Cass. civ. Sez. V, Sent., 30-06-2011, n. 14376 Ricavi, plusvalenze, sopravvenienze attive

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

el Sostituto Procuratore Generale dott. FEDELI Massimo che ha concluso per il rigetto.
Svolgimento del processo

La controversia attiene a una verifica fiscale eseguita dall’amministrazione finanziaria di Potenza a seguito di p.v.c. della polizia tributaria elevato nei confronti di G.T. A..

La verifica, conclusasi con la rideterminazione in aumento della percentuale di ricarico sul costo del venduto, consentì il recupero a tassazione di un maggiori imposte Irpef e Ilor per l’anno d’imposta 1994, oltre all’applicazione delle sanzioni di legge.

La commissione tributaria regionale della Basilicata, con l’impugnata sentenza, in parziale accoglimento dell’appello proposto dall’agenzia delle entrate di Potenza contro la sentenza della locale commissione provinciale, la quale era stata totalmente favorevole alla contribuente, determinò la ridetta percentuale di ricarico nella misura del 61,24% (inferiore a quella accertata dall’ufficio finanziario, ma comunque superiore al dichiarato) in coerenza con quanto appurato dalla polizia tributaria mediante ispezione sull’intera gamma delle merci commercializzate dalla G..

Quest’ultima ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.

Il Ministero dell’economia e delle finanze ha depositato atto di asserita costituzione in giudizio.
Motivi della decisione

1. – Con il primo motivo la ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 2729 c.c., del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 39 e del D.L. 30 agosto 1993, n. 331, art. 62 sexies.

Sostiene che: (a) non essendo state accertate violazioni tali da rendere inattendibili le scritture contabili, non era consentito all’ufficio accertatore di rettificare l’imponibile; (b) l’accertamento del maggior ricarico aveva fatto riferimento a ricavi del 1996, pur essendo il periodo d’imposta relativo al 1995.

Con il secondo motivo denunzia insufficiente e contraddittoria motivazione, sostenendo che la commissione avrebbe completamento omesso di considerare che l’azione accertatrice, ai fini della relativa attendibilità, deve fondarsi su ulteriori elementi – quali l’ubicazione dell’esercizio commerciale, la località, il settore merceologico, la situazione di concorrenza sul mercato – nella specie ampiamente rappresentati dalla contribuente in appello.

2. – Entrambi i mezzi sono inammissibili, e tanto si rivela assorbente di ogni ulteriore rilievo.

Il primo motivo si risolve in una generica contestazione dell’accertamento di merito attinente al presupposto dell’intervenuta rettifica dell’imponibile, si da risultare irricevibile in questa sede.

La censura afferente gli utilizzati indici di maggiori ricavi per annualità distinte da quella oggetto di accertamento è assertoria, dal momento che dalla sentenza impugnata non risulta – nè altrimenti si apprezza – che l’aliquota di ricarico sia stata determinata sulla base di dati unicamente attinenti all’anno 1996; risulta invece che in data 7.11.1996 fu redatto il p.v.c., nel quale vennero infine sintetizzate le circostanze, desunte da "una accorta e puntuale verifica delle scritture contabili e di ogni altra documentazione esibita", poste al fondo della rettifica dell’imponibile di tutti gli anni in contestazione. Ed è doveroso evidenziare – in ciò ancora correggendosi l’approssimato rilievo di parte ricorrente – che l’anno di riferimento della presente controversia, in vista della rideterminazione dell’imponibile ai fini delle imposte dirette, è semmai il 1994, non già il 1995.

Il secondo motivo, nell’allusione a quanto rappresentato dalla contribuente in appello, in vista della censura di insufficiente (o contraddittoria) motivazione, è altrettanto generico e completamente privo di autosufficienza, non essendo riportato il tenore delle asserite, svolte difese cui associare l’apprezzamento del vizio denunciato. Consegue il rigetto del ricorso.

3. – Nulla devesi statuire in punto dì spese processuali. Si osserva che, in difetto di costituzione in giudizio, l’attività difensiva svolta in udienza dall’avvocatura erariale non è stata imputata – nè il relativo profilo è evincibile dal collegio – all’uno o all’altro dei distinti soggetti destinatari dell’impugnazione.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 18-03-2011) 26-04-2011, n. 16383

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Svolgimento del processo

1. La Corte di Appello di Ancona, con sentenza del 15 ottobre 2010, ha parzialmente confermato, riducendo la pena, la sentenza del Tribunale di Pesaro, Sezione Distaccata di Fano dell’8 giugno 2010 che aveva condannato M.V. per i delitti di atti persecutori, violenza privata e danneggiamento in danno della moglie M.M..

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del proprio difensore, lamentandone:

a) il difetto assoluto di motivazione a cagione della effettuata motivazione per relationem;

b) la illogicità della motivazione basandosi la condanna soltanto sulle dichiarazioni della parte lesa;

c) l’erronea quantificazione della pena e la mancata concessione della sospensione condizionale della pena.
Motivi della decisione

1. Il ricorso è infondato e non merita accoglimento.

2. Quanto al primo motivo si osserva, nella pacifica giurisprudenza di legittimità (v. da ultimo Cass. Sez. 3^ 13 maggio 2010 n. 24252) come la motivazione per relationem sia ammissibile nell’ambito della mera ricostruzione del fatto, per le parti della sentenza non impugnate o in presenza di manifesta infondatezza o non specificità del motivo di appello.

Nella ipotesi (che è quella in esame), in cui l’imputato con precise considerazioni abbia svolto specifiche censure su uno o più punti della prima pronuncia, il Giudice di Appello non può limitarsi a richiamarla, ma deve rispondere alle singole doglianze prospettate.

Il che è quanto avvenuto nella specie (v. pagine 3-4 della motivazione) avendo la Corte territoriale, dopo aver richiamato e fatte proprie le motivazioni del Giudice di primo grado, risposto alle singole doglianze dell’impugnante.

3. Quanto al secondo motivo del ricorso, non si ravvisa alcuna manifesta illogicità nella motivazione del Giudice del merito, avendo, da un lato, il giudicante perfettamente risposto alle asserzioni defensionali dell’imputato ed avendo, d’altra parte, riscontrato la deposizione testimoniale della parte offesa secondo quanto imposto dalla costante giurisprudenza di legittimità sul punto (v. pagina 4 della motivazione e da ultimo Cass. Sez. 1^ 24 giugno 2010 n. 29372) con i successivi riscontri costituiti dagli accertamenti operati dalla Polizia Giudiziaria.

4. Ai limiti dell’inammissibilità si appalesano gli ulteriori motivi del ricorso, con riferimento alla quantificazione della pena e alla mancata concessione della sospensione condizionale della pena.

Quanto alla dosimetria della pena si osserva come l’imputato abbia addirittura ottenuto una riduzione della pena inflitta in prime cure, a cagione dell’esclusione della contestata aggravante per il reato di cui all’art. 612 bis c.p. e che la riduzione per l’applicazione delle attenuanti generiche è avvenuta nell’ambito della forbice consentita (in misura non eccedente un terzo ex art. 65 c.p.), non essendo imposta da nessuna norma di legge l’applicazione della diminuzione della pena nei limiti massimi consentiti.

Del pari, la Corte territoriale ha congruamente e logicamente motivato in merito alla mancata concessione della sospensione condizionale della pena sulla base del negativo giudizio prognostico nascente dalle "plurime, analoghe condotte" poste in essere dal condannato.

5. Il ricorso va, pertanto, rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. I, Sent., 06-09-2011, n. 18293 Diritti politici e civili

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Svolgimento del processo

R.S. ricorre per cassazione nei confronti del decreto in epigrafe della Corte d’appello che ha dichiarato l’inammissibilità del suo ricorso proposto ex L. n. 89 del 2001 in relazione a giudizi pensionistici e in tema di interessi svoltisi avanti alla Corte dei Conti dal 6.9.1969 al 17.5.1993 e dal 3.3.1999 al 19.11.2004.

L’intimata Amministrazione non ha proposto difese.

Il Collegio ha disposto la redazione della motivazione in forma semplificata.
Motivi della decisione

Il primo motivo di ricorso con cui viene censurato l’impugnato decreto in relazione alla ritenuta competenza è inammissibile in quanto l’eccezione non è stata sollevata nè rilevata in primo grado entro il termine di cui all’art. 38 c.p.c. Il secondo motivo con il quale si deduce violazione di legge per avere la corte territoriale ritenuto definitiva per decorso del termine ordinario di impugnazione la sentenza emessa dalla Corte dei Conti in data 19.11.2004 e quindi tardiva la domanda di indennizzo proposta nel 2008 per decorso del termine semestrale senza considerare che contro la stessa era possibile il rimedio della revocazione ordinaria da esperirsi nel termine di tre anni è inammissibile per inidoneità del quesito, posto che nello stesso si da per scontato un dato (che in relazione al giudizio de quo fosse possibile la revocazione ordinaria e non solo quella straordinaria) che avrebbe dovuto essere fatto oggetto di specifica dimostrazione e quesito di diritto, posto che è principio già affermato quello secondo cui "in tema di equa riparazione ai sensi della L. n. 89 del 2001, ove la violazione del termine di ragionevole durata del processo si sia verificata in un giudizio in materia pensionistica svoltosi dinanzi alla Corte dei conti, la sentenza di appello che sia ancora suscettibile di revocazione ordinaria ai sensi del R.D. n. 1214 del 1934, art. 68, lett. a), diviene inoppugnabile, ai fini della decorrenza del termine semestrale di decadenza previsto dalla L. n. 89 cit., art. 4 soltanto con lo scadere del termine di tre anni previsto per ia proposizione di tale impugnazione, mentre nei casi in cui sia proponibile la revocazione straordinaria ai sensi del R.D. cit., art. 68, lett. b), c) e d), la sentenza deve considerarsi definitiva fin dal momento della pronuncia" (Sez. 1, Sentenza n. 15778 del 2/07/2010).

Il terzo motivo con il quale si deduce violazione di legge per avere ritenuto la Corte d’appello di non potersi pronunciare sul primo giudizio concluso nel 1999 in quanto autonomo rispetto al secondo limitato alla sola richiesta degli interessi è inammissibile per difetto di interesse, dal momento che in ogni caso anche in relazione a tale giudizio sarebbe maturata la decadenza.

Il ricorso deve dunque essere rigettato. Non si deve provvedere in ordine alle spese stante l’assenza di attività difensiva da parte dell’intimata Amministrazione.
P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

T.A.R. Puglia Lecce Sez. I, Sent., 25-05-2011, n. 957 Legittimità o illegittimità dell’atto

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Nel 1998 la società S. otteneva dalla Regione Puglia parere di compatibilità ambientale per la realizzazione di una discarica. Poiché non si dava corso ai lavori nel triennio successivo, tale parere decadeva ai sensi dell’art. 15 della legge regionale n. 11 del 2001.

Nel rinnovare l’istanza, la società otteneva nuova determinazione VIA favorevole con provvedimento regionale n. 6 del 14 gennaio 2005.

Si innestava dunque presso la Provincia la conferenza di servizi per l’autorizzazione finale.

Il processo subiva tuttavia un arresto per la mancata integrazione documentale, da parte della società interessata, a seguito della entrata in vigore della nuova normativa medio tempore intervenuta (ordinanza commissario delegato n. 36 del 10 novembre 2005).

Veniva dunque nuovamente attivata la proceduta autorizzatoria, questa volta mediante autorizzazione integrata ambientale ai sensi del decreto legislativo n. 59 del 2005. In particolare, con riguardo alla VIA veniva inoltrata richiesta di proroga del procedente provvedimento n. 6 del 2005, producendo a tal fine perizia giurata con la quale si affermava che nulla sarebbe mutato, quanto all’ambiente circostante, rispetto alle precedenti autorizzazioni.

Nel frattempo la società S. cedeva l’azienda alla T. srl.

Con provvedimento n. 967 del 2 dicembre 2008, la Regione Puglia prorogava di ulteriori tre anni l’efficacia della VIA.

Veniva poi convocata, dalla stessa Regione, la conferenza di servizi per il rilascio dell’AIA.

In tale occasione Comune di Brindisi ed ARPA Puglia manifestavano perplessità per la presenza, nelle vicinanze, di altre discariche, e in particolare di quella comunale di RSU sita in località "Autigno". Tale perplessità veniva inoltre condivisa dall’Ufficio inquinamento e grandi impianti della Regione Puglia, il quale evidenziava che il flusso di falda del monte idrogeologico della discarica in questione coinciderebbe con il valle della discarica comunale, il che sarebbe in contrasto con le disposizioni del decreto legislativo n. 36 del 2003.

La questione veniva dunque rimessa al Comitato regionale per la VIA.

Con nota del 29 marzo 2010 veniva poi trasmessa comunicazione di avvio del procedimento di autotutela nei confronti della citata determinazione n. 6 del 2005, atteso che il suddetto comitato aveva "rilevato come nello SIA non siano stati evidenziati e valutati gli impatti cumulativi dovuti alla presenza, in adiacenza all’impianto proposto, della discarica di RSU. Si deduce pertanto che il parere espresso dal Comitato nel 2004, basato sulla incompleta rappresentazione dello stato dei luoghi fornita dal proponente nello SIA necessiti di ulteriori approfondimenti e che pertanto sia necessario che il proponente produca un nuovo SIA che tenga conto dell’effettivo stato dei luoghi". Concludeva la nota affermando che "qualora il proponente intenda persistere nella volontà di realizzare l’impianto, dovrà attivare una nuova procedura di VIA, producendo uno Studio nel quale venga compiutamente e correttamente descritto lo stato dei luoghi… Tale studio dovrà anche tenere conto delle ulteriori criticità segnalate dell’ARPA Puglia con lettera del 27 gennaio 2010 e del mutato quadro di riferimento programmatico relativamente ad esempio alle previsioni di localizzazione individuate dal Piano regionale dei rifiuti speciali".

Anche a seguito delle osservazioni presentate dalla società ricorrente, l’amministrazione confermava il proprio orientamento e, dopo avere sospeso il procedimento AIA, adottava l’atto impugnato con il quale si riteneva "che per l’intervento in discussione debba essere attivata una nuova procedura di VIA".

2. Le note da ultimo richiamate venivano impugnate per i seguenti motivi:

a) erronea presupposizione in fatto, in quanto sin dal 1998, nonché nella perizia tecnica allegata alla richiesta di proroga del 2008, si sarebbe dato atto della presenza della discarica RSU e circa 500 mt dall’impianto da realizzare;

b) violazione di legge per mancata applicazione dell’art. 18 della legge n. 241 del 1990 nella parte in cui la PA, pur avvedendosi della presenza di discariche nelle vicinanze, non avrebbe attivato i prescritti poteri istruttori al fine di accertarne l’effettivo impatto;

c) carenza di motivazione nella parte in cui non sarebbero state fornite adeguate controdeduzioni in merito alle osservazioni formulate dalla società ricorrente a seguito della comunicazione di avvio del procedimento di autotutela;

d) violazione dell’art. 21nonies della legge n. 241 del 1990 nella parte in cui non si sarebbe tenuto conto del notevole lasso di tempo intercorso tra la determinazione VIA del 2005 e l’autotutela del 2010, nonché dove non sarebbe stato adeguatamente motivato il bilanciamento tra gli interessi privati e quelli pubblici al ritiro dell’atto;

e) difetto di istruttoria nella parte in cui la presenza di effetti cumulativi tra i due impianti sarebbe stata indicata soltanto come "eventuale";

f) ulteriore erronea presupposizione in fatto nella parte in cui non si sarebbe tenuto conto, come evidenziato nella relazione geologica prodotta dalla ricorrente in sede di conferenza di servizi, che l’andamento del flusso di falda profonda seguirebbe un percorso diverso da quello ipotizzato da alcune delle amministrazioni partecipanti.

3. Si costituivano in giudizio l’amministrazione regionale e quella provinciale per chiedere il rigetto del gravame mediante articolate controdeduzioni che formeranno più avanti oggetto di specifica trattazione.

4. Con ordinanza n. 839 del 4 novembre 2010 veniva accolta l’istanza di tutela cautelare.

5. Alla pubblica udienza del 9 febbraio 2011 le parti rassegnavano le proprie rispettive conclusioni ed il ricorso veniva infine trattenuto in decisione.

06. Tutto ciò premesso ritiene il collegio che, ad un più attento esame che è proprio di questa fase di merito, il ricorso debba essere rigettato per le ragioni di seguito indicate.

6. Con il motivo sub a) si lamenta la erronea presupposizione in fatto in quanto sin dal 1998, nonché nella perizia tecnica allegata alla richiesta di proroga del 2008, si sarebbe dato atto della presenza della discarica RSU a circa 500 mt. dall’impianto da realizzare.

Si rammenta in via preliminare che, ai sensi dell’art. 22, comma 3, del decreto legislativo n. 152 del 2006 (codice dell’ambiente), lo studio di impatto ambientale (c.d. SIA), oltre ad "una descrizione del progetto con informazioni relative alle sue caratteristiche, alla sua localizzazione ed alle sue dimensioni" (lettera a)), deve contenere altresì: "b) una descrizione delle misure previste per evitare, ridurre e possibilmente compensare gli impatti negativi rilevanti; c) i dati necessari per individuare e valutare i principali impatti sull’ambiente e sul patrimonio culturale che il progetto può produrre, sia in fase di realizzazione che in fase di esercizio; d) una descrizione sommaria delle principali alternative prese in esame dal proponente, ivi compresa la cosiddetta opzione zero, con indicazione delle principali ragioni della scelta, sotto il profilo dell’impatto ambientale; e) una descrizione delle misure previste per il monitoraggio".

Inoltre, ai sensi dell’allegato VII al codice stesso (il quale disciplina a sua volta i contenuti dello studio di impatto ambientale), detto studio deve tra l’altro contenere "una descrizione delle componenti dell’ambiente potenzialmente soggette ad un impatto importante del progetto proposto" (comma 3), nonché "una descrizione dei probabili impatti rilevanti (diretti ed eventualmente indiretti, secondari, cumulativi, a breve, medio e lungo termine, permanenti e temporanei, positivi e negativi) del progetto proposto sull’ambiente… dovuti all’esistenza del progetto… all’utilizzazione delle risorse naturali… all’emissione di inquinanti, alla creazione di sostanze nocive e allo smaltimento dei rifiuti; nonché la descrizione da parte del proponente dei metodi di previsione utilizzati per valutare gli impatti sull’ambiente". Al successivo comma 5 si prevede altresì "una descrizione delle misure previste per evitare, ridurre e se possibile compensare rilevanti impatti negativi del progetto sull’ambiente".

Da quanto sopra riportato deriva che il soggetto che intende realizzare un determinato intervento con effetti rilevanti sull’ambiente deve elaborare uno studio di impatto con il quale non solo descrivere il relativo progetto ma anche compiere unaprima valutazione – sebbene soggettivamente rimessa alle proprie personali (ma pur sempre tecniche) considerazioni – in ordine agli impatti che il medesimo intervento è idoneo ad arrecare sulle principali matrici ambientali. Valutazione preliminare cui seguirà poi quella autonoma e definitiva della competente PA.

Pertanto, nella elaborazione del SIA non basta limitarsi a segnalare la sussistenza di un determinato fenomeno con potenziali effetti sull’ambiente, dovendosi altresì valutare – almeno in prima battuta – le relative conseguenze in termini di impatto negativo.

Nel caso di specie, il progetto presentato nel 1998, dopo avere evidenziato la (mera) presenza della discarica RSU del Comune di Brindisi a circa 500 mt. dal sito oggetto dell’intervento, ha ritenuto "del tutto trascurabili possibili effetti cumulativi aventi impatto negativo sull’ecosistema idrogeologico da parte della discarica in progetto, in quanto trattasi di impianti di stoccaggio controllati".

Nel successivo SIA del 2004, poi, nonostante l’intenzione di aggiornare il citato studio del 1998 ci si limita, nelle parti rispettivamente dedicate alla analisi degli impatti ed alla idrografia sotterranea, a mere enunciazioni di principio e a generiche descrizioni (cfr. pp. 53, 54, 117 e 118 del documento allegato al ricorso originario), senza mai valutare gli effetti conseguenti alla realizzazione dell’opera e soprattutto lo stato di diffuso inquinamento che già dal 2001 era stato ampiamente accertato nell’area in questione (cfr. relazioni del CTU della Procura di Brindisi prodotte in atti).

In questa direzione appare persino decisamente incompleta ed insufficiente la perizia giurata in data 11 agosto 2008, presentata ai fini dell’istanza di proroga della VIA del 2005, nella parte in cui si afferma apoditticamente che "le analisi, le valutazioni e le conclusioni esposte nel precedente studio, conservano ad oggi intatta la loro validità e la loro significatività, non essendo intervenuti mutamenti del contesto ambientale, territoriale e sistemico di riferimento per lo studio". Con ciò trascurando del tutto, ancora una volta, i fenomeni di inquinamento che già da tempo si erano verificati nell’area e che avevano formato oggetto di specifici procedimenti penali (cfr., sempre, le citate relazioni prodotte in giudizio da parte ricorrente).

Ne deriva che le suddette analisi (o meglio "descrizioni") senz’altro si rivelano insufficienti, ai fini di cui si discute, necessitando giocoforza di maggiori approfondimenti da parte della società ricorrente. E ciò dal momento che la presenza di altre discariche nelle zone limitrofe (e dei relativi impatti cumulativi rispetto al nuovo impianto da realizzare) è stata sempre soltanto segnalata e non anche valutata: di qui la "incompleta rappresentazione" dello stato dei luoghi sottolineata dall’amministrazione regionale con i provvedimenti qui impugnati.

Né potrebbe ritenersi sufficiente, ai fini di una più completa rappresentazione, quanto dedotto da parte ricorrente, nell’ambito del procedimento, con le note tecniche di precisazione rispettivamente depositate in data 10 marzo 2010 e in data 3 maggio 2010. Ed infatti, anche a voler considerare dette relazioni alla stregua di integrazioni del SIA, si tratterebbe di modifiche così sostanziali del predetto studio che, come si avrà modo di specificare anche più avanti, sarebbe in ogni caso necessario riattivare il procedimento VIA, se non altro per garantire il pieno rispetto dei meccanismi partecipativi di cui all’art. 24 del codice ambiente.

In merito, poi, alla mancata richiesta di taluni approfondimenti da parte della PA nel corso degli anni (ossia dal 1998 al 2010), se è vero da un lato che la stessa non ha mai disposto lungo tale periodo alcuna integrazione istruttoria (benché ne avesse avuto occasione, essendo a conoscenza anch’essa del diffuso stato di inquinamento e dei conseguenti procedimenti penali medio tempore avviati), ciò non costituisce in ogni caso valida ragione per continuare a non provvedere in tal senso, qualora ve ne sia la concreta possibilità (si rammenta che la realizzazione dell’impianto non è stata ancora avviata, atteso che si è fermi alla fase di autorizzazione); e tanto anche in ossequio al fondamentale principio di matrice comunitaria di massima precauzione.

Per tutte le ragioni indicate il motivo di ricorso deve dunque essere rigettato.

7. Da quanto appena detto consegue il rigetto anche del motivo sub b), con il quale si lamenta a sua volta violazione di legge per mancata applicazione dell’art. 18 della legge n. 241 del 1990 nella parte in cui la PA, pur avvedendosi della presenza di discariche nelle vicinanze, non avrebbe attivato i prescritti poteri istruttori al fine di accertarne l’effettivo impatto.

Osserva al riguardo il collegio che lo schema di funzionamento della valutazione di impatto ambientale, nei termini di cui si è detto, differisce almeno in parte da quello che è il procedimento amministrativo ordinario, dove il privato presenta l’istanza limitandosi a descrivere il progetto (si pensi al permesso di costruire) e l’amministrazione compie le proprie conseguenti valutazioni.

Come si è già anticipato, l’istituto della VIA prevede invece una prima fase dove il privato non si limita a descrivere il progetto ma deve anche fornire una prima valutazione circa i possibili effetti negativi sull’ambiente circostante. Valutazione preliminare che ovviamente non elide né condiziona quella finale, ad opera dell’amministrazione, che deve essere a sua volta condotta in piena autonomia di giudizio secondo i consueti canoni della discrezionalità tecnica.

Né si potrebbe ipotizzare, in questa direzione, una sostanziale modifica dei parametri iniziali di valutazione (cioè del SIA) senza nuovamente garantire – come si è già detto al punto che precede – una adeguata partecipazione dei soggetti eventualmente interessati dalla realizzazione dell’intervento.

Di qui il rigetto della specifica censura, dato che la PA non potrebbe mai in siffatto contesto attivare gli invocati poteri istruttori sulla base della sola descrizione di un evento o di un fenomeno quale quello indicato.

8. Con il motivo sub c) si lamenta la carenza di motivazione nella parte in cui non sarebbero state fornite adeguate controdeduzioni in merito alle osservazioni formulate dalla società ricorrente a seguito della comunicazione di avvio del procedimento di autotutela.

La censura è infondata in quanto, a fronte della comunicazione di avvio del procedimento di autotutela con la quale si evidenziava la mancata valutazione (nei precedenti studi e tra questi anche in quello del 1998) degli impatti cumulativi dovuti alla presenza di una discarica limitrofa a quella oggetto dell’intervento richiesto, la società ricorrente si è limitata a richiamare i contenuti del medesimo studio già effettuato nel 1998; il quale, proprio in ragioni della sua genericità e lacunosità, era già stato ritenuto dalla PA, con la predetta comunicazione di avvio, suscettivo di maggiori approfondimenti, e tanto in considerazione dell’ampio ed accertato stato di inquinamento dell’area circostante (si vedano sempre in tal senso le relazioni del CTU della Procura di Brindisi).

Motivo questo che induce il collegio a ritenere che, non avendo le osservazioni presentate in data 3 maggio 2010 fornito alcun apporto partecipativo/cognitivo concreto e soprattutto ulteriore rispetto ad elementi già in possesso della PA, l’amministrazione non era tenuta a fornire puntuali controdeduzioni in ordine a tali (ripetuti) profili.

La censura deve dunque essere rigettata.

9. Con il motivo sub d) si lamenta poi la violazione dell’art. 21nonies della legge n. 241 del 1990 nella parte in cui non si sarebbe tenuto conto del notevole lasso di tempo intercorso tra la determinazione VIA del 2005 e l’autotutela del 2010, nonché dove non viene adeguatamente motivato il bilanciamento tra gli interessi privati e quelli pubblici al ritiro dell’atto.

Osserva il collegio come il controllo sulle matrici ambientali e la conseguente decisione di disporre la revoca di eventuali titoli autorizzativi, in precedenza rilasciati, che non garantiscano pienamente (oppure dove sussiste il rischio concreto che esse non garantiscano più) il rispetto di taluni valori, risponde ad elementari principi di corretta, onesta ed efficiente amministrazione; principi cui la P.A. può e deve inderogabilmente uniformarsi.

In questa direzione, il ritiro di atti autorizzativi costituisce un vero e proprio dovere dell’Amministrazione che è tenuta a porre rimedio alle sfavorevoli conseguenze che, anche solo potenzialmente come in questo caso, possono derivare all’ambiente per effetto di un provvedimento che non ha tenuto in debita considerazione alcuni aspetti di ritenuta notevole importanza: ne deriva in queste ipotesi che non sussiste uno specifico obbligo di motivazione in ordine alla sussistenza dell’interesse pubblico ed alla sua comparazione con gli interessi privati contrapposti, nonché in relazione al lasso di tempo eventualmente intercorso ed al conseguente affidamento sorto in capo a terzi (si consideri in proposito la mutevolezza delle condizioni ambientali, che possono determinare talune conseguenze negative anche ex post), atteso che l’interesse pubblico all’adozione di tali atti è in re ipsa quando ricorre una esigenza di tutela dell’ambiente, e ciò in diretta applicazione del principio di origine comunitaria di massima precauzione.

Nella specie, peraltro, l’atto impugnato afferma la necessità di una nuova VIA, negando implicitamente la proroga di quella precedente, in relazione e ad una situazione nuova, che si è correttamente ritenuto di valutare nella sua complessità, e ad un impianto solo progettato.

Nella situazione di specie l’atteggiamento dell’Amministrazione appare doveroso, una volta che siano state motivate adeguatamente le ragioni che inducono a ritenere la presenza di un possibile impatto negativo sull’ambiente, condizione questa soddisfatta nella parte in cui si è dato conto della mancata valutazione degli impatti cumulativi potenzialmente derivanti dalla presenza di una vicina discarica.

Da quanto detto deriva dunque il rigetto della specifica censura.

10. Con il motivo sub e) si lamenta difetto di istruttoria nella parte in cui la presenza di effetti cumulativi tra i due impianti sarebbe stata indicata soltanto come "eventuale".

Il motivo è infondato ove solo si consideri che la assoggettabilità a VIA – e tale deve essere ritenuta la decisione della amministrazione regionale di sottoporre nuovamente a tali valutazioni l’intervento di cui si discute – è subordinata alla presenza di possibili (dunque non certi) effetti negativi e significativi sull’ambiente (cfr. art. 19, comma 4, del decreto legislativo n. 152 del 2006).

11. Con ultimo motivo di gravame si lamenta una ulteriore ipotesi di erronea presupposizione in fatto nella parte in cui non si sarebbe tenuto conto, come evidenziato nella relazione geologica del dott. Tanzarella prodotta dalla ricorrente in sede di conferenza di servizi, che l’andamento del flusso di falda profonda seguirebbe un percorso diverso (ossia SW – NE) da quello ipotizzato da alcune delle amministrazioni partecipanti (NW – SE): nella prospettiva di parte ricorrente, dunque, poiché non si intercetterebbe la falda che scorre sotto la discarica comunale di Autigno non vi potrebbe essere alcun problema legato ad eventuali impatti cumulativi di segno negativo.

Il motivo è innanzitutto inammissibile per genericità in quanto non si tiene conto, ai fini dell’individuazione del percorso della falda e dell’inquinamento in essa presente, di altre relazioni dallo stesso ricorrente depositate (cfr. relazione novembre 2002 Prof. Di Molfetta, pag. 46) ove si sostiene l’esistenza di un tracciato della falda analogo a quello ipotizzato dall’amministrazione (ossia, NW – SE) ed ove anzi si critica fortemente la scelta di un precedente consulente della Procura di Brindisi il quale aveva ipotizzato proprio il percorso SW – NE (si vedano le osservazioni del luglio 2003, pp. 3, 4 e 9).

Inoltre, come si evince dalle richiamate relazioni del Prof. Di Molfetta (nell’ambito di alcuni procedimenti penali che hanno interessato la discarica comunale Autigno e quella della SMD, sempre nella zona) e del dr. La penna, emerge in sintesi quanto segue:

a) alcuni pozzispia situati in prossimità dell’area T. sono risultati, per quanto riguarda lo stato della falda acquifera, fortemente inquinati (cfr. consulenza Di Molfetta del novembre 2002 nell’ambito del procedimento penale n. 9547/01, p. 41);

b) la falda acquifera in questione, che avrebbe come già detto una direzione di flusso NW – SE, risulta sempre la stessa per tutta l’area esaminata e comprende gli impianti di smaltimento di Autigno e SMD (p. 46 citata relazione Di Molfetta novembre 2002): pertanto, sovrapponendo le cartografie rispettivamente rinvenibili alla pag. 37 della citata relazione Di Molfetta ed all’allegato 1 (ubicazione impianti) alla nota n. 2084 in data 17 febbraio 2010 dell’Ufficio Inquinamento e Grandi Impianti della Regione Puglia (versata in atti dalla difesa dell’amministrazione regionale in data 30 dicembre 2010), si ricava come il percorso della falda possa presumibilmente comprendere anche l’area T., la quale si trova nella stessa direttrice dei due impianti sopra citati;

c) a conferma di quanto appena prospettato il dr. La penna, nella relazione in data 15 gennaio 2011, afferma conclusivamente che "la falda che soggiace la proprietà T. era già interessata da severe condizioni di inquinamento".

Ebbene su tutte tali considerazioni il ricorrente (e comunque la relazione Tanzarella) non ha fornito controdeduzione alcuna, il che rende come anticipato generica e lacunosa l’impostazione del motivo di gravame.

Si consideri inoltre che la relazione del dr. Tanzarella in data 10 marzo 2010, versata agli atti del procedimento e posta dalla difesa di parte ricorrente a base di tale ultimo motivo di ricorso, consisterebbe tutt’al più nella elaborazione di controdeduzioni che, oltre a non evidenziare vizi di macroscopica illogicità o irrazionalità dell’azione amministrativa (trattandosi di discrezionalità tecnica), dovrebbero comunque essere valutate nell’ambito della procedura VIA, piuttosto che in questa sede, e ciò in considerazione del fatto che – come già anticipato – esse si presentano nella sostanza alla stregua di integrazioni sostanziali dello studio di impatto ambientale, con ogni conseguenza in ordine al necessario rispetto dei meccanismi di partecipazione di cui all’art. 24 del codice ambiente.

Ne deriva da quanto detto il rigetto anche di tale censura.

12. In conclusione il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

Sussistono in ogni caso giusti motivi per compensare le spese di lite.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Lecce – Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

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