T.A.R. Lombardia Brescia Sez. II, Sent., 18-03-2011, n. 424 Guardie particolari e istituti di vigilanza privata

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

sensi dell’art. 60 cod. proc. amm.;
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

– che il ricorso introduttivo è inammissibile, poiché non risulta ancora emesso nè un provvedimento definitivo di diniego sull’istanza di estensione del titolo autorizzatorio, né un atto di revoca della licenza per l’attività di vigilanza ex art. 134 del T.U.L.P.S.;

– che, con riguardo alla domanda di estensione, l’amministrazione ha trasmesso il preavviso di rigetto sull’istanza del privato;

– che il preavviso di rigetto di cui all’art. 10bis della L. 241/1990 riveste natura di atto endoprocedimentale;

– che infatti la norma impone all’amministrazione – prima di adottare un provvedimento sfavorevole nei confronti del richiedente – di comunicargli le ragioni ostative all’accoglimento della sua istanza promuovendo in tal modo l’instaurazione di un contraddittorio a carattere necessario, con la conseguenza che il preavviso non è direttamente lesivo della sfera giuridica del destinatario e, quindi, non è autonomamente ed immediatamente impugnabile (T.A.R. Campania Napoli, sez. VII – 12/6/2006 n. 6891; T.A.R. Lazio Roma, sez. II – 1/7/2010 n. 22079; T.A.R. Sicilia Palermo, sez. II – 11/1/2010 n. 270);

– che la comunicazione infraprocedimentale ex art. 10bis assume la funzione di sollecitare il privato ad una proficua collaborazione, attivando un subprocedimento di valutazione delle osservazioni esposte e dei documenti prodotti suscettibile di mutare il convincimento in precedenza maturato in capo all’amministrazione procedente (T.A.R. Veneto, sez. III – 1/8/2006 n. 2257), la quale si esprimerà in via definitiva soltanto con il provvedimento finale;

Atteso:

– che con riguardo alla revoca è stato trasmesso soltanto l’avviso di avvio del procedimento, il quale parimenti rientra nella categoria degli atti preparatori c.d. endoprocedimentali, non dotati di autonoma lesività;

– che pertanto, eventuali suoi vizi possono essere fatti valere, unicamente in via derivata, impugnando il provvedimento finale (T.A.R. Campania Napoli, sez. III – 2/7/2010 n. 16547);

Tenuto conto:

– che dall’esame dell’atto introduttivo del giudizio non è peraltro chiaro con esattezza quali siano gli atti contestati in questa sede, limitandosi parte ricorrente a denunciare una complessiva attività asseritamente illegittima in quanto lesiva dell’autonomia economica privata;

– che, nel merito, il ricorso è in ogni caso infondato, posto che l’amministrazione ha evidenziato plurimi elementi a supporto del diniego di estensione e della revoca (inattività dell’istituto, mancato pagamento dei contributi e degli stipendi dei dipendenti da circa 2 mesi) e le circostanze dedotte appaiono documentate;

– che le spese di giudizio seguono la soccombenza e possono essere liquidate come da dispositivo;
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda) definitivamente pronunciando dichiara inammissibile il ricorso in epigrafe.

Condanna il ricorrente a corrispondere all’amministrazione resistente la somma di Euro 2.000, a titolo di competenze ed onorari di difesa, oltre alle spese generali.

La presente sentenza è depositata presso la Segreteria del Tribunale che provvederà a darne comunicazione alle parti.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. V, Sent., 30-06-2011, n. 14381

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Letto il ricorso dell’amministrazione concernente una controversia relativa all’impugnazione di un avviso di classamento e attribuzione di rendita per un fabbricato di proprietà del contribuente; Preso atto che il contribuente non si è costituito;

Rilevato che il ricorso si basa su un unico motivo con il quale si censura, sotto il profilo della violazione di legge ed il vizio di motivazione, la sentenza impugnata per aver "valorizzato l’ubicazione dell’immobile e la circostanza della avvenuta costruzione nell’ambito dell’edilizia convenzionata", omettendo di considerare le caratteristiche morfologiche dell’unità immobiliare e la categoria attribuita ad immobili limitrofi aventi le stesse caratteristiche;

Ritenuto che il ricorso sia manifestamente infondato, in quanto tende inammissibilmente ad una revisione del merito, volendo sostituite a quelle del giudice le proprie valutazioni sul "fatto", a fronte di una sentenza adeguatamente motivata e coerente con gli orientamenti giurisprudenziali di questa Corte;

Ritenuto, pertanto, che il ricorso debba essere rigettato e che non occorra provvedere sulle spese, stante la mancata costituzione della parte intimata.
P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Rigetta il ricorso.

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Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 25-07-2011, n. 16195 Licenziamento per giustificato motivo

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Svolgimento del processo

La Corte di Appello Torino, riformando la sentenza di primo grado, dichiarava l’illegittimità del licenziamento, con tutte le conseguenze economiche e giuridiche di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18, comunicato in data 24 gennaio 2003, dalla società SSIF a M.F. in ragione della accertata inidoneità ad indossare le calzature antinfortunistiche indispensabili per lo svolgimento delle mansioni affidategli.

La Corte del merito, dopo aver ritenuta la tardività e inammissibilità dell’eccezione sollevata, del R.D. n. 148 del 1931, ex art. 29, allegato A, relativa alla mancata impugnazione nei termini dell’accertamento medico d’inidoneità, poneva a base del decisimi il rilievo fondante che la società non aveva provato la mancanza sul mercato di calzature antinfortunistiche compatibili con la malformazione di cui era portatore il M..

Avverso questa sentenza la società ricorre in cassazione sulla base di tre censure, illustrate da memoria.

Resiste con controricorso la parte intimata che deduce tra l’altro l’inammissibilità del ricorso per violazione dell’art. 366 bis c.p.c..
Motivi della decisione

Con il primo motivo la società ricorrente, deducendo violazione del R.D. n. 148 del 1931, art. 29 e della L. 15 luglio 1966, n. 604, formula, ex art. 366 bis c.p.c., i seguenti quesiti di diritto: 1. se il rapporto di lavoro intercorrente con il dipendente di una azienda esercente il trasporto ferroviario sia regolato dal R.D. n. 148 del 1931, e dalla contrattazione collettiva anzichè dalla normativa di carattere generale. 2. Se in vigenza del suddetto R.D. n. 148 del 1931, art. 29, sia legittima la dispensa dal servizio per inidoneità del dipendente, ove sia stata osservata la procedura prevista da detta norma a seguito di specifica richiesta del lavoratore di essere dispensato dall’uso dei previsti strumenti protettivi per propria malformazione fisica e ove sia mancata l’impugnazione dell’esito dei conseguenti accertamenti sanitari disposti dall’azienda. 3. Se a seguito della regolarità della procedura prevista dal R.D. n. 148 del 1931, All.A (art. 29) il datore di lavoro debba fornire ulteriore prova del giustificato motivo di licenziamento".

Con la seconda censura la società ricorrente, denunziando violazione dei principi che regolano la proponiblità dell’appello incidentale con riferimento alla definizione di eccezione data a un semplice argomento difensivo pone, ex art. 366 bis c.p.c. cit., il seguente quesito: "se, una volta accertato l’avvenuto svolgimento della procedura prevista dal R.D. n. 148 del 1931, art. 29, all. A, e in assenza di contestazioni da parte del lavoratore o dell’impugnazione prevista dallo stesso art. 29, il Giudice debba d’ufficio disporre ulteriori accertamenti confermanti le imperfezioni fisiche lamentate o denunziate dallo stesso lavoratore. Di conseguenza se la mancata contestazione da parte del lavoratore dell’esito dei predetti accertamenti costituiva acquiescenza, il cui accertamento da parte del giudice di appello richieda la proposizione di appello incidentale in caso di mancato esplicito riconoscimento da parte del giudice di primo grado".

Con il terzo motivo la società, allegando violazione del R.D. n. 141 del 1931, art. 29, allegato A per erronea applicazione della L. n. 604 del 1966, art. 1, comma 5, articola ex art. 366 bis c.p.c. cit., il seguente quesito: "se una volta accertato il regolare svolgimento della procedura prevista dal R.D. n. 148 del 1931, art. 29, all.A (concernente la dispensa dal servizio per inidoneità del lavoratore) e la mancata impugnativa nei termini previsti da tale norma di legge, il giudice debba d’ufficio disporre propri ulteriori accertamenti sanitari per verificare l’inidoneità del lavoratore, pretendendo dal datore di lavoro la prova sul giustificato motivo del licenziamento richiesta dalla L. n. 604 del 1966, art. 1, comma 5, anzichè ritenere che il giustificato motivo consista nell’osservanza del citato R.D. n. 148 del 1931, art. 29".

Il ricorso per quanto riguarda i primi due motivi è inammissibile ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c..

La giurisprudenza di questa Corte, infatti, ha chiarito che il quesito di diritto, previsto dalla richiamata norma di rito, ha lo scopo precipuo di porre in condizione la Cassazione, sulla base della lettura del solo quesito, di valutare immediatamente il fondamento della dedotta violazione (Cass. 8 marzo 2007 n. 5353) ed a tal fine è imposto al ricorrente di indicare, nel quesito, anche l’errore di diritto della sentenza impugnata in relazione alla concreta fattispecie (Cass. S.U. 9 luglio 2008 n. 18759), in modo tale che dalla risposta – negativa od affermativa – che ad esso si dia, discenda in maniera univoca l’accoglimento od il rigetto del ricorso ( Cass. S.U. 28 settembre 2007 n. 20360).

In tale prospettiva questa Corte ha affermato che, a norma dell’art. 366 bis c.p.c., non potendosi desumere il quesito dal contenuto del motivo o integrare il primo con il secondo, pena la sostanziale abrogazione del suddetto articolo, è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione il cui quesito di diritto si risolva in un’enunciazione di carattere generale e astratto, priva di qualunque indicazione sul tipo della controversia e sulla sua riconducibilità alla fattispecie in esame, tale da non consentire alcuna risposta utile a definire la causa nel senso voluto dal ricorrente, (Cass. S.U. 11 marzo 2008 n. 6420); ovvero quando, essendo la formulazione generica e limitata alla riproduzione del contenuto del precetto di legge, è inidoneo ad assumere qualsiasi rilevanza ai fini della decisione del corrispondente motivo, mentre la norma impone al ricorrente di indicare nel quesito l’errore di diritto della sentenza impugnata in relazione alla concreta fattispecie (Cass. S.U. 9 luglio 2008 n. 18759 cit.).

Pertanto questa Corte ha rimarcato che il quesito di iritto di cui all’art. 366 bis c.p.c., deve comprendere l’indicazione sia della regula iuris adottata nel provvedimento impugnato, sia del diverso principio che il ricorrente assume corretto e che si sarebbe dovuto applicare in sostituzione del primo con la conseguenza che la mancanza anche di una sola delle due suddette indicazioni rende il ricorso inammissibile (Cass. SU 30 settembre 2008 n. 24339 e Cass. 19 febbraio 2009 n. 4044).

Nella specie rileva la Corte che la formulazione dei suddetti quesiti di diritto o del principio di cui si chiede l’applicazione, prescinde del tutto dall’indicazione, come si desume dalla sopra riportata trascrizione degli stessi, della diversa regola iuris posta a base della sentenza impugnata, sicchè non è consentito a questa Corte di valutare, sulla base dei soli quesiti, se dall’accoglimento del motivo possa o meno derivare l’annullamento della sentenza impugnata.

L’affermazione di un principio di diritto da parte di questa Corte, del resto, non è fine a sè stessa, ma è necessariamente strumentale, pur nella funzione nomofilattica, alla idoneità o meno del principio da asserire a determinare la cassazione della sentenza impugnata.

Il terzo motivo del ricorso è infondato.

Va rimarcato che secondo giurisprudenza consolidata di questa Corte, ai fini dell’accertamento dell’idoneità al servizio dei dipendenti da aziende concessionarie di servizi di linea automobilistica di pubblico trasporto, il parere della Commissione medica di cui al R.D. n. 148 del 1931, art. 29, all. A), non è vincolante per il giudice di merito adito per l’accertamento della illegittimità del licenziamento disposto a seguito di giudizio di inidoneità, avendo egli – anche in riferimento ai principi costituzionali di tutela processuale – il potere – dovere di controllare l’attendibilità degli accertamenti sanitari effettuati dalla predetta Commissione (per tutte V. Cass. 20 maggio 2002 n. 7311 e Cass. 8 febbraio 2008 n. 3095). Il che esclude la fondatezza della tesi avanzata dal società ricorrente secondo la quale la regolarità della procedura prevista dal citato R.D. n. 148 del 1931, art. 29, all. A. precluderebbe qualsiasi accertamento in sede giudiziale della legittimità del licenziamento.

Sotto altro versante va evidenziato che la Corte territoriale con un iter argomentativi congruo, privo di salti logici e rispettoso della normativa applicabile alla fattispecie esaminata – e pertanto non suscettibile di sindacato in questa sede di legittimità – ha statuito, condividendo sul punto la consulenza d’ufficio, che doveva trovare applicazione la regola generale in tema di onere della prova in caso di licenziamento, secondo la quale il datore di lavoro è gravato di tale onere in relazione ai motivi posti a base del recesso. Prova che, nel caso di specie, doveva far carico, dunque, alla società a fronte delle conclusioni della perizia tecnica nella quale si era affermata la reperibilità sul mercato di vari modelli di scarpe antinfortunistiche all’interno dei quali potevano essere trovate quelle adatte a consentire in sicurezza l’espletamento del lavoro che il M. era chiamato a svolgere.

Sulla base delle esposte considerazioni il ricorso va, pertanto, respinto.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 31,00 oltre Euro. Tremila/00 per onorario ed oltre I.V.A., C.P.A. e spese generali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cons. Stato Sez. IV, Sent., 12-05-2011, n. 2882 Silenzio rifiuto _ silenzio assenso

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

La sentenza impugnata dal Comune de L’Aquila ha accolto il ricorso dell’odierno intimato dichiarando illegittimo il silenzio rifiuto da quest’ultimo impugnato e formatosi sulla sua sull’istanza del 26 gennaio 2010.

Il primo giudice ha inoltre e conseguentemente dichiarato l’obbligo del predetto ente di concludere con un provvedimento espresso da adottare nel termine di 60 giorni, il procedimento concernente la riqualificazione urbanistica dei suoli di proprietà dell’istante, essendo scaduti per decorso del quinquennio i vincoli espropriativi su di essi imposti con il P.R.G. in vigore dal 1979.

Appella la sentenza in epigrafe il Comune de L’Aquila chiedendone la riforma ritenendola ingiusta ed errata, anche alla luce dell’orientamento espresso recentemente da questa Sezione su questione identica con la sentenza n.5451/2010.

Parte appellata si è costituita per resistere, depositando anche memoria di controdeduzioni., precedute da due eccezioni; l’una d’inammissibilità, l’altra d’improcedibilità del gravame

Nella camera di consiglio del 12 aprile 2011 la causa è stata chiamata e trattenuta in decisione.

L’appello del Comune di L’Aquila è fondato.

Le eccezioni di parte resistente vanno invero entrambe respinte.

Con la prima si sostiene che il Sindaco ha conferito la procura ad litem al difensore senza aver prima ottenuto dalla Giunta l’autorizzazione a stare in giudizio..

L’eccezione è infondata poiché tale autorizzazione non occorre (T.a.r. Molise n.210/2010;CdS n.280/210;T.a.r. Sicilia -Catania Sez.II^ n.534/2008).

Della seconda eccezione, concernente improcedibilità del gravame per sopravvenuta carenza d’interesse all’appello, se ne dirà in fine

Il giudice di primo grado ha accolto il ricorso sulla base della distinzione, a suo avviso ricavabile dall’art.44 comma 1 lett. b.) n.1) della legge regionale n.11 del 3 marzo 1999, tra il termine di inizio del procedimento "che non può essere inferiore ai quarantacinque giorni" e quello, di un anno, "per la conclusione del procedimento di definizione delle aree con vincoli scaduti, giungendo alla conclusione che entro il termine massimo fissato dalla diffida – vale a dire entro il termine non superiore a quarantacinque giorni "il – procedimento debba essere comunque iniziato"

Tale distinzione non è condivisa da questa Sezione che in ordine alla controversia in esame non intende discostarsi, non ravvisandone le ragioni, dal proprio orientamento consacrato nella decisione n.5451/2010, puntualmente richiamata dal Comune appellante.

Occorre quindi ribadire che il termine di quarantacinque giorni per l’avvio del procedimento volto a stabilire la nuova disciplina urbanistica della aree per le quali sono scaduti i vincoli urbanistici a in forza dell’art.2 della legge n.1187/1968 non rileva, poiché la violazione dell’obbligo di provvedere maturato a seguito della diffida ad adempiere è nella Regione Abruzzo, fissato, con carattere perentorio, in un anno (art.44, comma 1 -quinquies, l.r. 3 marzo 1999 n.11) decorrente dalla diffida stessa.

Di conseguenza l’inosservanza del primo dei due anzidetti termini stabilito per l’avvio del procedimento non rileva ai fini della eventuale declaratoria di illegittimità del silenzio serbato dal Comune di L’Aquila.

La previsione di tale termine invero, ha carattere formale e non sostanziale e non essendo ad esso collegata l’adozione di alcun provvedimento, appare introduttiva di un termine e di un adempimento di tipo soltanto infraprocedimentale.

Poiché il ricorso di primo grado è stato notificato prima del decorso dell’anno dall’istanza a provvedere, il cui dies a quo va individuato evidentemente dalla data dell’istanza stessa,l’appello del Comune di L’Aquila deve quindi essere accolto., con la conseguente riforma della sentenza impugnata, a nulla rilevando, in contrario, quanto eccepito da parte resistente, poiché la circostanza che in corso di giudizio il termine dell’anno sia venuto a scadenza., non fonda l’obbligo di provvedere della parte appellante.

Sussistono giusti motivi per compensare, sia in primo che in secondo grado, le spese della lite.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto in riforma della sentenza impugnata dichiara inammissibile il ricorso di primo grado.

Spese doppio grado compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

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