Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 08-04-2011) 26-05-2011, n. 21057 Determinazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

ATICELLI Mario che ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi.
Svolgimento del processo

1. La Corte di Appello di Napoli, con sentenza del 14 maggio 2010, ha confermato la sentenza del GIP presso Tribunale di S. Maria Capua Vetere del 21 giugno 2007 con la quale D.L. e S. A. erano stati condannati per il delitto di furto in abitazione aggravato in concorso con altri due coimputati.

2. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione entrambi gli imputati, a mezzo del loro difensore, lamentando: la mancata applicazione alla fattispecie ascritta della figura del delitto tentato, la mancata concessione delle attenuanti generiche al solo S., l’erronea quantificazione della pena e infine la mancata conversione della sanzione inflitta, ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 53.
Motivi della decisione

1. I ricorsi vanno parzialmente accolti per quanto di ragione.

2. La Corte territoriale ha, invero, sicuramente errato dal momento in cui non si è peritata di dare risposta alcuna alla istanza di sostituzione della pena, avanzata nell’interesse degli imputati ai sensi della L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 53.

Nella stessa motivazione la Corte, da un lato, dà effettivamente atto che: "entrambi gli appellanti hanno chiesto, in ogni caso, ridursi la pena e convertirla nella sanzione sostitutiva, L. n. 689 del 1981, ex art. 53".

Nel prosieguo della motivazione, poi, si è effettivamente affrontato il punto della diminuzione della pena, rigettandolo, ma nulla si è detto in merito alla ulteriore e concorrente richiesta della sostituzione della pena detentiva inflitta a entrambi gli imputati.

Valuterà, pertanto, il Giudice del rinvio la suddetta richiesta, alla quale questa Corte di legittimità non può dare risposta alcuna.

3. Nel resto, di converso, i ricorsi si appalesano inammissibili.

La detta inammissibilità deriva, in primo luogo, dalla genericità dei motivi perchè entrambi i ricorrenti, nella loro illustrazione, non si discostano affatto da quanto già ha formato oggetto dei motivi di appello che sono stati disattesi dalla Corte territoriale.

Più in particolare, poi, la Corte territoriale ha correttamente e logicamente motivato circa il rigetto della tesi defensionale in merito alla sussistenza, nel comportamento degli imputati, di una desistenza volontaria ovvero di un recesso attivo, tali da consentire di derubricare il contestato reato nella forma del tentativo e ciò per l’assorbente considerazione dell’uscita dei beni oggetto del furto dalla sfera di disponibilità del proprietario.

La pena è stata, inoltre, contenuta nei limiti edittali per cui non può essere sottoposta al vaglio di legittimità di questa Corte così come, nei confronti del solo imputato S., è stato dato conto della già avvenuta concessione delle attenuanti generiche e del corretto giudizio di comparazione con la contestata aggravante in considerazione delle condizioni soggettive dell’imputato stesso.
P.Q.M.

La Corte annulla l’impugnata sentenza con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Napoli per nuovo esame limitatamente alla richiesta di pena sostitutiva. Dichiara inammissibili i ricorsi nel resto.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

T.A.R. Calabria Catanzaro Sez. I, Sent., 10-06-2011, n. 882 Impianti di ripetizione Radiocomunicazioni

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Svolgimento del processo

Con atto notificato in data 20/916.10.2010 e depositato in data 1.10.2010, la ricorrente società premetteva di essere fornitrice della "H3G spa" (già "Andala UMTS spa"), concessionaria del Ministero delle Poste e delle Telecomunicazioni per l’espletamento del servizio pubblico di comunicazioni mobili di terza generazione, secondo lo standard UMTS, e per l’installazione della relativa rete sul territorio italiano, in virtù della Delibera n. 2/01/CONS del 10 gennaio 2001 dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, ai sensi dell’art. 6, comma 6, lett. c) del D.P.R. 19 settembre 1997, n. 318.

Precisava che la "H3G spa", tenuta a progettare una propria rete radiomobile nel rispetto degli impegni prefissati dall’art. 8 della Delibera Autorità TLC 14 marzo 2001 n. 128/01/cons., aveva sottoscritto con la ricorrente "E.T. spa" il contratto Modificativo e Novativo del tipo "Turn Key" del 26.7.2005.

Evidenziava, quindi, che, secondo le clausole ivi previste, occorreva installare, su tutto il territorio nazionale, una rete radiomobile (assistita dalla dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità e urgenza ai sensi dell’art. 4, comma 3, l. n. 249 del 1997), con specifici obblighi di copertura da garantire entro precisi termini, pena l’applicazione di sanzioni, suscettibili di poter comportare anche la revoca della licenza stessa.

Esponeva che aveva presentato istanza, presso l’intimato Comune di San Nicola Dell’Alto, per l’installazione di un impianto per la realizzazione di infrastrutture di comunicazione elettronica per un impianto radioelettrico con potenza inferiore a 20 Watt, da eseguirsi in località Pizzuta, in catasto NCT Foglio 1 porzione della particella 65, codice del sito KR9249, allegando la documentazione richiesta ed avendo anche ricevuto la nota prot. n. 842/NIRR/10 del 3.6.2010 dell’Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente della Calabria (A.R.P.A.C.A.L.), attestante la conformità della D.I.A. e la compatibilità del progetto con i limiti di esposizione, i valori di attenzione e gli obiettivi di qualità di cui alla legge 22 febbraio 2001 n. 36 e D.C.P.M 8 luglio 2003.

Con il presente ricorso, lamentava che, all’esito del procedimento così avviato, il Comune di San Nicola Dall’Alto, con nota prot. n. 2631 del 9.6.2010 del Responsabile dell’Area, pervenuta in data 14.6.2010, esprimeva parere negativo, rilevando che l’intervento proposto ricadrebbe su di un terreno con destinazione D2 del PDF (insediamenti produttivi di tipo industriale e artigianale) e che sia il traliccio che il manufatto sarebbero posti ad una distanza inferiore a quella prevista dalla vigente normativa urbanistica.

Precisava, infine, di aver presentato la diffida del 16/24.10.2004, intesa ad ottenere la revoca dell’impugnato provvedimento, cui, però, non era seguito alcun riscontro da parte del Comune.

Affidava, pertanto, il proprio gravame ai seguenti motivi di diritto:

1) Violazione e falsa applicazione della legge n. 241/90 e successive modifiche ed integrazioni, anche con riferimento all’art. 10 bis; D. Lgs. n. 259/2003; legge n. 36/2001. Illegittimità derivata; eccesso di potere per sviamento, difetto di istruttoria, illogicità, violazione del principio del giusto procedimento (avendo l’ente comunale provveduto ad esprimere parere negativo sulla richiesta di autorizzazione senza che fosse preceduto da alcun preavviso o atto equipollente).

Non sarebbe stato inviato il cosiddetto "preavviso di rigetto", essendo applicabile al caso di specie il procedimento previsto dall’art. 87 del D. Lgs n. 259 del 2003, trattandosi di impianto con potenza non superiore a 20 MW.

2) violazione e falsa applicazione del D. Lgs. n. 259/2003; legge n. 3672001; Violazione delle Direttive Comunitarie e legge n. 166/2002; Illegittimità derivata; eccesso di potere per sviamento, difetto e carenza di istruttoria, violazione del principio del giusto procedimento; travisamento dei fatti; contraddittorietà e illogicità della motivazione;

La nota prot. n. 2631 del 9.6.2010 del Responsabile dell’Area, che aveva espresso parere negativo, rilevando che l’intervento proposto ricadrebbe su di un terreno con destinazione D2 del PDF (insediamenti produttivi di tipo industriale e artigianale) e che sia il traliccio che il manufatto sarebbero posti ad una distanza inferiore a quella prevista dalla normativa vigente, oltre a violare la legge, difetterebbe di motivazione e non sarebbe supportata da idonea istruttoria, ai fini della dimostrazione della ragionevolezza della misura e della sua congruità rispetto al fine perseguito.

Concludeva per l’accoglimento del ricorso, con vittoria di spese.

Non si costituiva il Comune intimato per resistere al presente ricorso.

Alla pubblica udienza del giorno 21 aprile 2011, il ricorso passava in decisione.
Motivi della decisione

1. Viene impugnata la nota prot. n. 2631 del 9.6.2010 del Responsabile dell’Area del Comune di San Nicola dell’Alto, pervenuta alla "E.T. s.p.a." in data 14.6.2010, contenente parere negativo in ordine all’autorizzazione alla installazione di un impianto radioelettrico in tecnologia MW con potenza minore/uguale 20 W, in località Pizzuta – identificato al NCT di Crotone al F.1 p.lla 65 (parte), codice sito KR 9249, motivata, sostanzialmente, in relazione alle circostanze secondo cui l’intervento proposto ricadrebbe su di un terreno con destinazione D2 del PDF (insediamenti produttivi di tipo industriale e artigianale) e secondo cui il traliccio ed il manufatto sarebbero posti ad una distanza inferiore rispetto a quella prevista dalla vigente normativa urbanistica.

Con il primo motivo, la ricorrente società deduce che non sarebbe stato inviato il cosiddetto "preavviso di rigetto", essendo applicabile al caso di specie il procedimento previsto dall’art. 87 del D. Lgs n. 259 del 2003, trattandosi di impianto con potenza non superiore a 20 MW.

Osserva il Collegio che, sebbene il suddetto profilo di illegittimità potrebbe essere suscettibile di valutazione positiva, con conseguente declaratoria di illegittimità dell’atto impugnato, l’ipotetica fondatezza dello stesso sarebbe, comunque, in grado di fare conseguire alla parte ricorrente una scarsa utilità, a fronte delle ragioni che potrebbero emergere in sede di disamina dell’altro mezzo (sostanziale) di gravame. Ne discende l’esigenza di derogare all’ordinaria graduazione logica dei motivi di impugnazione: non si verifica, d’altronde, alcuna concreta lesione del "principio della domanda", dal momento che parte ricorrente si è astenuta dal richiedere il prioritario accoglimento della censura in questione, attesa la minima satisfattività di un ipotetico accoglimento della stessa rispetto al contenuto sostanziale del bene della vita al cui conseguimento la ricorrente società aspira.

2. Con il secondo motivo, la ricorrente "E.T. s.p.a." deduce che la nota impugnata prot. n. 2631 del 9.6.2010 del Responsabile dell’Area, che ha espresso parere negativo, rilevando che l’intervento proposto ricadrebbe su di un terreno con destinazione D2 del PDF (insediamenti produttivi di tipo industriale e artigianale) e che sia il traliccio che il manufatto sarebbero posti ad una distanza inferiore a quella prevista dalla normativa vigente, oltre a violare la legge, difetterebbe di motivazione e non sarebbe supportata da idonea istruttoria, ai fini della dimostrazione della ragionevolezza della misura e della sua congruità rispetto al fine perseguito, anche considerando che le esigenze di tutela dell’ambiente e della salute sarebbero pienamente assicurate dai poteri di "controllo" e di "intervento", assegnati all’Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente, nell’ambito dello "schema procedimentale" previsto.

Il cosiddetto "Codice delle Comunicazioni Elettroniche", approvato con D. Lgs. 1.8.2003, n. 259, con gli artt. 86, 87 e 88, con riferimento alle infrastrutture di reti pubbliche di comunicazione, affronta i molteplici profili di interesse pubblico coinvolti e prevede lo svolgimento di apposite conferenze di servizi, per un adeguato coordinamento di tali interessi, con finale rilascio – in forma espressa o tacita – di un titolo abilitativo, qualificato come autorizzazione, in coerenza con i criteri – rilevanti anche sul piano comunitario – di semplificazione amministrativa, mediante la confluenza in un solo procedimento di tutte le tematiche rilevanti, pur senza cancellare l’incidenza delle installazioni stesse sotto il profilo urbanisticoedilizio, tenuto conto della concreta consistenza dell’intervento e senza esclusione di eventuali conseguenze penali, connesse ad ipotesi di abusivismo, ex art. 44 D.P.R. n. 380/01 (cfr. in tal senso Corte Cost. 28.3.2006, n. 259; Corte Cost. 18.5.2006, ord. n. 203).

L’art. 86, comma 3, del precitato D.Lgs n. 259/2003 stabilisce che tutte le infrastrutture di reti pubbliche di comunicazione, tra cui anche gli impianti di telefonia mobile, "sono assimilate ad ogni effetto alle opere di urbanizzazione primaria di cui all’art. 16, comma 7, DPR n. 380/2001, pur restando di proprietà dei rispettivi operatori".

Il D.Lgs. 6.6.2001 n. 378 (Testo Unico dell’Edilizia), con l’art. 3, comma 1°, lett. e. 3) ed e. 4) prescrive, per "l’installazione di torri e tralicci per impianti radioricetrasmittenti e di ripetitori per i servizi di telecomunicazione" – espressamente catalogata come intervento di nuova costruzione – il permesso di costruire, introdotto dalla medesima normativa come nuova qualificazione formale della concessione edilizia, ai sensi del successivo art. 10, comma 1.

L’art. 87 del suddetto D. Lgs n. 259/2003 richiede, per il caso di installazione di impianti, con tecnologia UMTS od altre, con potenza in singola antenna uguale od inferiore ai 20 Watt, la mera denuncia di inizio attività, conforme ai modelli predisposti dagli Enti locali e, ove non predisposti, "al modello B di cui all’allegato n. 13", conformemente alla "ratio acceleratoria", desumibile anche dai criteri di delega contenuti nell’art. 41 della legge n. 166/2002.

Appare, quindi, coerente con i principi generali dell’ordinamento nazionale e comunitario ritenere che, per effetto della disciplina sopravvenuta di cui all’art. 87 D.Lg.vo n. 259/2003, sia stato implicitamente abrogato, per incompatibilità, l’art. 3, comma 1, lett. e. 3) ed e. 4) del DPR n. 380/2001, nella parte in cui qualifica gli impianti di telecomunicazioni come "nuova costruzione", richiedenti, ai sensi del successivo art. 10 DPR n. 380/2001, il previo rilascio del permesso di costruire (conf.: Cons. Stato. Sez. VI, sent. n. 5044 del 17.10.2008; Cons. Stato Sez. VI: sent. n. 3534 del 15.6.2006; sent. n. 4000 del 26.7.2005; sent. n. 100 del 21.1.2005; TAR Napoli Sez. VII sent. n. 2702 del 22.3.2007; TAR Lecce Sez. II sent. n. 4279 del 22.8.2006).

Invero, l’espressa assimilazione normativa fra le stazioni radio base e le opere di urbanizzazione primaria, statuita dall’art. 86, comma 3, del D. Lgs n. 259/2003 rende l’installazione di tali manufatti compatibile con qualunque destinazione di zona ed assoggettata alle sole prescrizioni di cui all’art. 87 del D. Lgs n. 259/2003 e non anche alle previsioni generali di cui all’art. 3 del D.P.R. n. 380/2001.

Pertanto, come correttamente rilevato dalla ricorrente, l’art. 87 bis del D. Lgs n. 259/2003 (introdotto dall’art. 5 bis del D. L. 25.3.2010 n. 40) delinea un procedimento, per il caso in cui l’impianto radio base abbia potenza in singola antenna superiore ai 20 Watt, con riferimento al quale il gestore di telefonia mobile deve chiedere "autorizzazione alla installazione", ed un procedimento semplificato, per il caso in cui la predetta potenza sia uguale o inferiore ai 20 Watt, per il quale si richiede la mera "denuncia di inizio attività", trasmessa alle amministrazioni competenti (Comune e Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale).

E’ questo secondo il procedimento pacificamente applicabile al caso che occupa.

Secondo il quadro emergente della giurisprudenza costituzionale, è consentito alle regioni ed ai comuni, ciascuno per la sua competenza, introdurre criteri localizzativi degli impianti de quibus, nell’ambito della funzione di definizione degli "obiettivi di qualità", consistenti in criteri localizzativi, di cui all’art. 3, comma 1, lettera d, ed all’art. 8, comma 1, lettera e, e comma 6 della legge quadro, mentre non è consentito introdurre limitazioni alla localizzazione (conf.: Corte Cost.: 7.10. 2003 n. 307; 7.11.2003, n. 331; 28 marzo 2006, n. 129).

Coerentemente, vanno considerati criteri localizzativi (legittimi, ancorché espressi "in negativo") i divieti di installazione su ospedali, case di cura e di riposo, scuole e asili nido, siccome riferiti a specifici edifici, mentre vanno ritenute limitazioni alla localizzazione (vietate) i criteri distanziali generici ed eterogenei, quali la prescrizione di distanze minime, da rispettare nell’installazione degli impianti, dal perimetro esterno di edifici destinati ad abitazioni, a luoghi di lavoro o ad attività diverse da quelle specificamente connesse all’esercizio degli impianti stessi, di ospedali, case di cura e di riposo, edifici adibiti al culto, scuole ed asili nido, nonché di immobili vincolati ai sensi della legislazione sui beni storicoartistici o individuati come edifici di pregio storicoarchitettonico, di parchi pubblici, parchi gioco, aree verdi attrezzate ed impianti sportivi.

Ritiene, quindi, il Collegio, alla stregua dei superiori principi che il Comune di S. Nicola Dell’Alto potrebbe dotarsi di un Piano o di un Regolamento di localizzazione degli impianti di telefonia mobile, ex art. 8, comma 6, L. n. 36/2001 e art. 5 L.R. n. 30/2000, purchè finalizzato a consentire il completamento della rete cellulare e l’efficace copertura di tale servizio su tutto il territorio comunale e non a porre inammissibili limitazioni di localizzazione.

Invero, alla stregua dei superiori principi, nella specie, il Comune non poteva giustificare il parere negativo della procedura edilizia decisa con la nota gravata, in contrasto proprio con le esigenze di speditezza propria di tale settore, che oggi hanno trovato testuale riscontro negli artt. 87 e 87 bis del D. Lgs n. 259 del 2003 (ex plurimis (cfr. Tar Lazio, Roma, Sez. II, 9816/2007, TAR Campania, Sez. VII, 29.5.2006, n. 6199; TAR Abruzzo, 15.6.2006, n. 420; TAR Puglia, Sez. Lecce, 3.11.2006, n. 5142).

Va, infine, precisato che detto arresto procedimentale non poteva neppure essere giustificato in riferimento alle esigenze di tutela della salute della popolazione del Comune (di cui, comunque, non vi è traccia nel corpo motivazionale del provvedimento impugnato), atteso che, ai sensi dell’art. 4 della legge 22.2.2001 n. 36, la materia della salute pubblica inerente all’esposizione ai campi elettromagnetici è riservata alla competenza dello Stato e non del comune (cfr.: Cons. Stato, Sez. VI, 20.12.2002 n. 7274).

Invero, nella specie, le accertate violazioni di legge e discrasie rispetto al paradigma procedimentale previsto dalla legge si traducono anche in un deficit motivazionale ed istruttorio, considerato, in particolare che, nella specie, era intervenuta la nota prot. n. 842/NIRR/10 del 3.6.2010 dell’Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente della Calabria (A.R.P.A.C.A.L.), attestante la conformità della D.I.A. e la compatibilità del progetto con i limiti di esposizione, i valori di attenzione e gli obiettivi di qualità di cui alla legge 22 febbraio 2001 n. 36 e D.C.P.M 8 luglio 2003.

Pertanto, la censura merita adesione.

3. Può essere, quindi, esaminato il primo profilo di gravame, con cui parte ricorrente deduce omessa comunicazione del cosiddetto "preavviso di rigetto", ai sensi dell”art. 10bis della legge n. 241/90, introdotto dalla legge n. 15 del 2005.

La previsione trova applicazione con riferimento a tutti i procedimenti ad iniziativa di parte, ad eccezione di quelli espressamente esclusi (procedure concorsuali e procedimenti in materia previdenziale e assistenziale sorti a seguito di istanza di parte e gestiti dagli enti previdenziali) e, quindi, anche nel caso di specie.

Al riguardo, giova rilevare che la norma di carattere processuale di cui all’art. 21octies, comma 2, della legge n. 241 del 1990 ha inteso escludere la possibilità di annullare un provvedimento (comunque illegittimo) quando ricorrano necessariamente tutti questi elementi: a) violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti; b) natura vincolata del provvedimento; c) essere "palese" che il contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.

La seconda parte della norma è relativa ad un tipico vizio procedimentale (art. 7 della legge n. 241/90: violazione dell’obbligo di avvio del procedimento) e prevede che il provvedimento non sia annullabile "qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato".

Nel caso di specie, esclusa l’applicabilità dell’art. 7 della legge n. 241/90, può trovare applicazione soltanto la prima parte dell’art. 21octies, comma 2, della legge n. 241 del 1990.

Ed invero, dalla illegittimità del provvedimento impugnato, discende che, se la P.A. avesse inviato il cosiddetto "preavviso di rigetto", le osservazioni di parte ricorrente avrebbero potuto condurre ad una diversa decisione amministrativa.

Pertanto, anche questa censura (di carattere formale) può trovare accoglimento.

In definitiva, il ricorso si appalesa fondato e va accolto e, per l’effetto, va annullato l’impugnato provvedimento.

Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.

il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla l’impugnato provvedimento.

Condanna il Comune di San Nicola dell’Alto al pagamento delle spese e degli onorari del presente giudizio, che liquida, complessivamente e forfettariamente, in Euro. 1000 (euro mille), oltre IVA e CPA.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Catanzaro nella camera di consiglio del giorno 21 aprile 2011 con l’intervento dei magistrati:

Giuseppe Romeo, Presidente

Concetta Anastasi, Consigliere, Estensore

Vincenzo Lopilato, Referendario

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

T.A.R. Lombardia Brescia Sez. I, Sent., 28-06-2011, n. 978Stranieri

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con il provvedimento in questa sede impugnato è stato negato il rinnovo del permesso di soggiorno al cittadino del Marocco M.L., in quanto è risultato che egli aveva riportato condanna dal Tribunale di Brescia, con sentenza n. 2605/09, alla pena di mesi 10 di reclusione e alla multa di Euro 3.000 per il reato di cui all’art. 73 del DPR 309/90.

Il ricorrente lamenta che il diniego si fonda esclusivamente su tale sentenza di condanna, senza alcuna disamina della concreta pericolosità sociale del soggetto anche in relazione alla condotta susseguente al reato e alle condizioni di vita del medesimo, che si caratterizzano per la presenza regolare nel territorio nazionale dal giugno 2008 e per la sussistenza di attività lavorativa continuativa nell’impresa del padre.

Il ricorso non risulta fondato.

Sotto un profilo d’ordine generale, va rilevato (cfr. TRGA Trento 27.3.2006 n. 101, 3.4.2006 n. 107 e 19.2.2007 n. 25) che l’art. 4, comma 3, del D. Lgs. n. 286 del 1998 (come modificato dall’art. 4 comma 1 lett. b della legge 30.7.2002 n. 189 c.d. BossiFini), nel prevedere la non ammissione e l’impossibilità di continuare il soggiorno in Italia per quei cittadini di origine extracomunitaria che siano stati condannati (anche con sentenza c.d. patteggiata") per determinate categorie di reati oggettivamente gravi e che comunque destano particolare allarme sociale, introduce un automatismo che opera solo nel caso in cui la responsabilità del cittadino straniero risulta essere stata accertata dall’Autorità Giudiziaria a seguito di procedimento penale e conclusiva sentenza di condanna nei suoi confronti.

In altri termini, il citato art. 4 D. Lgs, n. 189/2002, individua una serie di condotte, quelle integratrici delle fattispecie criminali menzionate dalla norma, e le considera come oggettivi indici di pericolosità sociale. Esse, dunque, vengono considerate dalla legge come requisiti individuali negativi, ostativi all’inserimento dello straniero nella comunità nazionale.

Il riferimento legislativo alle inerenti condanne deve quindi ritenersi come volto ad individuare i fatti probanti (cioè le condanne) la sussistenza di quei requisiti negativi.

Si tratta, in definitiva, di una valutazione di pericolosità sociale già effettuata dal legislatore che ha ritenuto, del tutto ragionevolmente e nell’ambito della discrezionalità che gli compete, la sussistenza di tale elemento nella responsabilità del soggetto, accertata giudizialmente, per la commissione di reati di particolare gravità (cfr., sul punto, TAR Parma 7.4.2005 n. 207).

Può condivisibilmente affermarsi (cfr. TAR Parma 26 gennaio 2006 n. 21) che in tal caso sussiste un automatico impedimento al rinnovo del permesso di soggiorno, senza necessità di un’autonoma valutazione della concreta pericolosità sociale, in quanto si tratta di una preclusione che non costituisce un effetto penale, ovvero una sanzione accessoria alla condanna, bensì un effetto amministrativo che la legge fa derivare dal fatto storico consistente nell’avere riportato una condanna per determinati reati, quale indice presuntivo di pericolosità sociale o, quanto meno, di riprovevolezza (non meritevolezza, ai fini della permanenza in Italia) del comportamento tenuto nel Paese dallo straniero.

In merito all’applicazione della norma in questione in relazione a condanne intervenute, come nella fattispecie all’esame, dopo l’entrata in vigore della legge BossiFini, occorre porre in rilievo che, alla stregua dell’art. 5, 5 comma D.Lgs. n. 286/1998, il permesso di soggiorno è revocato, ovvero il rinnovo dello stesso è rifiutato quando vengano a mancare i requisiti richiesti per l’ingresso e il soggiorno nel territorio dello Stato.

In altri termini, i requisiti per l’ottenimento del permesso di soggiorno sono sempre i medesimi, sia che si tratti di prima richiesta del permesso che di rinnovo dello stesso.

Dal che consegue che la condanna per determinati reati (tra cui rientra quello in tema di droga attribuito all’odierno ricorrente), come è ostativa per l’ingresso nel territorio dello Stato e la concessione del permesso di soggiorno, ugualmente preclude la possibilità di ottenere il rinnovo dello stesso.

La norma in questione non consente all’Amministrazione alcuna autonoma valutazione in ordine ai fatti oggetto del giudizio penale derivando in modo del tutto automatico dalla sentenza penale la preclusione al rinnovo del permesso di soggiorno (cfr. Cons. St., sez. VI, n. 2866 del 17.5.2006).

Va poi posto in luce che la disposizione così come sopra interpretata non suscita dubbi di costituzionalità, poiché non appare irragionevole una norma che limita l’ingresso e la permanenza sul territorio nazionale degli stranieri a seconda che questi abbiano commesso reati sanzionati con pene superiori a determinate soglie o comunque ritenuti di particolare pericolosità sociale nell’attuale momento storico (cfr. TAR Parma 21 febbraio 2006 n. 60 e TAR Umbria 28 dicembre 2005 n. 638).

Con la sentenza n. 148 del 2008, la Corte costituzionale ha osservato che: "la principale norma concernente la condizione giuridica dello straniero – attualmente, extracomunitario – è quella dell’art. 10, comma secondo, Cost., la quale stabilisce che essa "è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali", rilevando quindi che: "Da tale disposizione si può desumere che, per quanto concerne l’ingresso e la circolazione nel territorio nazionale ( art. 16 Cost.), la situazione dello straniero non è uguale a quella dei cittadini, dall’altro, che il legislatore, nelle sue scelte, incontra anzitutto i limiti derivanti dalle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute ed eventualmente dei trattati internazionali applicabili ai singoli casi".

Inoltre, la Corte ha ritenuto che non sia manifestamente irragionevole condizionare l’ingresso e la permanenza dello straniero nel territorio nazionale alla circostanza della mancata commissione di reati di non scarso rilievo, osservando che la condanna per un delitto punito con la pena detentiva, la cui configurazione è diretta a tutelare beni giuridici di rilevante valore sociale – quali sono le fattispecie incriminatrici prese in considerazione dalla normativa censurata – non può, di per sé, essere considerata circostanza ininfluente ai fini di cui trattasi. E ciò in quanto il rifiuto del rilascio o rinnovo del permesso di soggiorno non costituisce sanzione penale, sicché il legislatore ben può stabilirlo per fatti che, sotto il profilo penale, hanno una diversa gravità, valutandolo misura idonea alla realizzazione dell’interesse pubblico alla sicurezza e tranquillità, anche se ai fini penali i fatti stessi hanno ricevuto una diversa valutazione.

In particolare, in relazione alle condanne per droga, va rilevato che la preclusione opera a prescindere dalle eventuali circostanze che siano rappresentate nella sentenza penale della lieve entità del fatto, del riconoscimento delle attenuanti generiche e dell’applicazione del beneficio della sospensione condizionale della pena (cfr. TAR Emilia Romagna Sez. I, 3.7.2009, TAR Brescia, 30.1.2009 n. 130).

Infatti, nessun effetto può dispiegare sulla legittimità dell’atto in questa sede impugnato la circostanza che in sede di condanna penale sia stata formulata la previsione che l’imputato si asterrà in futuro dal ricadere nell’illecito: il giudizio dal giudice penale ai fini della concessione del beneficio è di tipo prognostico, volto a valutare l’eventuale possibilità di reiterazione dei reati già commessi, mentre in sede amministrativa, come si è illustrato, si verifica un automatico impedimento al rinnovo del permesso di soggiorno, senza necessità di un’autonoma valutazione della concreta pericolosità sociale.

La natura della controversia suggerisce di compensare integralmente le spese di giudizio tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Prima) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 22-06-2011) 12-07-2011, n. 27146

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. La Corte d’appello di Milano, con sentenza del 7/4/2010, ha confermato la pronuncia di condanna emessa dal locale Tribunale per vari episodi di corruzione consumati da esponenti delle forze di polizia interessati al rilascio di permessi in favore di cittadini extracomunitari nonchè da stranieri che svolgevano in tale attività funzione di intermediari.

Avverso la citata pronuncia ha proposto ricorso la difesa di I.M. lamentando con il primo motivo violazione di legge e contraddittorietà della motivazione in relazione al capo J della rubrica, ove è contestato il delitto di corruzione previsto dall’art. 319 c.p..

In fatto si osserva che Corte ha ritenuto il suo interessamento nella pratica di ricongiungimento familiare di tale E.T., desumibile dall’ascolto delle conversazioni telefoniche intercorse tra tali N. e P., quest’ultimo e tale R. e tra questi e l’odierno ricorrente, ritenendo provato che il primo avesse promesso denaro a P., in cambio dell’interessamento; questi avrebbe comunicato a R. tale circostanza, che aveva espresso l’intendimento di versare la metà a I..

Così ricostruita la vicenda si assume che la Corte abbia interpretato i fatti in maniera discordante dalle risultanze, come era possibile ricavare dalla stessa motivazione ove, da un canto, si conclude per la prova di un accordo intercorso con I., dall’altro si rileva che questi appare indispettito nel corso dei contatti telefonici.

Si assume quindi che la Corte abbia fatto una valutazione parziale e non complessiva delle intercettazioni, intervenute peraltro tra persone diverse dall’odierno ricorrente, fornendo alle loro risultanze un’interpretazione non univoca.

Si lamenta difetto di motivazione sulla sussistenza del ritenuto reato di cui all’art. 319 c.p. osservando che, essendo stato identificato l’interessamento illecito sulla base di una insolita velocità nel rilascio del permesso, non si giustifica la mancata qualificazione dei fatti ai sensi dell’art. 318 c.p., poichè il contenuto del provvedimento emesso è vincolato per legge.

Si rileva anche difetto di motivazione in ordine all’individuazione dell’elemento oggettivo del reato; in particolare si è ritenuto acquisito il dato della particolare celerità della pratica e, malgrado la contestazione sul punto, nella sentenza d’appello non è stato specificato sulla base di quale elemento si fosse giunti a ritenere l’effettività della circostanza; il percorso ricostruttivo risulta incerto, poichè nulla risulta acquisito in giudizio quanto al procedimento amministrativo sfociato nell’emissione del provvedimento, ed appare inspiegabile, sulla base di quanto riferito da un teste in merito agli ordinari tempi di attesa per il rilascio del certificato di cui si tratta. Si osserva inoltre che il diretto interessato, avvertito della circostanza che il documento era pronto, si era rifiutato di pagare un compenso, con ciò evidenziandosi l’assenza dell’accordo corruttivo.

A fronte di tali emergenze si prospetta la possibilità che potesse, a tutto concedersi, dirsi integrato il tentativo del reato contestato.

2. Con il secondo motivo si lamenta violazione di legge e contraddittorietà della motivazione sulla prova dell’elemento psicologico, osservando che nulla è stato dedotto in sentenza sullo specifico punto, essendo state estrapolate conclusioni da parte di una conversazione intercettata, svolta tra persone diverse, non coinvolgente I.. Si rileva sul punto che, nell’interpretazione di una telefonata nella quale era coinvolto I., la sentenza attribuisce a questi una frase, che si assume indicativa della corruzione, che in realtà risulta pronunciata dal suo interlocutore, mentre in relazione ad altra conversazione, è stato travisato il senso di una affermazione riguardante qualcosa che era stato consegnato, desumendo da ciò l’accordo corruttivo, senza argomentare sui motivi a sostegno di tale conclusione.

Il ricorrente ricava conferma del travisamento delle risultanze dalla dichiarazione dello straniero che si assume favorito, che ha limitato ad altra persona la richiesta di denaro; dalle affermazioni del teste P., che ha escluso di aver mai saputo di un coinvolgimento del ricorrente; dalle dichiarazioni di R. che ha escluso di aver mai promesso compensi a I.. Si osserva inoltre che non risultano nè analizzate, nè contrastate le risultanze favorevoli al ricorrente emergenti dall’istruttoria svolta e valorizzate nell’atto d’appello.

3. Con il terzo motivo si rilevano analoghi vizi riguardo la mancata concessione delle attenuanti generiche, ove nella pronuncia è stata esclusa la portata dirimente della mancanza di precedenti, omettendo di indicare quali fattori negativi comunque sconsigliano tale applicazione.

4. La difesa di M.D. rileva con il primo motivo violazione di norme processuali stabilite a pena di nullità, eccependo che illegittimamente fosse stata respinta la richiesta di accertamento della nullità della notifica del decreto di fissazione dell’udienza preliminare e del decreto che dispone il giudizio, atti notificati nel domicilio eletto con l’immissione in cassetta, e senza la raccomandata di avviso, prescritta dalla legge.

5. Con il secondo motivo si contesta contraddittorietà della motivazione, osservando che la partecipazione alla corruzione da parte di M. fosse stata desunta dal possesso di moduli in bianco, della cui natura nulla si conosceva, ed in relazione ai quali non è stato dimostrato che non fosse possibile la detenzione per motivi d’ufficio. L’accusa è fondata sulle dichiarazioni di tale L. che ha affermato di aver venduto moduli per la preparazione dei permessi di soggiorno, ma non è dimostrato che tali fossero i moduli ritrovati nel possesso del ricorrente.

Richiamate le conversazioni intercettate tra R. e M., si rileva che non riguardano passaggi di denaro e nel corso di esse il primo accusava il secondo di essere "a parametro zero", con ciò volendo formulare una critica alla sua mancata partecipazione all’attività illecita che svolgeva; si assume inoltre che del tutto illogicamente le accuse mosse da R. ad altri agenti della polizia non ha avuto seguito, mentre, inspiegabilmente, si erano valorizzate le sue dichiarazioni solo per giungere all’affermazione di responsabilità del ricorrente.

6. A.A.A. propone ricorso personalmente, lamentando illogicità della motivazione ove il giudicante non ha considerato che, a fronte della disponibilità a pagare qualcosa manifestata da uno straniero in attesa di regolarizzazione, l’azione non sarebbe stata svolta in quanto questi aveva già avuto la convocazione in questura, dovendo operare un ricongiungimento familiare. Manca inoltre la prova che l’agente R. si fosse adoperato per annullare gli effetti negativi che una denuncia a carico dello straniero può assumere nella pratica di regolarizzazione.

7. Con il secondo motivo si eccepisce erronea applicazione della legge penale, lamentando mancata qualificazione dei fatti ai sensi dell’art. 346 c.p. non riscontrandosi nell’azione eventualmente a lui ascrivibile gli elementi costitutivi del reato ritenuto, come il compimento di un atto di ufficio che rientri nelle sue competenze e sia contrario ai doveri d’ufficio; si ritiene pertanto erronea la valutazione del primo giudice, che ha respinto la richiesta di riqualificazione dei fatti, nella figura giuridica indicata.
Motivi della decisione

1. L’esame degli atti non consente di valutare presenti elementi che permettano di proscioglimento in fatto degli imputati, in ragione delle circostanze di fatto esposte nella sentenza, che danno conto della presenza di rapporti tra le parti che risultano essersi attivati attraverso canali informali per il riconoscimento di permessi in favore dei cittadini extracomunitari, anche soltanto realizzando un effetto acceleratolo della cognizione delle richieste presentate loro tramite, con procedura extra legem difficilmente giustificabile, circostanza che esclude possibilità di pervenire proscioglimento in fatto degli odierni ricorrenti.

Per altro verso la presenza di eccezioni diritto e di merito non consente di concludere per l’inammissibilità del ricorso; in ragione di ciò non può che prendersi atto della maturazione del termine massimo di prescrizione previsto per il reato contestato, scaduto al più tardi nell’ottobre del 2010, circostanza che impone l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, conseguente all’accertamento di estinzione del reato.
P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè i reati sono estinti per prescrizione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.