Cons. Stato Sez. IV, Sent., 31-01-2011, n. 734 Ricorso per l’esecuzione del giudicato

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1.- Con la sentenza epigrafata la Corte di Cassazione, annullando provvedimento della Corte d’appello di Roma, condannava il Ministero della Giustizia al pagamento, in favore dell’avv. Antonio M., dichiaratosi antistatario, della somma complessiva di Euro 1.174 a titolo di spese di giudizio (oltre a spese generali ed accessorie) per giudizio di merito e di legittimità, svoltosi per equa riparazione di danno non patrimoniale, causato dall’inosservanza del principio della ragionevole durata del processo di cui alla Convenzione dei diritti dell’uomo, ratificata dall’Italia con la legge n. 848/1955.

La sentenza esecutiva veniva notificata all’amministrazione; seguiva atto di diffida e messa in mora notificato dal M. ai sensi dell’art. 90 del r.d. n. 642/1907, con assegnazione del termine previsto per provvedere.

Nonostante tali adempimenti l’amministrazione non procedeva ad eseguire la pronunzia mediante totale corresponsione delle somme determinate dal giudice ordinario; di qui l’azione proposta, con procura col ricorso in esame e tesa ad ottenere l’ottemperanza del provvedimento in parola, limitatamente al pagamento a saldo della somma di Euro 749,29 a saldo differenziale del credito riconosciuto dalla sentenza. Il ricorrente ha altresì richiesto l’attribuzione a se stesso, in qualità di procuratore, delle spese e degli onorari del presente giudizio di esecuzione, delle quali si è dichiarato antistatario.

2- Alla camera di consiglio del 30 novembre 2010 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

3- Sussistendo tutti i presupposti processuali per l’azione di ottemperanza proposta, il Collegio non può che rilevarne la fondatezza nel merito, non risultando in atti alcun elemento che attesti il pagamento effettivo, da parte dell’amministrazione condannata, delle somme richieste e riconosciute dalla pronuncia in epigrafe specificata.

Occorre pertanto ordinare all’amministrazione stessa il pagamento della somme richiesta a saldo, entro un termine certo ed altresì procedere alla nomina, per il caso di inottemperanza perdurante oltre detto termine, di un commissario "ad acta", fissandone sin da ora il compenso per l’eventuale attività e da porsi a carico dell’amministrazione condannata.

4- Le spese del presente giudizio seguono il principio della soccombenza (art. 91 c.p.c) e vanno poste a carico dell’amministrazione intimata e liquidate, come richiesto, in favore del ricorrente in qualità di procuratore di se stesso
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione IV), definitivamente pronunziando in merito al ricorso in epigrafe, lo accoglie e per l’effetto:

1- ordina all’amministrazione intimata di dare esecuzione alla sentenza in epigrafe mediante corresponsione alla parte ricorrente della somma richiesta, entro sessanta giorni dalla notifica delle presente sentenza o, in mancanza, dal deposito della stessa presso la segreteria;

2- nomina, per il caso di inottemperanza perdurante oltre detto termine, quale commissario "ad acta" il Ragioniere generale dello Stato o un dirigente dal medesimo delegato, fissandone il compenso, per l’eventuale attività, in Euro duemila, da porsi a carico dell’amministrazione ordinataria;

3- condanna l’amministrazione intimata al pagamento, in favore di parte ricorrente (in qualità di procuratore) delle spese del presente grado di giudizio, che liquida complessivamente in Euro 500, oltre accessori ed al compenso per l’eventuale attività commissariale.

– Ordina la trasmissione degli atti di causa alla Procura Generale della Corte dei Conti.

– Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 10-02-2011) 23-02-2011, n. 6980 Misure cautelari

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Svolgimento del processo

Con ordinanza in data 13 luglio 2010, il Tribunale di Catanzaro, accogliendo l’istanza di riesame avanzata nell’interesse di L. B.G., indagato per il reato di partecipazione ad associazione di stampo mafioso, annullava l’ordinanza del Gip di Catanzaro, emessa in data 17/6/2010 e per l’effetto revocava la misura cautelare della custodia in carcere applicata al prevenuto. Il Tribunale escludeva che dal compendio accusatorio fossero individuabili gli elementi costitutivi del delitto associativo di tipo mafioso ed osservava che dal materiale indiziario emergeva che, a partire dai primi mesi dell’anno 2007, in costanza della detenzione di L.B.C. (capo della cosca Lo Bianco) si era verificato il radicamento sul territorio di soggetti criminali che agivano al di fuori del contesto associativo egemone dei L.B. e, in una ultima fase, progettavano la costituzione di un gruppo autonomo sotto l’egida di M.A., contrapposto alla cosca Lo Bianco.

Secondo l’ipotesi accusatoria, dagli esiti dell’attività di captazione telefonica ed ambientale svolta dagli inquirenti, sarebbe emerso che L.B.C. e M.A., rispettivamente promotore e partecipe dell’associazione mafiosa Lo Bianco (riconosciuta con sentenza della Corte d’Appello di Catanzaro del 3/6/2010), nonchè Ma.Ni. avrebbero promosso ed organizzato un gruppo criminale finalizzato alla realizzazione di estorsioni e di reati contro il patrimonio, nonchè al controllo delle attività economiche nel settore delle affissioni pubblicitarie, servizi funerari, trasporto in ambulanza, pubblici appalti.

Il Tribunale rilevava che tale ipotesi accusatoria non trovava conferma nel compendio indiziario, osservando, in primo luogo che non erano emerse prove di contatti di natura illecita fra L.B. C. e gli altri soggetti affiliati ed, in secondo luogo, che dalle singole vicende prese in considerazione nell’ordinanza del Gip emergeva soltanto che gli indagati si erano aggregati per commettere episodicamente dei reati, sebbene fosse serpeggiata l’idea di costituire un gruppo autonomo che potesse sostituire l’egemonia della cosca Lo Bianco.

In particolare, con riferimento alla vicenda estorsiva in danno dell’imprenditore C.A. per la quale erano stati tratti in arresto (il 22/12/2007) P.F.A. e M.D. il Tribunale osservava che dalle numerose conversazioni intercettate in carcere emergeva una diatriba fra le famiglie dei detenuti e gli altri soggetti che erano rimasti indenni dall’azione giudiziaria ai quali venivano rivolte pressanti richieste di denaro, soprattutto da P.R., padre di F. A. nei confronti di Ma.Ni..

Ad opinione del Tribunale le pretese di assistenza economica dei detenuti non nascevano dalla loro affiliazione ad una associazione di stampo mafioso facente capo al clan Lo Bianco, quanto piuttosto erano legittimate dal fatto che Ma.Ni. e L.B.G. erano coinvolti nell’estorsione e, pertanto, dovevano prestare aiuto ai loro complici tratti in arresto. Osserva il Tribunale che da una conversazione intercorsa l’11 luglio 2008 fra P.R. e L. B.P. (figlio del boss L.B.C.) si evinceva che la vicenda estorsiva era un affare esclusivo di Ma. e non della famiglia Lo Bianco, in quanto il figlio del boss, nel tentativo di intromettersi era stato letteralmente zittito dal Ma. (sono fatti miei).

Pertanto il Tribunale reputava che Ma.Ni., approfittando della debolezza del vecchio (Lo Bianco Carmelo) avesse organizzato una autonoma attività delinquenziale nella quale concorreva P. F.A.. Quest’ultimo aveva compiuto numerose imprese criminali, associato ad altri soggetti, con i quali spartiva i proventi, senza, tuttavia, che emergessero gli estremi di un vincolo associativo.

Osservava il Tribunale che gli elementi indiziari in atti dimostravano che, negli anni 2007/2008, dopo l’arresto del boss e dei sodali della cosca Lo Bianco, un gruppo di criminali ( Ma.

N., L.B.G., Ma.Vi., M. S., P.F.A., Ma.Do. ed il fratello F.) scorazzava in libertà per il territorio vibonese, ponendo in essere, singolarmente ed in concorso, condotte illecite. In tale periodo di anarchia criminale si collocavano la vicenda estorsiva, il pestaggio degli operai, le estorsioni che il P. poneva in essere con il Mo., le imprecisate assunzioni imposte ai titolari del Supermercato Eurospin, nonchè la costituzione di società fittiziamente intestate a terzi. Precisava, inoltre, il Tribunale che, pur non sussistendo dubbi che le attività economiche realizzate attraverso l’interposizione fittizia fossero illecite, tuttavia non sussistevano elementi per affermare che esse fossero gestite da Ma.Ni. e Ma.An. per riconducibile alla cosca Lo Bianco. Rilevava, peraltro, il Tribunale che, dopo la sua scarcerazione dagli arresti domiciliari, il 10 giugno 2009, M.A. aveva avuto continue frequentazioni con P.F.A., M.S., Ma.

V., i quali si erano attivati per fornirgli copertura sintomatica di attività sommerse, come l’acquisto di schede telefoniche intestate a L.B.M. e la bonifica della vettura. Concludeva, quindi, il Tribunale osservando che dagli atti emergeva che Ma., nonostante si fosse circondato di soggetti dei quali era conosciuto il radicamento criminale sul territorio vibonese, non aveva creato alcuna organizzazione criminale stabile, nè nel proprio interesse, nè nell’interesse di L.B.C., precisando, tuttavia che la disponibilità di tali soggetti ( M.V., P.F.A. e M. S.) l’apprestamento di molte cautele per eludere i controlli delle forze dell’ordine, nonchè il carisma di Ma., che contava sull’appoggio di microcriminali come i M. lasciavano intravedere rapporti criminali in consolidazione che, verosimilmente, preludevano ad una organizzazione criminale stabile.

Avverso tale ordinanza propone ricorso il P.M. deducendo la mancanza e manifesta illogicità della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato e da altri atti specificamente indicati.

Il P.M. ricorrente eccepisce l’intrinseca contraddittorietà della conclusioni a cui è pervenuto il Tribunale il quale, dando per scontata l’aggregazione intorno a Ma.An. di un gruppo di criminali che si proponeva di perpetrare azioni delittuose e che altre ne aveva già realizzate, di grande visibilità, non fa altro che delineare un fenomeno che non risulta qualificabile in termini diversi dalla "associazione criminale". Obietta che nel concorso di persone nel reato continuato l’aggregazione delle volontà delittuose avviene in relazione a specifici reati programmati, cosicchè l’esistenza di una volontà di più soggetti, tesa alla commissione di reati futuri ed indeterminati, ed, in particolare, l’osservazione che costoro avessero intrapreso l’esercizio di attività economiche con lo scudo di soggetti formalmente incensurati allo scopo di mascherare tratti di illegalità della loro futura attività, dimostra l’esistenza di un programma futuro ed indifferenziato, teso alla commissione di reati che, sicuramente fuoriesce dall’ambito meramente concorsuale. Più specificamente il P.M. ricorrente osserva che le conclusioni raggiunte dal Tribunale del riesame si pongono in contraddizione con la valutazione che lo stesso Collegio ha effettuato delle emergenze processuali.

A questo riguardo il P.M. osserva che è pacifico che il gruppo Lo Bianco è stato riconosciuto come un sodalizio mafioso da una sentenza, ancora non definitiva, emessa dalla Corte d’Appello di Catanzaro. Del pari scontata, nella ricostruzione del Tribunale è la commissione da parte di P.F.A., L.B. G., Mo.Sa., Ma.Ni. del tentativo di estorsione commesso in data (OMISSIS) in danno dell’imprenditore C.A., per il quale il M. ed il P. erano stati tratti in arresto. E tuttavia di fronte alla prova che il P. ed il M. abbiano prima preteso e poi ottenuto assistenza economica dal Ma., dal Mo. e dal L.B., il Tribunale contraddittoriamente ha ritenuto che tale prestazione non abbia trovato il suo fondamento nell’esistenza di un rapporto associativo, bensì nella responsabilità di questi ultimi a titolo di concorso nella stessa estorsione per la quale i due giovani erano stati arrestati. Il P.M. ricorrente si duole che il Tribunale abbia tratto elementi per escludere l’affectio societatis da una conversazione intercettata (il 28 marzo 2009) di P.R., padre di F.A., nella quale costui esprime la convinzione dell’estraneità del figlio a qualunque rapporto di affiliazione criminale, senza tener nel debito conto una intercettazione del figlio (15 marzo 2008) nel quale costui riferiva esplicitamente di sè stesso come di "un diavolo nel gruppo". Il Tribunale non avrebbe spiegato per quale motivo l’opinione di un congiunto dell’indagato sulla sua appartenenza o meno ad un determinato sodalizio criminale dovrebbe prevalere su quanto riferito dallo stesso indagato. Il Tribunale inoltre avrebbe fatto una lettura illogica di specifici elementi indiziar, reputando irrilevante la spendita del nome di L.B.C. per la consumazione dell’estorsione ai danni di C.A. ed effettuando una interpretazione sbagliata della conversazione intercorsa l’11 luglio 2008 fra P.R. e L.B.P. e di altre conversazioni intercettate. Ulteriori contraddittorietà della motivazione emergerebbero nell’analisi del ruolo di M. A., avendo il Tribunale ignorato gli esiti di specifiche intercettazioni (relative a rapporti fra Ma.Do. e Ma.An.) dalle quali emerge che costui, nonostante il suo stato di detenzione, proseguiva nel suo ruolo di riferimento dell’agire degli altri consociati. Anche la ricostruzione della vicenda relativa al dentista F.E. sarebbe frutto di una errata lettura della conversazione intercettata il 18/2/2010 nell’autovettura dei fratelli G..

Il P.M. ricorrente, inoltre si duole che il provvedimento del Tribunale sarebbe caratterizzato da una grave omissione nella lettura degli elementi di prova circa l’utilizzo del metodo mafioso per l’assoggettamento di alcune imprese operanti nel settore della pubblicità e degli appalti di pubblici servizi.

In definitiva il P.M. rileva tre gravi contraddizioni nel percorso logico del provvedimento impugnato.

In primo luogo il Tribunale esclude che il gruppo capeggiato da M.N., di cui individua come componenti P.F. A., Mo.Sa., L.B.G. sia riconduciate a L.B.C.. Al fine di giustificare tale conclusione il Collegio, nonostante il rapporto di affinità fra il L.B. ed il Ma. (che ne è genero) attribuisce decisività ad una serie di conversazioni dalle quali si evince il desiderio del Ma. di rendersi autonomo dal suocero, omettendo di confrontare tale conclusione con il fatto che il gruppo spendeva il nome del capo per commettere estorsioni.

In secondo luogo il Tribunale descrive il rapporto fra gli indagati in termini di "aggregazione per commettere episodicamente reati" accompagnata dalla idea di "costituire un gruppo che potesse sostituire l’egemonia della cosca Lo Bianco", senza rendersi conto della apoditticità di tale conclusione.

In terzo luogo il Tribunale non ha tenuto conto alcuno del materiale probatorio, riportato nel paragrafo 3.1 della ordinanza cautelare, dimostrante come gli indagati fossero coinvolti nella gestione di imprese che avevano realizzato un pesante condizionamento dell’economia vibonese attraverso metodologie mafiose.
Motivi della decisione

Il ricorso è fondato.

Il provvedimento impugnato è viziato da motivazione contraddittoria, illogica, ed apparente.

Secondo l’insegnamento di questa Corte:

"l’elemento distintivo tra il delitto di associazione per delinquere e il concorso di persone nel reato continuato, è individuabile nel carattere dell’accordo criminoso, che nel concorso si concretizza in via meramente occasionale ed accidentale, essendo diretto alla commissione di uno o più reati – anche nell’ambito di un medesimo disegno criminoso – con la realizzazione dei quali si esaurisce l’accordo e cessa ogni motivo di allarme sociale, mentre nel reato associativo risulta diretto all’attuazione di un più vasto programma criminoso, per la commissione di una serie indeterminata di delitti, con la permanenza di un vincolo associativo tra i partecipanti, anche indipendentemente e al di fuori dell’effettiva commissione dei singoli reati programmati" (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 42635 del 04/10/2004 Ud. (dep. 03/11/2004) Rv. 229906).

Occorre tenere presente, inoltre, che al riesame si applicano i principi elaborati dalla Giurisprudenza di questa Corte, in tema di sentenza d’appello difforme da quella di primo grado, circa la necessità di una adeguata confutazione delle ragioni poste a base del provvedimento riformato. Secondo tale incontestabile orientamento:

"In tema di impugnazioni, il giudice di appello è libero, nella formazione del suo convincimento, di attribuire alle acquisizioni probatorie il significato e il peso ritenuti giusti e rilevanti ai fini della decisione, con il solo obbligo di spiegare con motivazione immune da vizi le ragioni del suo convincimento, obbligo che, nell’ipotesi di decisione difforme da quella assunta dal giudice di primo grado, impone anche l’adeguata confutazione delle ragioni poste alla base della sentenza riformata" (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 28583 del 09/06/2005 Ud. (dep. 29/07/2005) Rv. 232441).

Nel caso di specie, il Tribunale per il riesame ha fondato le sue conclusioni, che riconoscono il concorso meramente occasionale ed accidentale dei soggetti indagati nella commissione di specifici reati al posto della sussistenza del vincolo associativo e di un più vasto programma criminoso per la commissione di una serie indeterminata di delitti, su un percorso argomentativo contraddicono e palesemente illogico, privo, inoltre, di una adeguata confutazione delle ragioni poste a base dell’ordinanza riformata.

Il Tribunale, infatti, ha riconosciuto che gli elementi indiziari in atti dimostravano che, negli anni 2007/2008, dopo l’arresto del boss e dei sodali della cosca Lo Bianco, un gruppo di criminali ( Ma.

N., L.B.G., Ma.Vi., M. S., P.F.A., M.D. ed il fratello F.) scorazzava in libertà per il territorio vibonese, ponendo in essere, singolarmente ed in concorso, condotte illecite. Ha quindi precisato che in tale periodo di anarchia criminale si collocavano la vicenda estorsiva (ai danni dell’imprenditore C.A.), il pestaggio degli operai, le estorsioni che il P. poneva in essere con il Mo., le imprecisate assunzioni imposte ai titolari del Supermercato Eurospin, nonchè la costituzione di società fittiziamente intestate a terzi, aggiungendo che non sussistono dubbi che le attività economiche realizzate attraverso l’interposizione fittizia fossero illecite. Ha quindi ulteriormente riconosciuto che, dopo la sua scarcerazione dagli arresti domiciliari (giugno 2009) M.A. aveva avuto continue frequentazioni con P.F.A., Mo.

S., Ma.Vi., i quali si erano attivati per fornirgli copertura sintomatica di attività sommerse, come l’acquisto di schede telefoniche intestate a terzi e la bonifica della vettura ed ha preso atto che nello stesso periodo si verificavano alcuni atti intimidatori nei confronti di P. N. e del dentista F.E. riferibili ai fratelli M.D. e F., soggetti da mettere in relazione con Ma.An..

Tanto premesso, il Tribunale conclude il suo percorso argomentativo con un postulato contraddittorio rispetto alla premesse, assumendo che i fatti descritti lasciano intendere intensi rapporti criminosi fra il Ma.An. ed il gruppo di criminali che scorazzavano nel Vibonese che preludono ad una organizzazione criminale in itinere, non ancora costituita. Tale conclusione appare palesemente illogica in quanto contrasta con gli elementi di cui il Collegio ha preso conoscenza che testimoniano una intensa attività criminale che, proprio in quanto tale, non si adatta alla tesi del concorso episodico ed occasionale in specifici reati.

Le conclusioni assunte dal Tribunale per il riesame, peraltro, sono viziate da motivazione apparente e da mancata confutazione delle ragioni poste a base del provvedimento riformato, con riferimento agli elementi probatori che emergono dal par. 3.1 dell’O.C.C. Infatti il Collegio non ha tenuto conto alcuno del materiale probatorio utilizzato dal Gip per pervenire alle conclusioni assunte nell’ordinanza riformata, nulla osservando rispetto a quelle intercettazioni che dimostrano – in ipotesi – un modus operandi degli indagati, coinvolti nella gestione delle imprese, volto a realizzare un condizionamento dell’economia vibonese attraverso metodologie mafiose.

Nel caso di specie, infatti, il Tribunale si è limitato a proporre un’interpretazione semplificante dell’intimidazione subita da Ma.Do., titolare della PUBLIEMME, senza trame le logiche conseguenze circa le modalità operative degli indagati nella gestione della ditta Publiservice Sud e senza prendere minimamente in considerazione gli esiti delle altre intercettazioni relative alle modalità intimidatorie nel procacciamento e nel rapporto con i clienti.

In questo contesto il giudizio sull’episodicità od occasionalità dei reati commessi in concorso da alcuni degli indagati risulta viziato anche dalla pretermissione dell’esame degli elementi scaturenti dalla condotta nella gestione delle imprese, in quanto l’eventuale utilizzo di modalità mafiose nella gestione delle attività economiche fittiziamente intestate a dei prestanome, rimanda all’esistenza di un programma futuro ed indifferenziato, teso alla commissione di reati, incompatibile con la tesi del concorso di persone in specifici reati.

Di conseguenza il provvedimento impugnato deve essere annullato con rinvio al Tribunale di Catanzaro, in diversa composizione, per nuovo esame.
P.Q.M.

Annulla il provvedimento impugnato con rinvio al Tribunale di Catanzaro per nuovo esame.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 18-11-2010) 07-03-2011, n. 8930

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1- Il Gup del Tribunale di Forti, con sentenza 26/1/2010, dichiarava non luogo a procedere nei confronti di B.G. in ordine al reato di falsa testimonianza perchè il fatto non sussiste.

Più specificamente, al B. si contesta di avere affermato il falso o negato il vero nel rendere testimonianza, nell’ambito del procedimento penale – per appropriazione indebita aggravata – a carico di R.A. e della causa di lavoro tra la medesima e la società "XXIX Settembre s.a.s.", in ordine alla natura del rapporto intercorso tra le parti e alla connessa regolamentazione dei relativi aspetti economici.

Il Gup, sulla base delle indagini espletate e della documentazione acquisita, riteneva che gli elementi acquisiti erano insufficienti, contraddittori e non idonei, quindi, a sostenere l’accusa in giudizio, difettando una qualunque prospettiva di integrazione probatoria.

2- Ha proposto ricorso per cassazione, tramite il proprio difensore munito di procura speciale, D.R., costituita parte civile in proprio e quale legale rappresentante della società "XXDC Settembre s.a.s.", deducendo: a) vizio di motivazione in ordine alla valutazione del materiale acquisito; b) violazione delle norme di cui agli artt. 234 e 238 bis c.p.p. per essersi dato rilievo determinante alla sentenza di assoluzione, non ancora irrevocabile, della R. dal reato di appropriazione indebita aggravata; c) violazione dell’art. 425 c.p.p., per non essersi il Gup limitato ad una pronuncia di natura meramente processuale, essendosi invece avventurato in una preventiva e approfondita valutazione di merito.

3- Il ricorso è inammissibile.

A norma dell’art. 428 c.p.p., comma 2 legittimata a proporre ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 606 c.p.p. contro la sentenza di non luogo a procedere è la persona offesa costituita parte civile.

D.R., pur costituita parte civile nel presente procedimento, non riveste la qualità di persona offesa dal reato di cui all’art. 372 c.p., ma di semplice persona danneggiata, non legittimata al ricorso, dal momento che il riconoscimento di tale legittimazione alla sola persona offesa costituita parte civile, in forza della novella codicistica introdotta dalla L. n. 46 del 2006, si giustifica esclusivamente per la tutela degli interessi penalistici, a cui resta estranea la persona danneggiata (cfr. Cass. sez. 5 15/1/2007 n. 5698; sez. 5 16/4/2009 n. 37114; sez. 6 21/1/2010 n. 16528; sez. 2 19/2/2010 n. 12028).

Nel reato di falsa testimonianza il bene giuridico protetto è il normale svolgimento dell’attività giudiziaria, sicchè soggetto passivo del reato è la collettività e non la persona che per la violazione della norma subisca eventuali danni risarcibili sul piano civilistico (cfr. Cass. sez. 6 18/2/1997 n. 690; sez. 6 9/11/2006 n. 41344; sez. 6 4/12/2006 a 8967).

4- Alla declaratoria d’inammissibilità del ricorso, consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento alla cassa delle ammende della somma, che stimasi equa, di Euro 1.000,00.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.

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T.A.R. Lombardia Milano Sez. III, Sent., 18-03-2011, n. 757

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con decreto ingiuntivo n. 24971/09 emesso dal Tribunale di Milano in data 08.07.2009, non opposto e munito di formula esecutiva il 04.01.2010 (cfr. documentazione di parte ricorrente), il Tribunale Ordinario di Milano ha ingiunto all’Azienda Sanitaria provinciale di Catanzaro di pagare alla società ricorrente, entro 40 giorni dalla notifica del decreto, la somma di Euro 656.403, 59, oltre agli interessi e alle spese.

La ricorrente lamenta che il decreto ingiuntivo non è stato eseguito dall’amministrazione, neppure costituitasi nel presente giudizio.

In via preliminare, il Tribunale, in considerazione delle questioni sottoposte all’attenzione del Collegio da parte del difensore della società ricorrente nel corso della camera di consiglio, rileva che al giudizio di ottemperanza di cui si tratta non sono riferibili i limiti previsti dall’art. 1, comma 51, della legge 2010 n. 297.

La norma citata dispone che "al fine di assicurare il regolare svolgimento dei pagamenti dei debiti oggetto della ricognizione di cui all’articolo 11, comma 2, del decretolegge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, per le regioni gia` sottoposte ai piani di rientro dai disavanzi sanitari, sottoscritti ai sensi dell’articolo 1, comma 180, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, e successive modificazioni, e già commissariate alla data di entrata in vigore della presente legge, non possono essere intraprese o proseguite azioni esecutive nei confronti delle aziende sanitarie locali e ospedaliere delle regioni medesime, fino al 31 dicembre 2011. I pignoramenti e le prenotazioni a debito sulle rimesse finanziarie trasferite dalle regioni di cui al presente comma alle aziende sanitarie locali e ospedaliere delle regioni medesime, effettuati prima della data di entrata in vigore del decretolegge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, non producono effetti dalla suddetta data fino al 31 dicembre 2011 e non vincolano gli enti del servizio sanitario regionale e i tesorieri, i quali possono disporre, per le finalità istituzionali dei predetti enti, delle somme agli stessi trasferite durante il suddetto periodo".

Il tenore letterale della disposizione, che espressamente si riferisce a pignoramenti e prenotazioni a debito, è indice della necessità di riferire la preclusione alle sole azioni esecutive in senso stretto, alle quali resta estraneo il giudizio di ottemperanza.

In tale senso, la giurisprudenza rileva che il giudizio di esecuzione e quello di ottemperanza non sono sovrapponibili per natura e funzione, ferma restando la loro complementarietà (cfr. Cass., sez. trib, 12 marzo 2009, n. 5925).

In ogni caso, vale osservare che dalla documentazione versata in atti neppure emerge l’avvenuta ricognizione dei debiti da parte dell’amministrazione regionale, ai sensi dell’articolo 11, comma 2, del decretolegge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122.

Tanto premesso, al Tribunale non resta che prendere atto della mancata esecuzione del decreto ingiuntivo suindicato ed adottare le conseguenti misure ai sensi dell’art. 114 c.p.a..

In particolare, il Tribunale ritiene opportuno procedere alla nomina di un Commissario ad acta, individuandolo nel Prefetto di Catanzaro, affinché provveda all’esecuzione del decreto ingiuntivo.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione terza, non definitivamente pronunciando, accoglie il ricorso e per l’effetto:

1) nomina Commissario ad acta il Prefetto di Catanzaro, con facoltà di delega ad altri funzionari a lui gerarchicamente subordinati, affinché, previo accertamento della perdurante inottemperanza dell’amministrazione ingiunta, provveda entro 60 giorni dalla comunicazione della presente sentenza, o dalla notificazione se anteriore, all’esecuzione del decreto ingiuntivo indicato in epigrafe, disponendo il pagamento delle somme in esso determinate in favore della società ricorrente;

2) rinvia per il prosieguo alla Camera di Consiglio del 16 giugno 2011 ad ore di rito;

Spese al definitivo.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

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