori e rese da G.S.; b) deposizioni delle guardie giurate B.R., P.P., S. D., che riferivano concordemente in ordine alle varie fasi dell’agguato a mano armata posta in essere in loro danno all’atto del prelievo dell’incasso del supermercato "Metro"; c) testimonianza di P.R., incaricata della consegna degli incassi del centro commerciale "Metro" alle guardie giurate; d) rinvenimento e riconoscimento delle armi, del lampeggiatore, del "mulinello" (rocchetto di legno a cui era avvolto filo elettrico rosso e nero) usati per la consumazione della rapina, oggetti tutti fatti ritrovare da G.S.; e) risultanze della consulenza balistica; f) sequestro e riconoscimento delle armi rapinate alle guardie giurate, fatte ritrovare da G.S.; g) accertamenti svolti in merito ai mezzi rubati per la consumazione della rapina e alle loro modalità e circostanze di tempo e di luogo di rinvenimento; h) esito dei rilievi svolti sul furgone blindato portavalori, evidenzianti i fori d’ingresso dei colpi esplosi, il tentativo di forzatura del portellone posteriore, la presenza di circa 380 grammi di esplosivo e la realizzazione, nella parte posteriore, di una blindatura, circostanze fattuali tutte coincidenti con il racconto fatto da G.S.; l) rinvenimento e sequestro di un bidone di chiodi a quattro punte, usati dai rapinatori durante la fuga per ostacolare qualsiasi forma di inseguimento e garantirsi la fuga; m) contenuto delle intercettazioni ambientali ritualmente svolte a bordo dell’auto Audi S8, rubata, utilizzata per effettuare i sopralluoghi propedeutici alla rapina e pere provare l’esplosivo e poi ritrovata nel corso della perquisizione a carico di S.O., nonchè risultanze dello "stub" effettuato a bordo del mezzo che consentiva il rinvenimento di cinque particelle di piombo-bario-antimonio, univocamente indicative (ad avviso dei giudici) dello sparo; n) risultanze di altri procedimenti penali (proc. pen. n. 7028/01 e 3932/02), i cui atti sono stati acquisiti ai sensi dell’art. 238 c.p.p., comprovanti i rapporti tra gli imputati, l’esito dei servizi di osservazione svolti dalla p.g.; o) esito delle indagini esperite in merito alle auto prese a noleggio, nel lasso di tempo comprendente la consumazione della rapina, da parte di Sa.Fr., dipendente di G.F.; p) dichiarazioni rese da M.R. che ammetteva di avere ceduto un chilo di esplosivo a G.S., secondo quanto del resto riferito da quest’ultimo; p) risultanze degli accertamenti effettuati in merito ai mezzi presenti presso la carrozzeria "Crivellaro" di C. P. (indicata da G.S. come luogo di occultamento delle armi), evidenzianti, tra l’altro, la presenza di un’Audi S 3 turbo, intestata a O.J., moglie di P.N..
4. Avverso la predetta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione G.F. personalmente e, tramite i rispettivi difensori di fiducia, P.N., P.M., S. O..
G.F. ha omesso di presentare i motivi a sostegno dell’impugnazione.
P.N. denuncia violazione dell’art. 603 c.p.p. con riferimento all’omessa riapertura dell’istruttoria in appello finalizzata all’assunzione della testimonianza di B.E., rilevante per provare la presenza di P.M. in (OMISSIS) in un orario incompatibile con la consumazione della rapina.
Con un secondo motivo lamenta la violazione dei canoni di valutazione probatoria, la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione con riferimento all’apprezzamento della chiamata in correità operata da G.S.. La stessa non appare credibile sia da un punto di vista soggettivo, avuto riguardo alla inattendibilità delle dichiarazioni da lui rese in merito ai proventi delle rapine commesse e alla mancata consegna degli stessi, che da un punto di vista oggettivo, tenuto conto della riferita causale del reclutamento, dell’assenza di riscontri estrinseci individualizzanti in merito alla presenza di P. sul luogo del fatto e alla sua partecipazione ai reati. La sentenza impugnata ha applicato erroneamente la legge processuale, laddove ha ritenuto che elementi di riscontro estrinseco individualizzante siano costituiti: a) dalle dichiarazioni rese da M., tenuto conto della sua successiva ritrattazione e della riferita ragione delle originarie accuse; b) dal contenuto delle intercettazioni del (OMISSIS) (in cui il ricorrente parla genericamente dell’opportunità di simulare un accento napoletano per depistare eventuali indagini) del (OMISSIS) (in cui P.N. e G. S. mostrerebbero preoccupazioni per eventuali scelte collaborative altrui) in assenza di qualsiasi obiettivo collegamento con la rapina di (OMISSIS); c) dal controllo effettuato il (OMISSIS) nei confronti di N. e P. M. in territorio di Campolongo, considerata l’inconciliabilità, da un punto di vista cronologico, delle suddette presenze rispetto ai tempi di percorrenza, all’orario di consumazione della rapina e agli spostamenti riferiti da G.S. nel corso di plurimi interrogatori, caratterizzati da assenza di univocità e ispirati all’evidente intento di adeguare le proprie propalazioni alle risultanze investigative progressivamente acquisite.
Si duole, inoltre, dell’erronea applicazione della legge penale in relazione alla ritenuta configurabilità degli elementi costitutivi del tentato omicidio in danno degli agenti di Polizia sopraggiunti, tenuto conto delle dichiarazioni della guardia giurata P. P., evidenzianti l’esplosione contro la Polizia di soli due colpi d’arma da fuoco e, comunque, di un limitato numero di proiettili, peraltro non diretti contro parti vitali del corpo degli poliziotti, viaggianti a bordo di un mezzo blindato e del breve lasso di tempo di svolgimento dell’azione, secondo quanto documentato nell’annotazione di polizia giudiziaria del 10 dicembre 2002.
Lamenta, poi, erronea applicazione della legge penale, mancanza e manifesta illogicità della motivazione con riguardo alla dosimetria della pena e al diniego delle circostanze attenuanti generiche, tenuto conto dell’assenza di plurimi e significativi precedenti penali, della giovane età, dello svolgimento di attività lavorativa.
P.M. denuncia, a sua volta, violazione dell’art. 603 c.p.p. con riferimento all’omessa riapertura dell’istruttoria in appello finalizzata all’assunzione della testimonianza di B. E., rilevante per provare la presenza di P. M. in (OMISSIS) in un orario incompatibile con la consumazione della rapina.
Lamenta, poi, la violazione dei canoni di valutazione probatoria, la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione con riferimento all’apprezzamento della chiamata in correità operata da G.S., tenuto conto dell’inverosimiglianza delle sue dichiarazioni in ordine al coinvolgimento nella rapina del ricorrente, la cui presenza era obiettivamente superflua considerati:
a) l’assenza di specifica esperienza, la precedente consumazione di altre rapine da parte di cinque e non sei individui;
b) la genericità del dato costituito dal rinvenimento di una pistola presso la sua abitazione;
c) le caratteristiche fisiche dei rapinatori riferite dalla teste P.R., inconciliabili con quelle dell’imputato;
d) il carattere non significativo, nella prospettiva di cui all’art. 192 c.p.p., del riferimento all’accento veneto;
e) l’inconciliabilità, da un punto di vista cronologico, della presenza di P. rispetto agli orari del controllo documentati dalle forze dell’ordine, ai tempi di percorrenza, all’orario di consumazione della rapina e agli spostamenti riferiti da G. S. nel corso di plurimi interrogatori, caratterizzati da assenza di univocità e ispirati all’evidente intento di adeguare le proprie propalazioni alle risultanze investigative progressivamente acquisite.
Si duole, inoltre, dell’erronea applicazione della legge penale in relazione alla ritenuta configurabilità degli elementi costitutivi del tentato omicidio in danno degli agenti di Polizia sopraggiunti, tenuto conto delle dichiarazioni della guardia giurata P. P., evidenzianti l’esplosione contro la Polizia soltanto di un paio di colpi d’arma da fuoco e, comunque, di un limitato numero di proiettili, peraltro non diretti contro parti vitali del corpo degli poliziotti, viaggianti a bordo di un mezzo blindato e del breve lasso di tempo di svolgimento dell’azione, secondo quanto documentato nell’annotazione di polizia giudiziaria del 10 dicembre 2002.
Denuncia, infine, erronea applicazione della legge penale, mancanza e manifesta illogicità della motivazione con riguardo alla dosimetria della pena e al diniego delle circostanze attenuanti generiche, tenuto conto dell’assenza di plurimi e significativi precedenti penali, della giovane età, dello svolgimento di attività lavorativa.
S.O. lamenta, a sua volta, la violazione dei canoni di valutazione probatoria, la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione per assenza di credibilità soggettiva di G.S., mosso da motivi di rancore nei confronti del ricorrente, atteso che questi, all’atto della perquisizione presso la sua abitazione, aveva immediatamente riferito che le auto rinvenute nel suo garage appartenevano a G.S., e per mancanza di elementi di riscontri estrinseci individualizzanti alle contraddittorie propalazioni del dichiarante, non potendosi ritenere tale il controllo effettuato dai Carabinieri nei confronti dei fratelli P. il (OMISSIS) su una strada compatibile.
Con un secondo motivo si duole dell’erronea applicazione della legge penale con riferimento alla ritenuta configurabilità del concorso nella rapina delle armi in danno delle guardie giurate che, al più, avrebbe potuto essergli addebitata ai sensi dell’art. 116 c.p..
Con un ultimo motivo lamenta la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione in relazione alla dosimetria della pena e al diniego delle circostanze attenuanti generiche, tenuto conto della complessiva condotta di vita.
Motivi della decisione
1. Il ricorso di Gherardo Filiberto è inammissibile, ai sensi del combinato disposto dell’art. 591 c.p.p., comma 1, lett. b) e art. 581 c.p.p., lett. e), per omessa presentazione dei motivi.
Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di prova circa l’assenza di colpa nella proposizione dell’impugnazione (Corte Cost. sent. n. 186 del 2000), al versamento della somma di cinquecento/00 Euro alla cassa delle ammende.
2. Il primo motivo di ricorso, presentato da N. e da P.M. con coincidenza di prospettazione non è fondato.
In tema di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale in sede d’appello, l’art. 603 c.p.p. reca diversità di previsione, a seconda che si tratti di prove preesistenti o concomitanti al giudizio di primo grado, emerse in un diverso contesto temporale o fenomenico, ovvero di prove sopravvenute o scoperte dopo il giudizio. Nel primo caso, il giudice d’appello deve disporre la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale solo se ritiene di non essere in grado di decidere allo stato degli atti; nel secondo, deve rinnovare l’istruzione, osservando i soli limiti del diritto alla prova e dei requisiti della stessa.
Con riguardo alla prima ipotesi, in considerazione del principio di presunzione di completezza dell’istruttoria compiuta in primo grado, la rinnovazione del dibattimento in appello è istituto di carattere eccezionale, al quale può farsi ricorso esclusivamente quando il giudice ritenga, nella sua discrezionalità, di non potere decidere allo stato degli atti. Pertanto, in caso di rigetto della richiesta avanzata dalla parte, la motivazione potrà essere implicita e desumibile dalla struttura argomentativa della sentenza d’appello, con la quale si evidenzia la sussistenza di elementi sufficienti all’affermazione o alla negazione di responsabilità dell’imputato (Sez. 5^, 1 febbraio 2000, n. 01075; Sez. 2^, 7 luglio 2000, n. 08106; Sez. 5^, 8 agosto 2000, n. 08891).
Considerato, quindi, che nel giudizio di appello la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, postulando una deroga alla presunzione di completezza della indagine istruttoria svolta in primo grado, ha caratteristica di istituto eccezionale, nel senso che ad essa può farsi ricorso quando appaia assolutamente indispensabile, cioè nel solo caso in cui il giudice ritenga di non poter decidere allo stato degli atti, ritiene il Collegio che, da un lato, il giudice di merito ha dimostrato in positivo, con spiegazione immune da vizi logici e giuridici, la sufficiente consistenza e l’assorbente concludenza delle prove già acquisite e, dall’altro, i ricorrenti non hanno dimostrato l’esistenza, nell’apparato motivazionale posto a base della decisione impugnata, di lacune o manifeste illogicità, ricavabili dal testo del medesimo provvedimento e concernenti punti di decisiva rilevanza, le quali sarebbero state presumibilmente evitate qualora si fosse provveduto all’assunzione delle richieste prove in sede di appello, idonee a svalutare il peso del materiale probatorio raccolto e valutato.
3. Parimenti infondati sono i secondo motivi di ricorso formulati da M. e P.N. e la prima censura dedotta da S.O. che possono essere esaminati congiuntamente, considerata la sostanziale coincidenza delle argomentazioni difensive.
I giudici di merito hanno particolarmente valorizzato, ai fini della motivazione della sentenza impugnata, le dichiarazioni auto ed etero accusatorie del collaboratore di giustizia G.S., esecutore materiale di molti delitti e, perciò, a conoscenza diretta delle vicende narrate e delle persone coinvolte.
Sotto i profili della credibilità soggettiva e dell’attendibilità intrinseca del racconto del dichiarante, la sentenza impugnata non merita censura, essendo supportata da adeguato e logico apparato argomentativo, immune da vizi sindacabili in sede di legittimità, avuto riguardo alla personalità di colui che ha reso le dichiarazioni, alle sue condizioni socio – economiche e personali, al suo passato, ai suoi rapporti con gli accusati, alla genesi remota e prossima della scelta processuale compiuta, alle caratteristiche di precisione, coerenza, costanza, spontaneità, mancanza di un movente calunniatorio delle dichiarazioni accusatorie.
Considerazioni analoghe valgono per l’affidabilità dei riscontri esterni di carattere generico, poichè la sentenza impugnata ha puntualmente indicato le coerenze, con altre significative risultanze processuali, di quanto narrato, in relazione alle modalità e alle circostanze di tempo e di luogo di commissione dei delitti.
E però, la presenza di riscontri esterni dimostrativi della sicura conoscenza da parte del chiamante delle modalità obiettive dei fatti dedotti nelle imputazioni non giustifica ancora l’affermazione giudiziale di responsabilità e la pronuncia di condanna in assenza di riscontri "individualizzanti", attinenti cioè anche alla partecipazione del singolo imputato a ciascuno degli episodi criminosi a lui addebitati. Risulta, invero, ormai compiutamente delineata nella giurisprudenza di legittimità, in tema d’interpretazione del canone di valutazione probatoria fissato dall’art. 192 cod. proc. pen., comma 3 l’indicazione dell’operazione logica conclusiva di verifica giudiziale della chiamata in correità, secondo cui essa, perchè possa assurgere al rango di prova pienamente valida a carico del chiamato e possa essere posta a fondamento di un’affermazione di responsabilità, abbisogna, oltre che di un positivo apprezzamento in ordine alla sua intrinseca attendibilità, anche di riscontri estrinseci, i quali debbono avere carattere "individualizzante", cioè riferirsi a elementi di qualsiasi tipo e natura, anche di ordine puramente logico, ma che riguardano direttamente la persona dell’incolpato, in relazione a tutti gli specifici reati a lui addebitati.
E, per il principio di frazionabilità della chiamata in correità, si aggiunge che, quando essa contenga più accuse in confronto di più persone per il medesimo episodio o per una pluralità di episodi, l’affermazione di responsabilità postula che a carico di ciascuno dei chiamati sia ravvisabile un elemento esterno di riscontro individualizzante, non potendo l’affidabilità delle dichiarazioni del chiamante, che pure trovino conferme oggettive negli accertati elementi del fatto criminoso e soggettivi nei confronti di uno dei chiamati, estendersi congetturalmente nei confronti di un altro chiamato sulla base di non consentite, reciproche, inferenze totalizzanti.
Nel caso di specie la sentenza impugnata è conforme ai principi giuridici in precedenza illustrati, in quanto, con motivazione compiuta ed esente da vizi logici e giuridici, ha puntualmente analizzato, in relazione alle posizioni dei singoli ricorrenti i motivi per i quali le dichiarazioni acquisite sono da ritenere intrinsecamente attendibili e sono confortate da elementi di riscontro esterno "individualizzante". Essi sono costituiti dalle deposizioni testimoniali dei soggetti presenti in occasione della commissione e, in particolare, da P.R., dalle dichiarazioni rese da M.R., imputato di reato connesso, dalle deposizioni delle parti offese ( B.R., P. P., S.D., P.R.), dai rilievi tecnici svolti sul furgone blindato portavalori e dalla consulenza balistica espletata, dal sequestro e dal riconoscimento delle armi rapinate alle guardie giurate, dagli accertamenti svolti in merito ai mezzi rubati per la consumazione della rapina e alle loro modalità e circostanze di tempo e di luogo di rinvenimento, dalle risultanze delle perquisizioni e dei sequestri operati, dal contenuto delle intercettazioni ambientali ritualmente svolte a bordo dell’auto "Audi S 8" rubata, nonchè dalle risultanze del controllo effettuato nei confronti di M. e P.N. il (OMISSIS), muovendo dall’abitazione di S.O. e dagli atti dei procedimenti penali acquisiti ai sensi dell’art. 238 cod. proc. pen. 4. Alla luce della nuova formulazione dell’art. 606 c.p.p., lett. e), novellato dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 8 il sindacato del giudice di legittimità sul discorso giustificativo del provvedimento impugnato deve essere volto a verificare che la motivazione della pronunzia: a) sia "effettiva" e non meramente apparente, ossia realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata; b) non sia "manifestamente illogica", in quanto risulti sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica; c) non sia internamente contraddittoria, ovvero sia esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute;
d)non risulti logicamente "incompatibile" con "altri atti del processo" (indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente nei motivi posti a sostegno del ricorso per cassazione) in termini tali da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico (Sez. 6^, 15 marzo 2006, n. 10951). Non è, dunque, sufficiente che gli atti del processo invocati dal ricorrente siano semplicemente "contrastanti" con particolari accertamenti e valutazioni del giudicante o con la sua ricostruzione complessiva e finale dei fatti e delle responsabilità nè che siano astrattamente idonei a fornire una ricostruzione più persuasiva di quella fatta propria dal giudicante. Ogni giudizio, infatti, implica l’analisi di un complesso di elementi di segno non univoco e l’individuazione, nel loro ambito, di quei dati che – per essere obiettivamente più significativi, coerenti tra loro e convergenti verso un’unica spiegazione – sono in grado di superare obiezioni e dati di segno contrario, di fondare il convincimento del giudice e di consentirne la rappresentazione, in termini chiari e comprensibili, ad un pubblico composto da lettori razionali del provvedimento.
E’, invece, necessario che gli atti del processo richiamati dal ricorrente per sostenere l’esistenza di un vizio della motivazione siano autonomamente dotati di una forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione sia in grado di disarticolare l’intero ragionamento svolto dal giudicante e determini al suo interno radicali incompatibilità, così da vanificare o da rendere manifestamente incongrua o contraddittoria la motivazione (Sez. 6^, 15 marzo 2006, n. 10951).
Il giudice di legittimità è, pertanto, chiamato a svolgere un controllo sulla persistenza o meno di una motivazione effettiva, non manifestamente illogica e internamente coerente, a seguito delle deduzioni del ricorrente concernenti "atti del processo". Tale controllo, per sua natura, è destinato a tradursi – anche a fronte di una pluralità di deduzioni connesse a diversi "atti del processo" e di una correlata pluralità di motivi di ricorso – in una valutazione, di carattere necessariamente unitario e globale, sulla reale "esistenza" della motivazione e sulla permanenza della "resistenza" logica del ragionamento del giudice.
Al giudice di legittimità resta, infatti, preclusa, in sede di controllo sulla motivazione, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice di merito, perchè ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa. Queste operazioni trasformerebbero, infatti, la corte nell’ennesimo giudice del fatto e le impedirebbero di svolgere la peculiare funzione assegnatale dal legislatore di organo deputato a controllare che la motivazione dei provvedimenti adottati dai giudici di merito (a cui le parti non prestino autonomamente acquiescenza) rispetti sempre uno standard di intrinseca razionalità e di capacità di rappresentare e spiegare l’iter logico seguito dal giudice per giungere alla decisione.
Esaminata in quest’ottica la motivazione della sentenza impugnata si sottrae alle censure che le sono state mosse, perchè il provvedimento impugnato, con motivazione esente da evidenti incongruenze o da interne contraddizioni, ha illustrato in maniera analitica gli elementi di fatto, indicati al paragrafo che precede – insindacabili in sede di legittimità, ove sorretti, come nel caso di specie, da congruo apparato motivazionale – su cui ha fondato l’affermazione di penale responsabilità degli imputati e ha spiegato come le censure difensive sono prive di pregio, essendo volte in realtà ad una non consentita ricostruzione alternativa dell’accaduto.
5. Non fondato è anche il terzo motivo di ricorso concordemente prospettato, con identità di argomentazioni, da M. e P.N..
La valutazione circa l’esistenza o meno dell’animus necandi – che rifiuta ogni presunzione che, oltre a contrastare con al personalità della responsabilità penale, non si concilierebbe con l’essenza del dolo – costituisce il risultato di un’indagine di fatto, rimessa all’apprezzamento del giudice di merito, a base della quale può essere posto qualsiasi dato probatorio acquisito al processo, che appaia rilevante per tale profilo. In mancanza di attendibile confessione, la prova del dolo omicida è normalmente e prevalentemente affidata alle peculiarità estrinseche dell’azione criminosa, aventi valore sintomatico in base alle comuni regole di esperienza, quali il comportamento antecedente e susseguente al reato, la natura del mezzo usato, le parti del corpo della vittima attinte, la reiterazione dei colpi, nonchè tutti quei dati che, secondo l’id quod plerumque accidit, abbiano un valore sintomatico.
La sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione di questi principi, sottolineando la pluralità dei colpi esplosi contro la parte centrale del finestrino, lato guidatore e, quindi, ad altezza d’uomo, contro l’autovettura a bordo della quale si trovavano i poliziotti, la loro direzione, il tramite dei colpi, la posizione reciproca tra aggressori e parti offese, la breve distanza da cui furono esplosi i colpi stessi, le caratteristiche micidiali delle armi utilizzate.
6. Parimenti infondata è la violazione dell’art. 116 cod. pen. dedotta dalla difesa di S.O..
Elementi costitutivi della fattispecie descritta dall’art. 116 cod. pen. sono l’esistenza di un accordo al fine di commettere un reato concordemente voluto, la concreta commissione di un reato diverso e più grave di quello concordato, il nesso di causalità materiale fra la condotta attiva o omissiva del reato voluto e l’evento del diverso tipo di reato realizzato, il rapporto di causalità psicologica fra le azioni degli autori di entrambi i reati. Secondo l’orientamento ormai dominante nella giurisprudenza di legittimità l’art. 116 c.p. non configurerebbe un’ipotesi di responsabilità oggettiva, inconciliabile con il principio di colpevolezza come interpretato dalla Corte costituzionale alla luce della regola della personalità della responsabilità penale di cui all’art. 27 Cost., comma 1 (C. cost, sent. n. 42 del 1965; e n. 364 del 1988.), bensì un’ipotesi di responsabilità a titolo di dolo rispetto alla condotta del reato – base voluto e meno grave ed a titolo di colpa rispetto all’evento non voluto diverso e più grave, consistente nella violazione delle regole di prudenza, per essersi il compartecipe imprudentemente affidato per l’esecuzione di condotta criminosa al comportamento di altro soggetto che sfugge al suo controllo finalistico. La responsabilità per concorso anomalo sarebbe ravvisabile solo quando l’evento diverso e più grave di quello voluto dal compartecipe costituisca uno sviluppo logicamente prevedibile da un soggetto di normale intelligenza e di cultura media, quale possibile conseguenza della condotta concordata, secondo regole di ordinaria coerenza dello svolgersi dei fatti umani, non spezzata da fattori accidentali e imprevedibili. L’applicabilità della norma soggiace quindi a due limiti negativi: che l’evento diverso non sia stato voluto neanche sotto il profilo del dolo alternativo o eventuale, perchè in tal caso sussisterebbe la tipica responsabilità concorsuale ai sensi dell’art. 110 c.p. (Sez. 1^, 7 marzo 2003, n. 12610); che l’evento più grave concretamente realizzato non sia conseguenza di fattori eccezionali sopravvenuti, imprevedibili dall’agente e non ricollegabili eziologicamente alla condotta criminosa di base, e non si verifichi un rapporto di mera occasionalità idoneo ad escludere il nesso di causalità.
Nel caso in esame il provvedimento impugnato ha fatto corretta applicazione di questi principi, escludendo la configurabilità dell’ipotesi di cui all’art. 116 c.p. alla luce del dolo diretto che ha sorretto la condotta di S.O., il quale metteva coscientemente e volontariamente la sua abitazione a disposizione degli altri imputati quale base logistica nell’ambito della consumazione della rapina anche in vista dell’occultamento delle armi funzionali alla sua realizzazione.
7. Infondata, infine, sono anche le censure formulate dai ricorrenti N. e P.M. e S.O. in tema di dosimetria della pena.
La sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione dei principi costantemente enunciati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di dosimetri della pena, mettendo in luce, ai fini del diniego delle circostanze attenuanti generiche e del complessivo trattamento sanzionatorio, la particolare gravità dei fatti, contraddistinti da un’accurata preparazione, le loro modalità, caratterizzate dal ricorso all’uso di mezzi micidiali e da connotati di particolare violenza, la negativa personalità degli imputati N. e P.M., gravati da precedenti penali, l’apporto causalmente rilevante fornito da S.O. alla consumazione degli illeciti.
Per tutte queste ragioni s’impone il rigetto dei ricorsi di N. e P.M. e di S.O. con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso di G.F..
Rigetta i ricorsi di P.N., P.M., S.O..
Condanna tutti i ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonchè il solo G.F. al versamento della somma di cinquecento/00 Euro alla cassa delle ammende.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.